Senza glutine. In Italia non c’è gusto a essere celiaci

Senza glutine. In Italia non c’è gusto a essere celiaci

Tra i piaceri gastronomici io metto sul podio la pizza, gli spaghetti e il pane, quello buono. Peccato che per un italiano su 100 questa semplice gioia sia off-limits: mi riferisco ai celiaci. Finché il problema non ci coinvolge in prima persona, è difficile capire le difficoltà e i limiti che affliggono le persone intolleranti al glutine.

COS’E’ LA CELIACHIA?
Si tratta di un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in molti cereali di uso comune (frumento, farro, orzo, segale, kamut, spelta…). Ecco la lista completa degli alimenti permessi e non. La causa della celiachia è una predisposizione genetica, le manifestazioni cliniche sono estremamente variabili e di diversa intensità, tanto che spesso si arriva alla diagnosi con molto ritardo perché facilmente confondibili con altre malattie.

Esistono diversi esami meno invadenti cui sottoporsi per accertarne la presenza, ma solo la biopsia intestinale fornisce la certezza.

L’unica cura consiste nella totale astensione dai cibi contenenti glutine e consente la regressione totale delle tipiche lesioni intestinali. Detto così sembra semplice, basta non mangiare pane e pasta, ma da un’analisi più attenta, si scopre che la presenza del glutine, anche solo in tracce, è praticamente ovunque e un’intolleranza grave costringe ad un radicale cambiamento dello stile di vita.

LA MIA ESPERIENZA.
Pur non essendo celiaca, per qualche mese, su consiglio del mio medico sportivo, ho adottato una dieta che escludeva oltre alle carni rosse e alcune verdure, anche il glutine. Il problema mi ha toccata solo marginalmente, ma mi sono resa conto di quanti e quali limiti incontra un celiaco.

A CASA.
Con un po’ di collaborazione da parte dei famigliari, a casa non ci sono grossi problemi. Ho scoperto che esistono valide alternative al classico piatto di pasta: oltre al riso in tutte le sue varietà, sono permessi anche mais, miglio, grano saraceno, amaranto, quinoa… e se proprio non si resiste all’ossessione dei dù spaghi, si trovano facilmente, nei negozi specializzati, in farmacia e nei supermercati forniti, vari formati di pasta di riso, di mais o di grano deglutinato, oltre a pane, biscotti e dolci. Certo, hanno costi elevati (il pane, per esempio, arriva a 14 euro al chilo), ma attraverso il sistema sanitario è possibile, per i pazienti diagnosticati, ottenere un sussidio che va dai 100 ai 150 euro al mese. Per me, che ho la tendenza a vedere la metà piena del bicchiere, l’esclusione delle graminacee è stata uno spunto per sperimentare nuovi sapori: zuppe di miglio, tortini di quinoa, insalate di grano saraceno, crespelle di riso, e ai momenti di nostalgia dei gusti più tradizionali sopperiva l’onnipresente polenta, che un tempo sostituiva quotidianamente il pane sulle mense dei contadini del nord.

E FUORI CASA?
Finalmente arrivo alla metà vuota del famoso bicchiere. Una cena al ristorante, una serata in pizzeria, il pranzo di lavoro o la colazione al bar per un celiaco possono rappresentare uno scoglio. L’opzione gluten-free è contemplata in un numero ristretto di locali, basti pensare che a Roma sono solo 35 gli esercizi che offrono la garanzia di un pasto/spuntino senza glutine certificato dall’AIC, Associazione Italiana Celiachia (con esercizi non si intendono solo ristoranti e pizzerie, ma anche i bar e i negozi dedicati) e Roma è la città in cui si sta meglio in questo senso; seguono Milano con 18 locali segnalati, Torino con 16 e Napoli con 11.

La mia esperienza, per quanto limitata, mi ha portato ad alcune considerazioni. Ok, ho pochi dati a disposizione e non me la sento di generalizzare, però, anche da quanto emerso dal confronto con altre persone afflitte da celiachia, ho l’impressione che certe tendenze siano piuttosto diffuse. Essere smentita non potrebbe che farmi piacere.

LA PIZZA.
Se è un’impresa trovare il locale gluten-free, va anche peggio con la pizza, non dico eccelsa, ma almeno decente. Le normative per ottenere la certificazione sono rigidissime, al limite dell’impossibile, il massimo che sono riuscita ad ottenere è stata una crosta dura e secca, quasi sicuramente precotta, quindi farcita e riscaldata in un fornetto elettrico a parte. Tutto corretto e sicuro, per carità, ma lontano anni luce dall’assomigliare ad una pizza. A peggiorare le cose c’è di solito una maggiorazione del prezzo che parte dai 2 euro. Eccezione alla regola, una delle pizzerie ancora in corsa nel Campionato italiano della pizza di Dissapore, Michele da Ale a Senigallia.

Ora, vabbè, si può vivere anche senza pizza, no? Ma scegliendo il ristorante le cose non vanno molto meglio. I piatti per celiaci, oltre che limitati a due o tre scelte, mi sono sembrati abbastanza banali, lo stretto necessario per ottenere certificazione e adesivo da appiccicare alla porta. Insomma, la mia personale impressione è che l’opzione “menù senza glutine” sia più un escamotage per conquistare una fetta extra di clientela che riflesso di una vera ricerca.

Io credo che le alternative al classico piattino di pasta deglutinata ci siano eccome. Qui vorrei lanciare una provocazione e una sfida a questi ristoranti: ci proviamo a creare un menù per celiaci invitante e gustoso, che non risulti solo sicuro ma nvogli alla prova anche gli altri commensali? Sarebbe un modo per non far sentire “diversa” una categoria di persone che aumenta del 20% ogni anno.

Due curiosità: rientrano nel circuito dei senza glutine alcune gelaterie della catena Grom e il ristorante biovegetariano Fata zucchina di Verona, rilevato da Anna Lupi aka Uccello di fuoco Masterchef. I patiti del talent show della cucina avranno un sussulto.

Adesso chiedo a voi: conoscete la celiachia direttamente o per esperienza altrui? Avete mai provato un menù gluten-free? Conoscete qualche realtà che, diversamente dalla mia, vale la pena segnalare?

[Crediti | Link: Celiachia, Ristosito, AIC, Michele da Ale. Immagine: Loveyourdiaeta]