Forma vs. sostanza nel piatto: due mondi agli antipodi?

Forma vs. sostanza nel piatto: due mondi agli antipodi?

Pronta per i vostri denti, la sempreverde polemica tra il partito del gusto e quello dell’estetica. Sono in molti quelli pronti a giurare che le due strade raramente s’incontrano e sporadicamente si sposano alla perfezione.

Io stessa, sottoposta a domanda, ho risposto più volte “per me sostanza, grazie”, ma se ci sono entrambe in perfetta sintonia è meglio, no?

La questione è spinosa, eppure i partiti sono netti e contrastanti: c’è chi vuole sostanza, tanta, e decenza nella presentazione senza troppi sfarzi. C’è chi ama molto l’estetica e la considera indispensabile in un piatto che si voglia definire tale.

Mi soffermo così tanto su questo dualismo che fa discutere perché arrivo da una gita a Ischia e quando si parla di Nino De Costanzo, chef de Il Mosaico, ristorante dell’hotel Manzi, gli animi si accendono, da sempre.

Nino è un entusiasta gentile, le sue parole cordiali, la sua esperienza in Italia e all’estero smisurata, la sua voglia di perfezione altissima, la passione per i colori e le forme tutta nei suoi piatti, la ricerca della materia prima che parli del suo territorio un punto di partenza.

Siamo seduti al tavolo in cucina, dove si assiste a una danza dai ritmi perfetti, chef e brigata si muovono all’unisono. Mi è piaciuto Nino Di Costanzo, mi è piaciuto Il Mosaico, dal cestino del pane alla piccola pasticceria.

Nino racconta le sue giornate, che cominciano alle 6 del mattino e finiscono in media alle 3 di notte, eppure lui non si scompone. Quella è la sua vita, andare al mattino a Ischia e nel primo pomeriggio a Procida a comprare il pesce. Madre e nonna sono le sue muse.

Da Nino di Costanzo mi sono emozionata, è il tipo di chef a cui non siamo abituati, diverso dai colleghi mediatici e spigliati. Tutto il suo estro arriva a tavola nel piatto. La sua passione, anche per il modellismo, non te la deve raccontare, è lì di fronte a te.

Così le pietanze diventano un tutt’uno con il piatto, ricercato e pensato per accoglierle. Non tolgono importanza al cibo, lo esaltano e completano.

Diventano belle, geometriche o barocche, eccessive a volte. Tutte contribuiscono a stupire. Eppure l’estetica non le distoglie dal compito primario, essere molto buone, assolute quasi.

Un esempio su tutti è “Le Paste… le patate”, dove ventidue (22!) formati di pasta incontrano patate diverse(per varietà, colore, forma e consistenza, ma lo stesso diventano il ricordo dell’antica Pasta e Patate e cambiandola la migliorano.

Così è per Pasta e Piselli, dove l’assoluto della verdura primaverile è più di tutto.

Preceduto dall’antipasto “Passeggiata Napoletana”, dove tra gli altri ci sono una gelatina di salsa Nerano e un intreccio di zucchine e merluzzo, burrata e cialda di pomodoro, un bicchiere con pesto e crema di melanzane, un cannolo con burro montato alle alici, acqua di fagioli.

Ancora il crudo di mare, presentato in grandi mattonelle colorate di vetro di murano, trasparenti come i crudi.

Carpaccio di gambero tigre con ricotta di bufala montata, caviale e chips di limone e cerfoglio; hamburger di calamaro condito agli agrumi tra due foglie di spinaci e limone candito e tanto altro lungo una cena che somiglia a un film sino ai dessert.

Da Napul’è, studiato insieme al pasticcere Antonino Maresca, fino ai dolci che raccontano il bello e il brutto di Napoli, maglia di Maradona (sfogliatella e crema di ricotta di bufala), sangue di San Gennaro (fragoline di bosco in un sacchetto sottovuoto), tazzulella ‘e cafè (crème brûlée con caramello di sambuca), Totò (babà, amarene, bavarese alla vaniglia), immondizia (gelatina in nero di seppia e biscotti fritti), spaghetti al pomodoro (crema di limoni, acqua di lampone e cocco croccante), una tovaglietta di articoli di quotidiano con errori ortografici, da assaporare ascoltando in cuffia “Napul’è” di Pino Daniele.

Campano o no, una lacrima scende insieme a un sorriso e forma e sostanza diventano imprescindibili l’uno dall’altro.

Alla fine di questo viaggio, continuo a chiedermi qual è il confine, se c’è, del bello per restare buono? Quando andiamo in ristoranti come Il Mosaico e spendiamo tanto (menù vini esclusi 150 euro) ci aspettiamo anche l’emozione, lo spettacolo, il piatto bellissimo?

O tanta ricerca ci indispettisce, tanta forma ci distoglie dalla sostanza del piatto?