Pericolo botulino: regole pratiche per evitare brutte sorprese nelle conserve fatte in casa

Pericolo botulino: regole pratiche per evitare brutte sorprese nelle conserve fatte in casa

Un paio dei miei ultimi post hanno scatenato discussioni sul pericolo botulino. Fra allarmisti e lassisti, chi si ripromette di acquistare un’autoclave e chi per sì o per no caccia decine di barattoli nel congelatore (ragazzi, ma che freezer avete? tutti a pozzo?), ho colto una certa confusione.

Si è detto tutto e il contrario di tutto. Ma siccome stiamo parlando di un pericolo concreto e serio che, come è noto, può portare alla morte in men che non si dica, questa volta non è il caso di scherzare ma di mettere un po’ ordine fra notizie, teorie e certezze.
Per farlo, non sono andata a scavare nei ricordi del mio corso HACCP, non ho chiesto pareri ad amici e colleghi, non ho telefonato a zia per chiedere lei come fa.

Più semplicemente, ho cercato in rete “botulino Ministero della Salute” e ho recuperato il documento “Linee guida sulla corretta preparazione delle conserve alimentari in ambito domestico”, realizzato dal Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo dell’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con il Ministero della Salute, la facoltà di Bioscienze e Tecnologia Agro-alimentari e Ambientali dell’Università degli Studi di Teramo e il Centro Antiveleni di Pavia e rilasciato dal sito governativo questo luglio.

Si tratta di un documento molto interessante, singolarmente ben scritto e non pedante (come sono a volte i testi ufficiali), con tante informazioni e indicazioni, anche pratiche, che vi invito a leggere.

Se, però, siete pigri, ve ne riassumerò qui i punti salienti, virgolettati, delle parti dedicate al botulino, giustamente individuato come nemico pubblico numero uno.

Botulino, cos’è?
La sindrome botulinica è provocata da un batterio, il tristemente celebre Clostridium botulinum, che in fase vegetativa produce una tossina estremamente nociva per l’uomo anche in dosi minime. Il CB e altri clostridi suoi parenti, tutti produttori di tossine, “si trovano naturalmente nella polvere, nel suolo, nei sedimenti, nell’acqua, nei vegetali e negli animali, sotto forma di spore… Le spore sono forme di resistenza che i microrganismi utilizzano per sopravvivere in condizioni ambientali sfavorevoli.

Quando i clostridi produttori di tossine botuliniche sono in forma di spora non sono pericolosi, ma possono diventarlo se si trasformano in cellule vegetative”.

Condizioni (s)favorevoli.
Cosa permette alle spore di attivarsi è presto detto: l’assenza di ossigeno (il clostridio è anaerobio) e la presenza della cosiddetta “acqua libera”.
Nel primo caso, sembrerebbe che siamo messi male, perché le conserve per definizione sono messe sottovuoto: se così non fosse, non si conserverebbero, sicché dobbiamo rassegnarci e agire su altri fronti.

Per esempio sull’acqua libera. Non solo, come è lampante, conservando i prodotti dopo averli essiccati, e quindi privati il più possibile dell’acqua (è il caso, per esempio, del peperoncino secco da usare se si vuole preparare un olio piccante). Ma anche “rendendola indisponibile, ‘legando’ l’acqua totale con sostanze come lo zucchero o il sale da cucina”.

Per quanto riguarda le quantità, “si dovrebbero preferire le ricette in cui è previsto uno stesso quantitativo di zucchero e di frutta, in ogni caso non si dovrebbe mai scendere sotto i 700 g di zucchero per kg di frutta”, mentre “la salamoia deve contenere almeno il 10% di sale (100 g di sale per ogni litro di acqua)”.

Come sei acido!
Altra nemica giurata del clostridio è l’acidità: il batterio si attiva con pH>4,6. Ecco perché è fondamentale scottare nell’aceto gli ortaggi prima di metterli sott’olio.

Per curiosità, il pomodoro è accreditato con una acidità compresa fra 3,9 e 4,6, quindi al limite ma, come giustamente consigliato anche su queste pagine in passato, se si usano cultivar poco acide (o, nel dubbio, in ogni caso) si può fare una piccola aggiunta di limone: “per un litro di succo di pomodoro generalmente è sufficiente aggiungere due cucchiai da tè di succo di limone”, consiglia la guida.

Questione di gradi
E veniamo alle temperature. Il clostridio non produce tossine a temperature inferiori a 10°. Quindi, la congelazione è sicuramente un sistema sicuro per inibirlo, ma lo è anche la conservazione in frigorifero, naturalmente per tempi limitati, una settimana o giù di lì: non perché dopo 10 giorni il clostridio si ringalluzzisca ma perché, più il tempo passa, più altri microrganismi, come le muffe, possono attaccare e compromettere la qualità e la salubrità dei cibi.

Questo vale a patto che il vostro elettrodomestico abbia una temperatura corretta, compresa fra 4° e 8°. Cosa che non sempre accade, soprattutto con i modelli più vecchi, quelli tenuti troppo pieni o aperti troppo spesso.

Per verificarla, basta un termometro: potrete individuare il punto più freddo del vostro frigo e riporre lì gli alimenti più a rischio. I modelli più recenti sono dotati di termometro e display e rendono tutto più semplice.
Attenzione, però: il freddo inibisce ma non uccide il batterio, che muore solo a temperature molto alte, superiori a 120°, non ottenibili in casa a meno di avere la famosa autoclave domestica.

Se però combiniamo diversi fattori, possiamo avere garantita la sicurezza: “a livello domestico è possibile bloccare la germinazione delle spore mediante acidificazione o aggiunta di sale o zucchero, oppure mediante congelamento. Tutte le conserve che non possono essere trattate come indicato sopra, devono essere sterilizzate (trattate a temperature superiori ai 120°, ndr) e quindi non possono (il grassetto è nell’originale, ndr) essere prodotte in modo sicuro a livello domestico”.

Questo non ci esime, naturalmente, dal sottoporre le nostre conserve alla classica bollitura in acqua, ovvero alla pastorizzazione: “si tratta di trattamento termico che si effettua generalmente a temperatura minore o uguale a quella di ebollizione dell’acqua ed è in grado di distruggere la maggior parte degli enzimi e molti microrganismi, ma non le spore”. E, tanto per ribadire il concetto: “gli alimenti pastorizzati, infatti, potendo contenere microrganismi vitali, devono essere sottoposti ad ulteriori trattamenti che bloccano lo sviluppo microbico.

Generalmente tali trattamenti prevedono l’acidificazione dell’alimento oppure la conservazione per tempi limitati in frigorifero”.

Crudo o cotto?
Tutto quel che ho detto sinora vale, naturalmente, per le conserve da consumare così come sono, appena aperto il barattolo. E se, invece, il contenuto fosse sottoposto a una successiva cottura, come una conserva di pomodoro usata per un sugo o un ragù?

In questo caso, la tossina eventualmente prodotta verrebbe distrutta: bastano 10-15 minuti a 80° (fonte: Fondazione Veronesi), misurati al cuore del prodotto. In sostanza un sugo, preparato a partire da una conserva casalinga, che sobbolle allegramente sul fornello per una mezz’oretta è sicuro.

Non fosse ancora chiaro, ve lo spiego così: se, nonostante tutte le precauzioni, nella conserva fossero rimaste spore di clostridio, queste non verrebbero distrutte da una normale pastorizzazione; in ambiente anaerobio, a bassa acidità e con acqua libera a disposizione, passerebbero alla fase vegetativa producendo la tossina botulinica mentre i vasetti se ne stanno a temperatura ambiente in dispensa; tuttavia, aperto il barattolo, una successiva cottura del prodotto a più di 80° distruggerebbe la tossina, pur risparmiando il batterio, che però di per se non è pericoloso.

Ricapitolando.
Acidità, e/o sale/zucchero e pastorizzazione. Altrimenti, conservazione tassativa in frigo, per pochi giorni, o in freezer.

Ah, dimenticavo: igiene. La guida si dilunga sull’argomento, ma davvero devo essere io a ricordarvi di lavare bene mani e utensili, ortaggi e frutta prima di mettervi all’opera?