Apericena, Aperigay, Aperibau. Perché? Perché? Perché?

Apericena, Aperigay, Aperibau. Perché? Perché? Perché?

Sto cercando casa, per questo negli ultimi mesi mi sono quasi affezionata a quella strana figura antropologica dell’agente immobiliare. Il mio preferito, cravattone lilla e scarpe talmente lucide da sembrare catarifrangenti, in preda allo sconforto di non riuscire a propormi qualcosa di realmente papabile, un giorno se n’è uscito con una frase ad effetto che passerà alla storia dell’Accademia della Crusca: “mi jollo il bilo”.

Sgomento.

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Trattasi di uno slang al limite del sopportabile per dirmi che si stava giocando il suo “jolly”, un bilocale a sua detta imperdibile.

Da quel momento, nulla mi risultava lessicalmente più indigesto di quella frase, nulla fino a quando l’ora dell’aperitivo non si é trasformata in una infinita serie di neologismi da far sanguinare le orecchie. Al limite della decenza linguistica, bar e ristoranti si sono arrogati la facoltà di declinare l’aperitivo con mille diverse desinenze, fino ai recenti nonsense in cui ci imbattiamo quotidianamente.

Sono solo due le macrocategorie umane (con una eccezione per la tipologia dell’agente immobiliare cravattato, che meriterebbe uno studio approfondito): quelli che all’aperitivo si ingozzano come oche all’ingrasso abbassando tutte le asticelle del giudizio gastronomico, e poi il restante 0,1% delle persone che all’aperitivo ci vanno per preparare lo stomaco alla cena vera.

Io, appartenente alla seconda macrocategoria, sono una fiera nostalgica delle due olivette e quattro patatine della Milano da bere, e sento venir meno l’appetito al pensiero di partecipare a qualcuno di questi raduni per ignari masturbatori della lingua, ma sono anche irrimediabilmente attratta dai volantini di eventi aperi-tutto.

Per solleticare le voglie senza fondo della categoria numero uno nasce all’inizio l’aperibuffet, ma oggi ha sbancato l’ormai onnipresente apericena, italianizzando la nefandezza oltreoceanica di mescolare due termini, ad esempio breakfast e lunch e indottrinarci con il mitico brunch, a cui ci siamo subito prostrati per la nostra sudditanza psicologica da esterofili.

E, non essendoci un limite al peggio, oggi si sfiora il ridicolo con il tentativo mal riuscito di attirare agenti immobiliari e sciagurati gggiovani feticisti dello slang, grazie ad aperitivi a tema che riescono persino a far passare la voglia di bere o mangiare.

Aperipizza

É il caso dell’aperipizza, dell’aperigelato (ma perché mai prima di cena dovrei accompagnare un cocktail con del fior di latte?), dell’aperinduja (declinazione regionale calabrese), dell’aperipanelle (dalla Sicilia con furore), dell’aperibirra.

Ovviamente dell’aperialoe.

“E per i nostri dolci amici a quattro zampe?” citando virtualmente un servizio di Studio Aperto, la risposta é semplice e scontata: l’aperibau rappresenta il punto più basso di una degenerazione di forma e sostanza.

Ma c’é altro, ascoltate e sognate: aperipanino, aperipesce, aperifritto, taglierivino (qui una notevole e rivoluzionaria inversione di tendenza, un piccolo capolavoro della fantasia umana, secondo me).

Ci sono gli aperitivi a tema cibo (aperigriglia, aperignocchi, aperibrace, aperibufala), ma anche quelli per accaparrarsi la benevolenza di una certa tipologia umana sfruttando le diverse inclinazioni personali: aperibasket, aperibeach, aperibook.

Non si contano quelli di stampo musicale: aperijazz, apericena in consolle, aperilatino e aperhiphop. Per finire ecco anche quelli studiati per il pubblico femminile (aperigold, aprichic, aperiglam), e per par condicio sappiate che esistono anche gli aperigay.

aperinduja

Il mio studio sull’antropologia dell’aperi-coseacaso é andata oltre: oltre ai volantini per i collezionisti cartacei come me, il vero strumento di promozione di questa rivoluzione sociologica sono Facebook e Twitter: l’esperimento che vi propongo é quello di una connessione il giovedì alle 19,32. É provato scientificamente un esponenziale ingorgo di post a titolo “aperi-time”, una sorta di piaga sociale che sta ad indicare il momento esatto in cui si consuma la tragedia collettiva dell’aperi-qualcosa.

Come per ogni indagine sociologica che si rispetti, cerchiamo di tirare le somme: siamo figli del telefilm californiano, pastasciuttari nell’anima eppure trendaioli all’accorrenza, soprattutto quando crediamo che una certa dose di “sbatti”, di “easy” e di “aperipizza” sia sinonimo di uno stile di vita “so cool”.

Forse é proprio la nostra natura di wannabe italici a spingerci al limite della decenza linguistico-comportamentale.

Aperindignati uniamoci: boicottiamo il torpiloquio indecente e combattiamo il nemico a suon di “aperitorta” in faccia, per essere gentili.