Ricette romane: stavo a morì, me mancava la Pajata. Elogio di un piatto “zozzo”

Ricette romane: stavo a morì, me mancava la Pajata. Elogio di un piatto “zozzo”

Alert: post su piatti romani scritto da una lombarda e solo dopo controllato da un indigeno.

Per apprezzare al meglio i piatti romani ci vuole solo una buona bocca, un po’ di coraggio e una buona dose di non-romanità. Insomma, non per dire che i romani non sanno apprezzare i loro piatti, ma per sottolineare piuttosto quanto i classici romanacci della cucina possano diventare oggetto del desiderio gastronomico per chi, come me, a Roma ci viene due volte l’anno.

Prendete la pajata, ad esempio. Ai romani l’hanno tolta, quella fatta con l’ingrediente misterioso, la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte, come si toglie il lecca lecca a un bambino.

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Poi li hanno lasciati lì per anni ad aspettare, a promettere e non mantenere, a farli salivare come il cane di Pavlov al solo pensiero.

Per quattordici lunghi anni, da quando nel 2001 venne cancellata per far fronte all’emergenza mucca pazza, hanno potuto solo sognarsela di notte, mentre di giorno l’unica cura palliativa era concedersi qualche surrogato non originale (ristoranti e trattorie usavano sino a oggi l’intestino di agnello).

pajata

Ma ora, alla UE piacendo, è tornata (prima di trovarla in macelleria bisognerà aspettare che la normativa sia in vigore, una ventina di giorni) e nella capitale esplode il giubilo, meglio del Giubileo. E’ la solita, vecchia storia del desiderare tantissimo qualcosa che non possiamo avere e, ad esempio, investire nella pajata le vostre più viscerali aspettative da gourmet.

In fondo abbiamo qualcosa in comune noi e i romani a cui è stata privata l’identità culinaria con il veto di un piatto simbolo come i rigatoni con la pajata. Noi non romani (lo dico ai romani de Roma) stiamo così tutto l’anno, come voi durante i vostri anni di astinenza dalla pajata, che poi è solo uno dei miracoli culinari che siete capaci di creare. Nello specifico, poi, la concentrazione di desiderio viscerale del milanese o torinese si focalizza sui piatti che potremmo racchiudere nella categoria degli “zozzi”.

Altolà! Probabilmente dietro l’angolo ci sarà chi mi accusa di pressapochismo geo-gastronomico (“piatti zozzi a Roma perché non sono fighetti come a Milano???”).

Invece sono certa che i più romani dei romani de Roma mi concederanno l’uso del “zozzo” per identificare una tipologia mangereccia ben specifica, di cui forse la pajata è manifesto.

cucinare la pajata

E i milanesi, non rabbrividiscano nel sapere che prima di mettersi ai fornelli è necessario spellare e pulire l’intestino del giovane vitello ma senza privarlo del latte, o meglio del chimo, una sostanza lattiginosa molto ricca d’acqua, e poi cucirlo per evitare che il liquido si disperda in cottura.

La prelibata interiora viene poi soffritta con gli odori e cotta con il pomodoro per ottenere il tipico sapore del sugo con la Pajata, con cui si condiscono i rigatoni insieme a una generosa dose di pecorino romano.

E poi ci sono gli altri piatti zozzi: la coratella, la coda alla vaccinara, la trippa alla romana, per fare tre esempi. Zozzo potrebbe essere quell’ingrediente che, se non è quinto quarto, almeno fa rizzare qualche capello agli schizzinosi (davanti alla coda ho testimonianza diretta di nasi arricciati che non potete immaginare).

Zozzo potrebbe essere un piatto pesante, dalla digestione lunghissima e che ti procura “l’infarto alla panza“.

Ma zozzo è pure un modo di cucinare sguaiato e meraviglioso come quello della Sora Lella.

A ben pensarci anche il risucchio dell’ossobuco a Milano potrebbe essere tranquillamente annoverato tra i piatti zozzi, ma un certo grado indentitario di romanità riesce a dare un’accezione molto più credibile.

I piatti zozzi sono come la pajata, veri e difficili e si pronunciano in modi che i milanesi fanno fatica a riprodurre.

Comunque ora, pur abitando quassù, voglio partecipare quanto possibile alla felicità capitolina del piatto ritrovato. E per farlo al meglio ho raccolto qualche indirizzo “zozzo” dove andrò a fare scorta di pajata nelle mie prossime vacanze romane:

Flavio al Ve l’avevo detto
Matricianella
Osteria Tutto qua
Osteria San Cesario
Trattoria Tram Tram
Cesare al Casaletto

Dico bene, romani?

[Crediti | Link: Dissapore, Il Messaggero, YouTube, immagini: Yoka, Scatti di Gusto]