Il pranzo della domenica | Pan Condicio

Il pane fatto in casa

Negli anni ’60 il pane della domenica era “la doppia”. Allora le panetterie sottocasa il pane lo facevano davvero, cominciando dalla farina e dall’acqua e non dagli impasti pret-a-porter: c’erano il pane al latte, all’olio e quello comune. Verso mezzogiorno era finito, restavano un paio di “torinesi” e un filoncino, se t’accontentavi. Non c’era la moda dei mille pani in mille modi sempre pronti, via dal frigorifero le confezioni di pasta industriale e pedalare. Allora il sabato la produzione raddoppiava, il fornaio iniziava a impastare prima di mezzanotte; poi  si comprava anche la razione per la domenica, appunto “la doppia”. Oh, mica nel Rinascimento, ma trenta o quaranta anni fa, la domenica si mangiava il pane del giorno prima (ooooh, dice il pubblico).

Non era granchè, a dir la verità: il pane comune reggiano è fatto con farina di calibro subatomico, crosta sottile, bianco-bianco. Il giorno dopo diventa secco e vaporoso, nemmeno tanto buono per la zuppa. Ma i grissini, crackers, prodotti industriali da forno allora non erano d’uso, e noi eravamo di bocca buona: con il brodo e il lesso ci stava anche il pane raffermo.

Poi venne internet, e la panificazione casalinga divenne un altro terreno su cui le fazioni si contendono il primato: da un lato i cultori della pasta madre, senza la quale pare siano in gioco gli stessi diritti costituzionali; dall’altra i faciloni del lievito chimico, ragazzoni con l’espressione un po’ ebete che si divertono a mischiare acqua e farina e fare le formine con gli stampini. Ma la soddisfazione è la stessa, in fondo: sentire l’aroma del pane fresco sprigionarsi dal forno la domenica mattina, quell’aroma inconfondibile, arcano: di cose che hanno cambiato di qualità, visto che il pane è l’alimento primo e insostituibile. L’aroma delle cose che con la meraviglia assorta dei bimbi, si sono trasformate nella magia della lievitazione.

Per una volta, resistete alla tentazione di andare al Forno della Vecchia Madia della Vecchia Nonna dell’ Antica Fattoria: lavorate il pane con i vostri P.E.U. [Piccoli Esseri Umani] che è ludico ed educativo per loro, ma soprattutto per voi. Imbrattatevi le mani fino ai gomiti, immergete il volto nella farina profumata, che se anche ne va un po’ sul tappeto persiano dopo si tira via. Guardate la forma crescere di vita propria, la crosta indurirsi al calore; spaccate il pane e mangiatene a mani nude con quello che preferite, o anche da solo: caldo, dolce, accogliente. L’estasi è a portata di mano.

E perlamordiddio, se lascerete perdere quelle malefiche macchine per il pane non è perchè siete neo-luddisti, ma solo per evitare qualche insulto a gratis.

[Immagine: Pascal Fellonneau]