Opinione impopolare: dare voti ai ristoranti non è un peccato d’arroganza

Opinione impopolare: dare voti ai ristoranti non è un peccato d’arroganza

Alla fine dei voti pare non interessare più niente a nessuno. Nemmeno all’istituzione fondata su questi: la scuola. Avrete letto che in Francia si discute per eliminarli perché sono diseducativi, brutti e conformisti. In Italia siamo meno convinti ma il dibattito esiste.

Non ne sono mai stato un fanatico, però i voti, semplificano, selezionano e fanno risparmiare tempo. E possono essere anche un gioco, dove dominano palle, stelle e giudizi grafici. Guai poi a citarli nel nostro campo. [related_posts]

Qui l’autorità interpretativa paga a caro prezzo lo scotto dei nostri tempi, che mal tollerano chi si occupa di dare un parere, costruendosi una credibilità con lo studio. Non tutti lo fanno è vero, ma la tensione a conoscere quello di cui si parla non andrebbe svenduta troppo alla leggera.

Perché non esiste concetto più bislacco, falso e ignorante del De gustibus.

Tenetevelo voi e ridatemi l’argomentazione.

Siamo poi sicuri che quest’umanità saccente e nervosa dietro le mura liquide di Internet voglia così fortemente liberarsi dal voto?

A me non pare che nessuno li sostituisca con strumenti diversi o con chissà quali pratiche rivoluzionarie. Di certo non le guide tradizionali. Il voto del Gambero Rosso è composto dalla somma di tre punteggi: cucina (fino a 60), cantina (fino a 20) e servizio (fino a 20). L’Espresso ha i decimi su una scala che va da 1 a 20 (e per premiare posti speciali come l’Osteria Francescana di Massimo Bottura s’inventa i 19,75). Non mancano Cappelli e Forchette. La scala della guida Michelin va da una a tre stelle.

Ma oggi la lotta è tutta incentrata sul sottrarre l’arbitrarietà ai pochi eletti e darla in pasto ai tanti. Producendo un gusto sociale o “social” se preferite veloce, leggero, ma (permettetemi) tremendamente superficiale.

Però il critico deve morire, lo sappiamo.

Salvo poi scagliarsi contro TripAdvisor e le stroncature folli (le recensioni false, o la presunta “violenza psicologica” che esercita). Oppure fare del post sulle stelle Michelin il contenuto più letto di quasi tutti i foodblog del pianeta.

Insomma, qualcosa non mi torna.

Del resto se dare i voti a un ristorante, o un punteggio a un vino fosse un’esperienza così anacronistica mi sfugge la ragione di esistenza e il continuo nascere di di siti, app e guide. Ognuno convinto di essere utile, quando non indispensabile.

Possibile che tutti li leggono e li consultano solo per puntare il dito contro il reato di arroganza insito nel produrli questi giudizi? E che siamo rimasti soltanto in pochi, vecchi bacchettoni, a leggere la firma prima dell’articolo?

[Crediti | Link: Corriere, immagine: clker.com]