Se compro un piatto diventa mio, i foodblogger si oppongono al divieto di foto al ristorante

Se compro un piatto diventa mio, i foodblogger si oppongono al divieto di foto al ristorante

Scattare compulsivamente foto ai piatti prima di ingoiarli quando si è al ristorante (ma anche a casa, dalla mamma, in pizzeria, al bar, in mensa…insomma: sempre!) e condividerli con i propri amici immaginari sui social network: ciò si chiama foodstagramming. Se ne è tornato a parlare parecchio in settimana dopo che alcuni ristoratori di New York lo hanno proibito ai clienti vietando l’uso di macchine fotografiche e fotocamere a tavola.

Per qualcuno è noioso e tremendamente insopportabile (i commensali non dotati di uno smartphone, quelli nati prima del 1970, quelli che vorrebbero cenare in santa pace e magari conversare amabilmente di attualità, quelli che invece di scattare foto di cibo sfogano le proprie pulsioni fotografiche sui gatti, sui loro figli o sui loro piedi), per altri è semplicemente una smania irresistibile: “perché mai sarei venuto in questo costoso ristorante se non posso farlo sapere ai miei amici immaginari“, si chiede in buona fede il foodstagrammer! Del resto, “se acquisto un piatto diventa mio“, dice il cliente dal pollice opponibile che pigia la fotocamera “lo mangio, lo fotografo e lo condivido quanto mi pare!”

Come dargli torto?

A sentire questa posizione gli chef si dividono in due categorie: i tolleranti dello scatto  e i contrari. Della seconda schiera fanno parte quelli che si dicono apertamente allergici ai flash e alle macchinette perché disturbano la sala e perché il foodstagramming è contrario alla buona educazione, quelli che malcelatamente pensano che la diffusione delle immagini circa i piatti può rappresentare una specie di spionaggio industriale e violazione di copyright e quelli che “il piatto l’ho inventato io e lo gestisco io, e quindi le foto gliele fa solo chi voglio io”!

Anche qua da noi gli approcci sono diversi: Davide Oldani, come raccontano quelli del Corriere (estensori di un articolo che ha fatto arrabbiare persino la mite Cavoletto, regina del foodblogging), non permette ai blogger di scattare foto, mentre ci sono altri chef per niente turbati dalle immagini “rubate”, e che anzi ritengono quella del foodstagramming una trovata di marketing virale gratuita: vietarla sarebbe un suicidio!

In definitiva, tra camerieri che portano i clienti in cucina per scattare foto migliori (è successo), blogger che scattano compulsivamente annoiando persino il partner, un cuoco (successo anche questo), chef che istruiscono il personale a svergognare pubblicamente l’ospite che scatta anche solo una foto del suo piatto (do you remember Rocco Iannone?), tipi come Valery Rizzo, che, racconta il New York Times, “insegna fotografia con l’iPhone“, ripeto “insegna fotografia con l’iPhone”, meglio dirlo ancora: “insegna fotografia con l’iPhone”, troveremo mai un compromesso?

[Crediti | Link: New York Times, Corriere.it, Twitter, Dissapore]