Guida completa ai fattori che trasformano gli alimenti in tormentoni

Guida completa ai fattori che trasformano gli alimenti in tormentoni

Un cavallo di battaglia dissaporiano è il tema della moda e della fugacità di un ingrediente, oppure di una ricetta, con i soliti cadaveri che escono dall’armadio (rucola, pennette alla vodka). Ma per non fermarsi a questi, cos’è che unisce secondo voi fiori commestibili e topinambur, birre IPA e chinotto, quinoa e amaranto, lievito madre e farina macinata a pietra, caffè filtrato e Lambrusco?

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Sono tutti, o lo sono stati, alimenti alla moda. Senza dimenticare tartare sushizzate, pranzi domenicali brunchizzati, innocenti biscottini macaronati e torte della nonna cupcakizzate.

L’argomento scalda il cuore e la penna di David Sax, che spiega con piglio sociologico e abnegazione anglosassone in un libro (consigliatissimo) perché adoriamo i cupcake e non amiamo più la fonduta.

Commentando con il palato mi verrebbe da dire “David, parla per te”, ma le sue considerazioni non sono affatto peregrine, anche se abusano della vecchia teoria del bisogno socialmente indotto. D’altronde siamo quelli che si accampano con giorni di anticipo, non per assistere alla reincarnazione live di Jimi Hendrix, ma per comprare un telefono che costa quanto un forno e un frigorifero.

Avete mai pensato da dove nasce una moda gastronomica?

Soffermandoci meglio sulle conclusioni del libro, i fattori sono quattro:

FATTORE CULTURALE. Qui il paragone è sociologicamente ardito: il sushi sarebbe entrato a far parte della cultura americana, negli anni ’80, con l’arrivo dei videogiochi Nintendo. E poi a pioggia negli altri paesi, Italia compresa.

FATTORE GASTRONOMICO. Non può essere tutto fuffa e marketing; se aumenta a dismisura la produzione di un alimento deve per forza di cosa entrare nelle diete dei consumatori. Pubblicità, comunicazione, persuasione più o meno occulta: Sax evoca casi americani come bacon e avocado. Ma vogliamo parlare, per dire, dei pistacchi di Bronte?

MODE LEGATE AGLI CHEF. Che siano telechef o lavorino più discretamente solo dietro i fornelli delle loro cucine impongono dei trend. Vogliamo dirne alcune? Il piccione, le interiora, le risottature, la texture.

MODE SALUTISTE. La necessità, o la presunta necessità, di mangiare alimenti sani perché siamo quello che mangiano e bla, bla, bla. Amiamo pensare che alcuni alimenti ci facciano un gran bene e il bio vola anche in periodi di deflazione.

In pratica, se cominciate a mettere lo zenzero ovunque, a bere succo di melograno biologico, ma contemporaneamente vi devastate di hamburger sublimandone la grassezza con il km 0, il formaggio Dop e il pane fatto con il lievito madre non è per caso. State rispondendo a una serie di influenze sempre più veloci e difficili da decifrare, ai tempi dei social network. E c’è poco da fare gli hipster o i post-moderni (se ancora esistono), esserne consapevoli non cambia la direzione delle cose.

Non so come la vedete voi ma io ci aggiungerei anche l’editoria gastronomica, no? D’altronde, a torto o a ragione, siamo anche noi a trasformare un alimento in un tormentone, a riportarlo all’attenzione del lettore a renderlo “virale” – parolaccia che ormai si usa per dire tutto e non significa più niente.

Sbaglio? Non mi dite che 10 anni fa la carbonara suscitasse tutto questo clamore! Nelle case non ha mai smesso di far felici le famiglie ma da qui a vederla protagonista di show coocking, dibattiti, libri, classifiche e violentissimi flame ce ne passa!

Sì, siamo sempre quelli che si accampano per comprare quel telefono lì.

[Crediti | Public Affairs, New Yorker]