Sostiene Amnesty: diritti umani calpestati in nome dell’olio di palma

Amnesty ha indagato sulle piantagioni indonesiane di Wilmar, colosso che fornisce 9 multinazionali. Le condizioni di lavoro per donne e bambini sono durissime, e la paga misera. Mentre Colgate, Nestlé o Unilever dicono ai consumatori che i loro prodotti a base di olio di palma sono sostenibili

Sostiene Amnesty: diritti umani calpestati in nome dell’olio di palma

Bambini dagli 8 ai 14 anni che portano sacchi pesanti oltre 25 chili, costretti a lasciare la scuola ed esposti tutto il giorno a pesticidi tossici.

Donne che lavorano anche 12 ore al giorno, e che non possono rifiutare gli orari di lavoro estenuanti senza il rischio tangibile di essere licenziate, eppure non riescono nemmeno a mettere insieme il salario minimo, equivalente a poco più di 2,5 dollari al giorno.

Lavoratori intossicati dal paraquat, un composto chimico estremamente velenoso utilizzato ancora oggi nelle piantagioni, per quanto vietato dall’Unione Europea, oltre a essere esposti al rischio di danni respiratori causati dall’inquinamento seguito agli incendi delle foreste avvenuti tra l’agosto e il settembre 2015, e di cui ancora oggi si avvertono le conseguenze.

Questo sono le sconcertanti rivelazioni che emergono dalla pubblicazione di un rapporto di Amnesty International dal titolo “Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti”, frutto di un’indagine sulle piantagioni indonesiane di palme da olio appartenenti al colosso alimentare Wilmar, con sede a Singapore, il principale fornitore di 9 diffusissimi marchi internazionali: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.

Le rivelazioni sono frutto di un’intervista a 120 persone che hanno lavorato nelle piantagioni Wilmar a Sumatra e nel Kalimantan, il Borneo indonesiano, e che evidenziano come anche multinazionali che hanno sempre dichiarato di rifornirsi presso piantagioni sostenibili siano in realtà assidue clienti del colosso di Singapore.

“Non c’è nulla di sostenibile nell’olio di palma fabbricato con lo sfruttamento infantile e i lavori forzati femminili”, dice Meghna Abraham, uno degli operatori che hanno portato aventi l’indagine per Amnesty International.

“Le aziende stanno chiudendo un occhio di fronte allo sfruttamento dei lavoratori nella loro catena di fornitura. Nonostante assicurino i consumatori del contrario, continuano a trarre benefici da terribili violazioni dei diritti umani. Le nostre conclusioni dovrebbero scioccare tutti quei consumatori che pensano di fare una scelta etica acquistando prodotti in cui si dichiara l’uso di olio di palma sostenibile.

C’è qualcosa che non va – continua Abraham – se 9 marchi, che nel 2015 hanno complessivamente fatturato utili per 325 miliardi di dollari, non sono in grado di fare qualcosa contro l’atroce sfruttamento dei lavoratori dell’olio di palma che guadagnano una miseria”.

Nel frattempo, Amnesty International ha fatto sapere che darà il via a una campagna per chiedere alle aziende di informare i consumatori se l’olio di palma contenuto in prodotti diffusissimi quali il gelato Magnum, il dentifricio Colgate, i cosmetici Dove, la zuppa Knorr, la barretta di cioccolato KitKat derivi dalle piantagioni in questione.

Perché la prima pericolosità dell’olio di palma è data non tanto dalla tipologia di grassi contenuti, ma dalle condizioni a cui sono sottoposti i lavoratori che ce lo forniscono.

E’ questo il vero, grande problema dell’olio di palma.

[Crediti | Link: Repubblica.it]