L’ultima megastar

Le ultime ore di Michael JacksonDon’t stop ‘til you get enough era la canzone di apertura del Long Playing con il quale Michael Jackson nel ’79 sbancò: “Off the Wall”. Purtroppo sarà ricordato per molto altro: il gran circo di fuochi d’artificio provocati dalla sua vita, condotta agli estremi del grottesco da una psiche crivellata di cicatrici. Capisco che per questo il Michael Jackson rimpianto dai lettori di Dissapore possa essere l’altro, ma la mitologia delle star ha smesso di interessarmi quando John Bonham – epico batterista degli Zeppelin – annegò in un mare di vodka.
Sarebbe assai meglio ricordarlo per i due lampi di genio di una produzione non sterminata: dei suoi nove album non raramente pervasi da un certa tendenza al tedio, solo tre hanno avuto veramente un successo stellare.

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Il primo lampo, la canzone di cui dicevo: in quel tempo – correva l’anno 1979 – c’era un muro di confine tra la “musica” e la “musica commerciale” governata dal tum-tum del quattro-in-cassa delle nascenti discoteche. Genesis, i Crimson, gli Zeppelin da una parte e Donna Summer e Barry White dall’altra. Eppure quel ritmo formidabile, quella sincope sulla terza battuta quasi a vuoto, quel falsetto acido, quel basso grondante i sudori di una intera generazione che si è dimenata con le sue vibrazioni nello stomaco bucarono il muro. Così come l’arpeggio finale, che è rimasto uno degli “outro” più copiati nella storia della musica popolare.
Il secondo: aver consentito a Eddie Van Halen di suonare il più grande solo di chitarra heavy rock dentro un pezzo r’n’b [Beat it, Thriller 1982]
Fosse solo per questo Jacko avrebbe messo le mani sul suo sogno più grande, essere immortale.

[Polvere di Cru]