Teste di turco: “Gesù! Fece Montalbano assettandosi”

Si fa presto a dire bignè. Si fa presto a dire aiuto spirituale. Se doveste trovarvi dalle parti di Scicli, bella cittadina barocca del ragusano, non meravigliatevi troppo di quel che potreste vedere nelle pasticcerie. O nelle sue chiese. Dipinti di Gesù Cristo in gonnella, statue rapite con ardore dalla folla nel giorno di Pasqua e restituite con difficoltà ai legittimi proprietari, presepi dalle facce poco palestinesi e molto siciliane, Madonne a cavallo che trascinano tra gli zoccoli i nemici degli sciclitani… Eh, già. Avete capito bene.

Altro che figure eteree con lo sguardo delicato pregate nel silenzio delle cappelle. Da queste parti le Madonne sono più pragmatiche: cavalcano destrieri, sguainano spade, guidano eserciti. E il popolo che commemora il fatto ancora oggi lo rievoca con rappresentazioni di piazza mentre pasteggia amabilmente con le teste degli sconfitti. Mai scalpo fu più dolce.

Cosa accadde è presto detto. Successe – arrivo al sodo per non annoiarvi – che nel 1091 le “saracinesche armate” sbarcarono sulle coste siciliane tentando di riconquistare l’isola. Il conte Ruggero d’Altavilla, comandante delle truppe normanne sopraffatte dai saraceni, decise di affidare la propria sorte al cielo chiedendo un aiuto divino. E l’aiuto arrivò sotto forma di una Madonna guerriera che guidò l’esercito normanno sconfiggendo gli invasori. Ai quali, poveretti, non rimase che tornarsene nei loro paesi consumando il “trofeo dei vinti”. Un dolce a foggia di turbante ripieno di ricotta. La testa di turco, per capirci.

Mentre prepara con maestria acquisita dalla pratica familiare, Davide Basile è un fiume in piena. Racconta questo e altri aneddoti della sua amata città mentre fotografiamo il suo laboratorio, attenti a non divulgare i segreti della lavorazione che ciascuna famiglia porta con sé. Spiega e impasta. Racconta e mescola. Mostra compiaciuto il suo lavoro. Un tempo prodotte solo per la festa della Madonna delle Milizie con diametri fino ai 20-25 centimetri, si trovano ormai tutto l’anno in misure più contenute, adatte al consumo individuale.

Si fa presto a dire bignè però. Niente burro, che in Sicilia è considerato poco più di una bizzarria continentale. Strutto allora, che viene sciolto prima di aggiungere la farina. Poca l’acqua, una cucchiaiata di sale, un numero spropositato di uova – più di trenta per chilo.

La bilancia elettronica lascia presto la scena alla vecchia bilancia del padre: tradizione, sottolinea Davide, ma in questo modo si impedisce che l’occhio del pasticciere si adagi alla perfezione asettica dei dosaggi creando un sapore sempre uguale, industriale quasi. Gli ingredienti si amalgamano fino ad ottenere un impasto fluido e, con l’aiuto di una sacca, l’esercito dei nostri saraceni comincia a prendere forma.

Mezz’ora di forno caldissimo – sono saraceni, mica norvegesi – e le truppe sono pronte per conquistarci con la loro bontà…

Per conquistarmi obbligatorio l’assaggio: riempito il mio dolce scalpo con la crema (vox populi riferisce che sia tra le migliori in città) addento il “trofeo dei vinti” violando contemporaneamente una decina di norme del galateo con la stessa grazia di un bimbo di cinque anni.

Finito l’assaggio – dovere di cronaca, che credete – ritorno nel civile consesso ripulito di tutto punto. Lasciamo Davide al bancone mentre spiega ad una coppia di turisti l’origine e la preparazione della cobaita, l’ennesimo strepitoso dolce degli Iblei introdotto dagli arabi. Sarà anche il suo lavoro, però quanta passione ci mette.

Pasticceria Basile, Viale I Maggio, 3 – Scicli (RG).

[Crediti | Immagini: Marco Blanco]