Officina Cucina: secondo piano, citofonare Andrea

“Buonasera”. “…Mmmm seraaaa !” (Ho i piatti in bilico, se mi fai passare e’ meglio). “Abbiamo prenotato all’Officina per le nove”. ” Mmmm … Stasera ?” Ahia. “SI STASERA, PERCHE’ ??!!?” “Mmmm … Andreaaaaaa”, e Andrea scende le scale, jeans e scarponazzi figherrimi [cit.] Così, e’ cominciata così all’Officina Cucina, un ristorante con un solo tavolo e uno chef che cucina solo per quel tavolo. Parcheggio comodo. E noi, che dopo rimostranze civili ma ferme, abbiamo pensato che peggio non si poteva cominciare. E che abbiamo anche pensato “che storditi! Un solo tavolo e sbagliano anche la prenotazione!”. E loro, che invece si sono sbattuti per far partire la baracca solo per noi, offrendoci anche un sostanzioso aperitivo nell’attesa.

E l’errore … che e’ stato nostro … ma in buona fede (povera giustificazione).

Il pane risente della partenza shock e lo dimentichiamo subito.

Lo chef si allinea al pavimento per le scuse, lo fa per tutta la serata, lo fa anche alla fine con un conto forse un po’ troppo magnanimo.

Passata la buriana non ti accorgi di altro, il caos iniziale scende di tono e rimane il cibo (perche’ lo schermo lo facciamo spegnere con la solita cortese veemenza). Il tre gamberi in pasta kadifi (dubito si scriva davvero cosi’) non sorprenderebbe troppo se non per quella piccola siringhina di plastica con un contenuto liquido arancione conficcata in cima. Che e’ succo di carota. Il suggerimento e’ per la suzione con testa rovesciata all’indietro ma la nutrita troupe femminile si schernisce e allora, tra suzioni contro natura e spremiture da operai di mensa, rimane il gambero molto kraftig e una carota che perde un po’ il suo perche’. Ma ci pare un buon inizio.

(lo chef si scusa)

Le “capezzagne” dei miei appunti sono (verosimilmente) capesante, e il finocchio e liquirizia invece sono finocchio e liquirizia. Io con le capesante ho un rapporto malevolo. Quando le scelgo e’ una scelta pigra, scioperata e perdigiorno e pelandrona (tutti i sinonimi a prova di Google). Quando sono in un giro degustazione come questo le bollo ancora primo di vederle, che barba che noia [cit.]. Esagero ? Poi non e’ che non siano buone, ma sembrano spugnette sulle quali puoi poggiare qualsiasi cosa, tipo un sassolino raffermo, e farlo esoticizzare. Il supermercato, ecco, mi ricordano il supermercato. Se fossi “un chef” le estirperei dalla terra. Capezzagne, appunto. Che scivolano via.

(lo chef si scusa)

Anche perche’ poco dopo arriva il barracuda mantecato. Che e’ esotico davvero, anche se non e’quello cattivo cattivo. Dice che e’ una specie del Mediterraneo, asseragliata per difendersi da pere sciroppate in moka (?). Impallidisce il baccala’. E cerchi di capire come possa un uomo anche solo pensare un piatto del genere, non dico prepararlo.

(lo chef si scusa)

Poi arriva l’omogeneizzato, quello di una volta, quello nel vasetto di una volta. Ma piu’ scuro, denso, e consistente. E’ lepre, passata di riduzione in riduzione in un processo che dura giorni e che sforna un concentrato di sapore violentissimo, ma senza pungiglioni. Come un cazzotto che ti sposta di qualche metro ma senza farti un buco in pancia. Piatto difficile, del quale potrebbe bastare uno zic tanta e’ la persistenza. Oppure da annaffiare con una bottiglia di Radikon.

(lo chef si scusa)

Poi il meglio, e il piu’ semplice. Pare.

Un cubetto di tartare con senape e tartufo. E’ semplice, forse potrei farlo anche a casa ma la sensazione e’ che non sarebbe buono, no nemmeno la meta’.

(… dopo le scuse dello chef …)

Siamo verso il fondo e arriva il momento del risotto, un piccolo ultimo sforzo per un risotto alla robiola e composta di fragola. Che non viene banalmente distribuita ma costituisce un nucleo a se’, disassato rispetto al centro ovviamente, che non siamo nel regno della geometria. Ed e’ ghiacciata. A chi mangia l’onere della scelta, mischiare o no?

Bene, manca solo il dessert. Che arriva, dopo le scuse dello chef, con il famoso gelato all’azoto preparato al momento e un tortino di mele forse un po’ troppo dolce.

Caffe’ dalla moka per i fan.

Per tutti gli altri non c’e’ spazio che per un amen, e una promessa di prenotare correttamente la prossima volta. Colto di sorpresa ha sfornato tutto questo, possiamo immaginare cosa potrebbe tirar fuori con adeguata preparazione?

Il “Maina” (Andrea, non il panettone) e’ un “pazzo” che non sta fermo un momento, inventa, sperimenta e dà fuori di matto per poi contenersi e ripartire. Ma ha un che di affascinante anche per tipi noiosi come noi. Se poi provate a estirpargli qualche informazione riservata sugli altri chef del panorama. Ah, interessati al prezzo?

Officina cucina
c/o Monaci sotto le stelle, via S. Zeno – 119, Brescia
Tel. 030 225689
Chiusura: Mai
.

[Crediti | Immagini: Claudio Coltellini, Facebook, Viaggiatore Gourmet]