Vernaccia di San Gimignano: il primo vino Doc italiano ha 50 anni

Guida completa alla Vernaccia di San Gimignano che 50 anni fa, esattamente il 6 maggio 1966 è diventato il primo vino d.o.c. italiano

Vernaccia di San Gimignano: il primo vino Doc italiano ha 50 anni

Visto che lo scorso 6 maggio la Vernaccia ha compiuto gli anni, per i suoi 50 come (primo) vino DOC mi sembrava giusto parlare anche un po di questi anni, importanti per la viticoltura italiana, dopo averlo fatto per il Marsala.

Il vostro smartphone non ve lo segnala ma nel calendario del vino italiano, il 6 maggio è stato un giorno speciale.

Cinquanta anni fa, esattamente il 6 maggio 1966, la Vernaccia di San Gimignano ottiene il riconoscimento come vino a Denominazione di Origine Controllata (DOC). E’ il primo vino italiano a essere insignito di questo marchio di qualità.

Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale seguono, nel giro di pochi giorni, il famoso Est!Est!!Est!!! di Montefiascone, l’Ischia e il Frascati ma è la Vernaccia di San Gimignano a conquistare il primato.

E questa è una notizia? Sì.

Anzi, è un evento di prima importanza per il vino italiano. Con l’introduzione delle DOC negli anni Sessanta nasce niente di meno che la viticoltura moderna in Italia. Ci saranno alti e bassi ma d’ora in poi si punterà sempre di più sulla qualità.

In questi anni tutto il settore vitivinicolo è in grande fermento.

Enoviaggianti come Mario Soldati e Luigi Veronelli raccontano il vino camminando tra i filari, a Milano viene fondata l’AIS, l’Associazione Italiana Sommelier, e a Verona si organizzano le prime Giornate Del Vino Italiano, la futura Vinitaly.

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Ma torniamo alla festeggiata. Anche se la Vernaccia di San Gimignano ha compiuto 50 anni come vino DOC (DOCG solo dal 1993), le sue origini sono ben più remote.

La prima documentazione è del 1276, l’anno in cui gli Ordinamenti delle Gabelle del comune di San Gimignano fissano una tassa di esportazione di 3 soldi per la Vernaccia.

Naturalmente non sappiamo quanta Vernaccia si produceva all’epoca nel territorio sangimignanese. Già nel tardo medioevo però molti documenti attestano il grande pregio di questo vino che viene considerato una bevanda da signori con cui si fanno regali a personaggi di alto rango.

Famoso il passo del XXIV canto del Purgatorio in cui Dante parla del golosissimo Papa Martino IV che andava pazzo per le anguille del lago di Bolsena che faceva annegare nella Vernaccia prima che finissero arrostite sulla sua tavola.

Anche il Decameron la menziona come vino di lusso. Nella terza novella della VIII giornata, infatti, Boccaccio descrive il paese di Bengodi dove gli abitanti si dilettano con cibo in abbondanza e bevendo da un fiume in cui scorre pura Vernaccia.

E come non citare Francesco Redi, biologo e medico granducale, che nel suo poema Bacco in Toscana, pubblicato nel 1685, elogia la qualità di questo vino.

A chi non piaccia la Vernaccia, scrive il Redi, vada a bere per sempre il vino di Peretola. Peretola, oggi caratterizzata dalla presenza dell’aeroporto di Firenze, ai tempi del Redi era una località tristemente conosciuta per la cattiva qualità dei suoi vini.

A completare il quadro è la pittura che dal Cinquecento fino al Settecento ne attesta la grande fama.

Non solo la Vernaccia appare come una metafora della città di San Gimignano in un affresco, eseguito da Giorgio Vasari per il Palazzo Vecchio di Firenze ma la troviamo anche nelle preziose opere di natura morta del pittore Bartolomeo Bimbi che all’inizio del Settecento documenta minuziosamente i vitigni più importanti dell’epoca.

San Gimignano, notte

san Gimignano notte

Tanta, tantissima storia legata a questo vino. Le due fattorie citate nei primi documenti esistono ancora oggi. Pietrafitta, la più antica risale al 961. Fu proprietà degli Acciaioli e dei Dal Pozzo prima di passare ai Savoia.

Cusona invece, fondata nel lontano 994, dal Quattrocento fino ad oggi è proprietà dei Guicciardini-Strozzi, una delle più famose casate toscane.

Anche nella seconda metà dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, tempi difficilissimi in cui la Vernaccia sembrava scomparsa, queste due aziende non hanno mai smesso di produrla regalandoci la storicità ineguagliabile di un vino che nessun paese vitivinicolo al mondo può copiare.

Altro che chardonnay australiano. Bevendo la Vernaccia ci si immerge in un fittissimo intreccio, tessuto dalla storia, dall’arte e dalla cultura millenaria della Toscana. Settecento anni in un bicchiere.

LA VERNACCIA OGGI

Uva Vernaccia, San Gimignano

Vediamo come si presenta oggi. Va detto che la Vernaccia moderna nasce non prima degli anni Ottanta del secolo scorso.

In questo periodo tutto il vino italiano subisce una radicale trasformazione passando da elemento essenziale dell’alimentazione quotidiana ad una bevanda di chiara impronta edonistica. I consumi pro capite calano – da oltre 110 litri a 65 litri – ma cresce la qualità e il valore commerciale.

Interessante notare che a questo successo contribuiscono non solo viticoltori locali ma anche persone cresciute al di fuori della Toscana. A cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta c’è infatti una forte immigrazione, sopratutto dalle Marche, caratterizzata da agricoltori che arrivano come mezzadri per trasformarsi presto in imprenditori vinicoli di successo. La famiglia Fioroni di Poggio Alloro, i Troiani di Fontaleoni, i Niccolini di Lebbio, i Giusti di Fornacelle o i Cesani.

Ma ci sono anche imprenditori del Nord-Italia che scoprono le enormi potenzialità della terra sangimignanese: Enrico Terruzzi fondatore della Terruzzi& Puthod, Giovanni Panizzi dell’omonima azienda pluripremiata o Pino Passoni e sua moglie Franca della Mormoraia.

In meno di un quarto di secolo queste persone così diverse tra di loro seguono un progetto comune: la qualità. Introducendo nuove tecniche enologiche e pratiche agricole, trasformano la Vernaccia in un prodotto di eccellenza.

Nelle vigne si cominciano ad abbassare le rese attraverso una potatura più corta dei tralci ma anche con la potatura verde, ovvero il diradamento dei grappoli, nonché la riduzione delle concimazioni.

Una rivoluzione simile avviene anche in cantina. Sulle orme del grande successo del Tignanello adesso si fa sul serio con il più grande bianco della Toscana.

Sono tre le principali innovazioni che sin da allora costituiscono la grammatica enologica della Vernaccia di San Gimignano: la vinificazione in vasche di acciaio termoregolate, l’uso della barrique e l’aggiunta di vitigni internazionali come lo chardonnay e il Sauvignon.

Ma andiamo per ordine.

VINIFICAZIONE IN ACCIAIO O IN BARRIQUE?

uva vernaccia

Il passo dalla tradizionale vinificazione in botti grandi a quella in vasche in acciaio inox ha portato indubbiamente molti vantaggi. Permetteva una maggiore igiene in cantina e la possibilità di controllare la temperatura durante la fermentazione. Tutto a vantaggio di profumi freschi, puliti e riconoscibili.

Per la Vernaccia, che ha un arredo organolettico delicato, questa scelta enologica è stata di prima importanza.

Anche l’introduzione delle barriques, le botti piccole da 225 litri, ha rivoluzionato la vinificazione della Vernaccia di San Gimignano.

Senza voler discutere qua i pro e i contro del legno piccolo va ricordato che da iniziali eccessi che hanno generato vini in cui il legno alterava fortemente i profumi e gli aromi del vino, oggi la grande maggioranza dei produttori ne fa un uso molto preciso.

Anziché creare vini in cui il falegname sembra aver preso il posto dell’enologo, si punta sulla creazione di una Vernaccia capace di evolversi nel tempo. E a questo scopo il legno piccolo serve senz’altro.

Cesani

Un ottimo esempio per queste due tipologie stilistiche lo presentano i vini dell’azienda Cesani, che si trova in località Pancole, a nord-ovest dalla città delle torri.

La loro Vernaccia di San Gimignano DOCG fa una fermentazione in acciaio a temperatura controllata prima di essere imbottigliata nell’aprile successivo alla vendemmia.

Profumi freschi che ricordano una mela verde croccante e il tipico retrogusto leggermente ammandorlato caratterizzano questo prodotto come autentico ambasciatore del vitigno.

Antipasti toscani come la fettunta, un buon prosciutto o un pecorino giovane di Volterra accompagnano questo vino per una perfetta ouverture di una cena estiva.

La Vernaccia “Sanice” invece, dopo una fermentazione in acciaio matura per sei mesi in barriques di rovere francese nuove.

Il risultato sono profumi più complessi che spaziano da sentori di pompelmo, frutta esotica e pesca a fiori bianchi e un accenno di vaniglia che piacevolmente ricorda il passaggio in barriques. Di agrumata freschezza e buona sapidità accompagnerà felicemente secondi di pesce mediterraneo.

Poggio Alloro

Anche i vini dell’azienda Poggio Alloro rappresentano molto bene le due alternative.

Nasce da una vinificazione in vasche di acciaio inox la Vernaccia di San Gimignano DOCG.

Profumi molto puliti di fiori di campo e di mele fresche, accompagnati da una straordinaria bevibilità fanno di questa Vernaccia un vino quotidiano che vi accompagna dagli antipasti fino ai primi piatti. Provatela con un risotto allo zafferano e sarà l’inizio di una lunga amicizia.

Per la Vernaccia di San Gimignano Riserva “Le Mandorle” l’azienda sceglie la cosiddetta macerazione pellicolare. A differenza di una normale vinificazione in bianco, il mosto, raffreddato ad una temperatura di 10-12°, rimane per 24 ore a contatto con le bucce con l’effetto di una migliore estrazione delle sostanze aromatiche.

Segue una spremitura soffice e la fermentazione e maturazione del mosto in barriques nuove e di secondo passaggio

Al naso si avvertono note di frutta di polpa bianca e gialla, leggermente più mature rispetto alla Vernaccia base e con un lieve accenno di vaniglia. Una sapidità marina vi fa rapidamente arrivare in fondo alla bottiglia.

L’abbinamento con pesce di mare è scontato ma lanciatevi pure oltre. Un tagliere di formaggi stagionati ci sta alla grande.

VERNACCCIA IN PUREZZA O CON SAUVIGNON E CHARDONNAY?

uva tollena san gimignano

La stilistica della Vernaccia si differenzia ulteriormente anche in base ai vitigni utilizzati. Il disciplinare di produzione prevede la possibilità di aggiungere fino ai 15% di altri vitigni non aromatici come lo chardonnay o il Sauvignon. Questa scelta è stata motivata dalla delicatezza dei profumi della Vernaccia che, secondo alcuni, non ce la farebbero da soli.

I viticoltori invece che puntano su una vinificazione in purezza ribadiscono che un adeguato lavoro in vigna può concentrare i profumi della Vernaccia senza dover ricorrere all’aiuto di vitigni migliorativi.

Anche qui la tentazione di trattare una questione di stile come una scelta tra il Bene e il Male assoluto è sempre in agguato. L’utilizzo di piccole percentuali di vitigni supplementari è una pratica che accomuna molti dei grandi vini italiani. E non sempre la scelta di produrre un vino monovarietale è quella migliore.

Come spesso accade, la vera questione sembra piuttosto quella della misura in cui si aggiungono altri vitigni.

Guicciardini-Strozzi

Per farvi un’idea, assaggiate due vini dell’azienda Guicciardini-Strozzi.

La Cusona 1933 è un prodotto ottenuto da sole uve Vernaccia di cui una parte fa un breve appassimento in cassettoni.

La Vernaccia Titolato Strozzi (2015) invece si caratterizza per l’utilizzo di 10% di Sauvignon e Chardonnay. Se vi piacciano tutte e due, perché le apprezzate per quello che vogliono essere, avete compreso la filosofia del produttore.

Teruzzi & Puthod

Certo ci sono anche scelte che nella loro radicalità vanno oltre i limiti di un disciplinare. E non raramente queste scelte – consapevolmente provocative – hanno creato dei veri e propri capolavori. Tignanello docet.

Per le terre di San Gimignano una tale provocazione è stata il Terre di Tuffi della Teruzzi&Puthod, un sorta di Supertuscan bianco, vinificato da 80% di Vernaccia con l’aggiunta di Sauvignon e Chardonnay e tutto affinato in barrique!

Le Calcinaie

Una vera sintesi invece che, a mio vedere, mette tutte le polemiche a tacere è il Vigna ai Sassi 2013 della tenuta Le Calcinaie. Una Vernaccia decisamente moderna, sapientemente calibrata da Simone Santini, titolare ed enologo dell’azienda, con una piccola percentuale (5%) di chardonnay.

Questo non è un vino truccato. Lo chardonnay qui non serve a imbellettare una struttura esile e poco espressiva. Piuttosto parliamo di uno sposalizio tra due vitigni diversi, due “anime” come dice Simone, riunite in un connubio armonico che si protrae dal naso in bocca.

I profumi intriganti di questo cru riserva che includono sentori di frutta tropicale e pesca, accompagnati da un mazzo di fiori gialli ma anche da miele, non derivano esclusivamente dallo chardonnay.

Lo dimostra il complesso arredo olfattivo della Vernaccia di San Gimignano 2014 base (vinificato in purezza) che segue la sorella riserva a distanza ravvicinata.

IL VITIGNO E IL SUO TERRITORIO

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La Vernaccia di San Gimignano è un vitigno autoctono. Certo, una volta, anche lei è arrivata da fuori. Dalla Liguria, dalla Spagna o dalla Grecia? Non lo sappiamo. E forse non è neanche importante saperlo visto che ormai da secoli alberga sulle colline intorno a San Gimignano.

Altra cosa invece è tener presente che la Vernaccia non è identica ad altri vitigni che portano il suo nome. La Vernaccia di Oristano o la Vernaccia di Serrapetrona, per citare solo le più famose, hanno un profilo genetico del tutto diverso.

Solo nel caso del Bervedino, utilizzato per il famoso Vin Santo di Vigoleno, parliamo dello stesso vitigno.

Coltivato in una zona collinare con rilievi tra i 200 e i 500 metri la Vernaccia affonda le sue radici in una terra formatasi negli ultimi 200 milioni di anni. Depositi sabbiosi e argillosi che poggiano su strati di calcare e travertino. Una volta qui c’era il mare. A testimoniarlo i numerosi fossili che affiorano in molte vigne intorno a San Gimignano.

Se quest’estate dovrete affrontare di nuovo la classica scelta tra mare e montagna, andate in un agriturismo della zona. Nelle colline sempre ben ventilate starete sicuramente al fresco e il mare ce l’avrete nel bicchiere. Molto più di un compromesso.

Montenidoli

Prima però fate una prova generale con i vini dell’azienda Montenidoli di Elisabetta Fagiuoli.

Nel Suo libro «I Vignaioli Storici», pubblicato nel 1989, Luigi Veronelli presenta Elisabetta come “una metafora della sua terra”. Bellissima espressione, precisa e affettuosa. Vorrei averla trovata io.

Da lì è cambiato molto nel mondo della Vernaccia di San Gimignano ma Elisabetta Fagiuoli è sempre rimasta al centro del cerchio di quei produttori che ne hanno scritto la storia moderna.

Non ama gli enologi di grido, i winemakers. «Sono winedestroyers», sbotta simpaticamente infuriata. «Non mi chieda perché ce l’ho con loro. Via, Le faccio vedere che cosa faccio io».

Attraversando un bosco dove ad ogni angolo ti aspetti l’apparizione di una fata, risaliamo la collina. La pioggia incessante ha trasformato la strada in una pista fangosa sulla quale il Land Rover scivola pericolosamente verso fondovalle. Temo di finire, insieme a Richard, l’importatore per la Nuova Zelanda, fuori strada. «Speriamo che non si metta di traverso un albero, non vedo più niente», dice la nostra guida. Velocemente aiuto Elisabetta a pulire il parabrezza appannato.

Ci mostra le sue barbatelle innestate in vigna e la ginestra che padroneggia in mezzo ai filari. Troppo bella per toglierla. Parla del ciclo vitale della vite che va sostenuto, del compost naturale che prepara con gli scarti della potatura e del bosco che protegge le vigne. Parlando della vite parla della vita. Della sua fragilità. Naturale allora che ci racconti anche dei suoi progetti sociali, della sua fondazione “Sergio Il Patriarca” che aiuta persone in difficoltà.

Assaggiamo. La Montenidoli Fiore 2014 sprigiona profumi freschi di fiori bianchi legati a sentori di frutta a polpa gialla ma è la bocca che rivela il terroir attraverso una rinfrescante vena acida, seguita da una sapidità intrigante. Conchiglie liquide.

Da questa sintesi di terroir passate al Carato 2010 (o altre annate), una Vernaccia in purezza, ottenuta da una selezione di grappoli dei migliori vigneti. L’uva sanissima e un affinamento per dodici mesi in legno piccolo gli conferiscono un grande potenziale per maturare.

Elisabetta mi passa un bicchiere del suo Templare (70% Vernaccia con aggiunta di Trebbiano e Malvasia Bianca) da una bottiglia senza etichetta. «Mi dica, si può ancora bere questo?», mi chiede con un bel sorriso. Eccome, se si può. Lo penso e lo dico. «L’annata?» Ci provo: «2001?» «va be’ è del 1999 – comunque bravino» mi consola.

A tavola poi si passa alle annate più recenti. Sì è fatto tardi e il pc e le note di degustazione rimangono nella borsa. Dagli antipasti e la pastasciutta passiamo al secondo di carne, accompagnato da uno sformato di asparagi, per finire con un assortimento di formaggi stagionati e no. Del dolce mi ricordo solo che è stato fantastico.

Ovviamente tutto abbinato alle Vernacce di Montenidoli.

LA SCOMESSA DELL’INVECCHIAMENTO

vitigno vernaccia

In passato la Vernaccia era spesso un vino semplice, di pronta beva. Facile da capire, economico e da consumare entro l’anno successivo alla vendemmia.

Oggi la situazione è radicalmente cambiata. Accanto alla Vernaccia base si trova la tipologia «riserva» che prevede un periodo di affinamento di almeno 11 mesi a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla vendemmia.

Per la riserva spesso si utilizzano le barriques. Questi vini pensati per durare e evolversi nel tempo intensificano con il passare degli anni il loro colore che vira da un giallo paglierino con riflessi verdolini a un giallo dorato ma soprattutto ampliano i loro profumi di frutta e di fiori freschi che si arricchiscono di sentori più maturi, accompagnati da note minerali e qualche volta anche da spezie come lo zafferano.

La Panizzi è stata l’apripista e dei vini di Montenidoli e del loro grande potenziale di invecchiamento vi ho appena parlato.

Palagione

Concludo indicandovi le due versioni di Vernaccia di Palagione. L’azienda di Giorgio Comotti si trova vicino a Castel San Gimignano, all’estremo limite della zona di produzione della Vernaccia, su un’altezza di 320 m. s.l.m. Attualmente ha una superficie aziendale di circa 40 ha dei quali 16 a vigneto.

La Vernaccia Hydra ottenuta da un vigneto di sola Vernaccia, impiantato nel 1998 viene vinificato in acciaio con una sosta sui lieviti per circa quattro mesi.

Ho assaggiato le annate 2010 – 2009 – 2008 – 2007 e 2005. Tranne il 2008 – anno difficile – tutti ottimi, caratterizzati da un ventaglio di intensi profumi floreali, di frutta e note di idrocarburi.

Eccellente il 2009 che al complesso arredo olfattivo degli altri vini aggiunge sentori di glassa e melone, un’ottima corrispondenza tra naso e bocca e un finale lungo. Una Vernaccia sorprendente, un coro in una voce sola.

L’Ori, la loro riserva, anch’essa 100% Vernaccia, fermenta in barrique. Per il 2006 ho annotato: intensi sentori di fiori gialli, di mela cotogna, papaya, spezie, piacevole tocco di crema di vaniglia, glassa, burro. In bocca sapido e burroso (battonage), persistente. Fine non in vista.

Tutto questo in un bicchiere di un bianco toscano. Auguri Vernaccia!

[Crediti | Link: Dissapore, immagini: Borgo Collena]