I paradossi di Rocco Iannone (questo post è senza foto per volontà dello chef)

No-FotoQualcosa non torna. Me lo ripeto ossessivamente lungo i 53 chilomentri della Napoli-Salerno che separano casa mia dal tavolo del ritorante “Pappacarbone” dove ho appena finito di pranzare con una madeleine calda. Tra le mani giro e rigiro un barattolo di marmellata. Più tardi vi spiego, ma ora, se permettete, torno al prima. Prima di arrivare avevo digitato “Rocco Iannone” su Google: un diluvio di 34.900 articoli, un terzo più del maestro indiscusso della ristorazione mediterranea Alfonso Iaccarino. Una volta arrivato e parcheggiato (con difficoltà) nel centro di Cava dei Tirreni, mi sono diretto in cucina, scortato, per salutare lo chef. Gli ho detto che avrei provato il menù degustazione del giorno e con tutta la cautela del caso ho chiesto il permesso di fotografare qualche piatto.

Un attimo e con la mimica e gli accenti che la tivù ha reso famosi si è trasformato in un fiume in piena, contrariato dallo stile fotografico amatoriale che imperversa su Internet, da tutti quelli che vengono per scrivere, appuntare, scrutare. E che pretendono di illustrare i suoi piatti con macchinette da foto ricordo della scampagnata. “La cucina è una cosa seria” mi dice rivolto alla tela con la quale Santi Santamaria, primo chef 3 stelle Michelin in Spagna, gli attesta la sua miglior esperienza culinaria in Italia.

Mi accomodo, maledicendo la scomodità della seduta e la pochezza della carta dei vini. Cerco di concentrarmi sulla cucina, ottimi il Crudo di cicala su polenta in zuppetta e i Tortelli di patata e mozzarella con gamberetti e  calamari. Migliorabili gli Spaghetti con cacio fuso e bottarga di muggine, impeccabile la Ricciola scottata con scarola. La sua è una cucina davvero riconoscibile, coerente e rispettosa della dea natura. Direi in linea con la sobrietà delle sale, non un orpello inutile, mai un ingrediente di troppo.

La ricerca della materia prima è il tratto distintivo, Rocco è uno che si sporca le mani, all’occorrenza sa usare la zappa o guidare il furgone, conosce verdure e carni di mare o di terra come pochi, la precisione millimetrica delle sue cotture è da manuale. Di tutti i maestri che ha avuto ama ricordarne uno, non Marcattilii né Ducasse ma “la mamma”. “Dovrò cucinare altri 20 anni per arrivare alla sua perfezione” dice. Quando chiedo a Gaetano, che sovrintende la sala, del sito web in costruzione da 2 anni, allargando le braccia risponde che sarà pronto quando Rocco lo riterrà utile, per ora gli basta una schermata con l’indirizzo. Nel frattempo, dopo le comparsate a Striscia la Notizia, sono nati i Fan Club, Gianfranco Vissani lo ha portato in TV, la sua crociata contro gli additivi imperversa sui blog.

Pago il conto,  oramai troppo facilmente a tre cifre, mi regala una marmellata di more sussurrando “mangiati qualcosa di genuino”. Richiedo inutimente di avere la stampa del menù che aveva appena finito di preparare.

Con una piccola matita avevo furtivamente appuntato su un fogliettino stropicciato tutte le portate. Lo conserverò insieme all’elegante, dettagliatissimo menù di cartoncino 4 facciate in due colori del ristorante Celler de Can Roca. Nel mondo si sa, c’è spazio per tutti…