Perché si parla di allarme “mal di sushi” a Milano?

Milano, oltre ad essere la capitale del sushi, è anche la capitale da intossicazione causata dal pesce crudo: sono 46 i casi già registrati di intosiccazione chiamata 'sindrome sgombroide', provocata dalla conservazione poco accorta del pesce servito nei ristoranti.

Perché si parla di allarme “mal di sushi” a Milano?

Nausea, mal di testa, gonfiore, rossore del volto e della pelle. Nei casi peggiori: edema sulla glottide e sensazione, nonché rischio, di soffocamento.

Sono i sintomi di quella che, in termini tecnici, viene chiamata ‘sindrome sgombroide’.

Si può contrarre a causa dell’errata conservazione del pesce e molto spesso accade col sushi tanto che, per gli infermieri degli ospedali milanesi, ha assunto il nome pop e angosciosamente simpatico di ‘mal di sushi’.

Una sindrome che si cura facilmente, dopotutto, con cortisone e antistaminici.

Sono in netto aumento, infatti, i casi da intossicazione da sushi. E Milano, città invasata dalla passione per il giapponese, ne è la capitale.

L’ultimo, infelice caso, finito in procura, risale allo scorso 29 settembre, quando un gruppo di medici è finito in ospedale, vittima di intossicazione, dopo aver mangiato in un ristorante di Via Marostica.

I NAS hanno riscontrato irregolarità nella conservazione del pesce che veniva servito crudo.

Altri casi analoghi nello stesso mese: il 6 di settembre le autorità competenti avevano individuato un bar che serviva del tonno scottato non fresco, causa di diversi malori.

Il 26 settembre un altro ristorante e il 27 due locali diversi, di cui uno serviva il sushi con la formula ‘all you can eat’.

Sono pervenute ulteriori segnalazioni il 30 settembre e l’1 ottobre, per un totale di 38 segnalazioni di irregolarità durante l’anno corrente, contro le 46 dello scorso anno.

Le autorità stanno facendo il possibile per evitare che pesce andato a male oppure conservato in cattive condizioni venga somministrato al pubblico. Talvolta vengono visitati anche i mercati ittici generali per bloccare, dal principio,  la vendita.

Molte volte è il pronto soccorso stesso ad avvisare le autorità competenti. “Non si può parlare di epidemia, ma senz’altro ci sono diversi focolai preoccupanti” – dice la dottoressa Fracchia, direttore Igiene ed Alimenti dell’ATS milanese – “chi esce a mangiare pesce dovrebbe farlo con la consapevolezza di ciò che rischia. E rivolgersi a ristoranti di cui conosce gli standard di qualità.”

Ma è difficile seguire l’intera filiera di un prodotto che dovrebbe essere acquistato e consumato nell’arco della giornata.

Bisognerebbe essere a conoscenza del fornitore che, più spesso di quel che vogliamo credere, fornisce pesci che provengono dal Pacifico, trasportati in container non adeguatamente refrigerati.

Oppure, bisognerebbe essere certi delle modalità di conservazione attuate nei ristoratori che invece, molte volte, risultano sbagliate.

Ad esempio, è abitudine consolidata esporre al pubblico, in vetrina, tranci di tonno interi, in balia di agenti atmosferici, calore e luce.

[Crediti | Link: La Repubblica]