La polemica sulla pizza “a canotto” spiegata bene

Il giornalista Daniel Young, riportando un'opinione del maestro Enzo Coccia, si è reso protagonista di un'accesa discussione tra pizzaioli napoletani e i giovani pizzaioli specializzati nella cosiddetta pizza 'a canotto'.

La polemica sulla pizza “a canotto” spiegata bene

“Dove andiamo a mangiare la pizza?” La risposta a questa domanda meriterebbe decine di post, addirittura uno storytelling dedicato.

Scegliere dove andare a mangiare la pizza è diventata una faccenda difficile, anche perché il ventaglio delle possibilità, in Campania almeno, si è allargato a coda di pavone.

L’ultima tendenza, se così la si vuole chiamare, è quella delle pizze “a canotto”.

Che non è il gommone dei giochi d’acqua, ma una pizza dal cornicione (o bordo) pronunciato e ad elevata idratazione, il cui impasto cioè prevede un rapporto tra acqua e farina spinto fino all’80%.

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Questo modo di fare la pizza si è diffuso tra Caserta e la sua provincia, come Dissapore vi ha raccontato dopo aver visitato le cinque migliori pizzerie della nouvelle vague casertana.

Una scuola di pizzaioli nuova e giovane, visto che i creatori delle pizze “a canotto hanno tutti tra i 20 e i 40 anni.

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Il canotto, tuttavia, è sbarcato (o ritornato) anche a Napoli: in piena area flegrea, a Pozzuoli, ha aperto la pizzeria 10 di Diego Vitagliano specializzato in “Nuvole” condite.

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Un video pubblicato da Francesco Di Dato (@d2frank) in data:

Noi che su Dissapore viviamo di pizza e di amore ci siamo rivolti a Francesco Martucci, pizzaiolo e patron de “I Masanielli”, una delle 5 migliori pizzerie della nouvelle vague casertana, per una spiegazione della pizza “a canotto” fatta bene.

Martucci un po’ ci tira per le orecchie: “Ma quando la finiremo con questa pizza “a canotto”? Chiamiamola in un’altra maniera!

Non basta stendere di meno la pasta, come sostengono i pizzaioli della vecchia guardia napoletana, per ottenere la pizza dal cornicione pronunciato.

Certo, una delle operazioni da fare è portare più impasto verso i bordi, ma se questo fosse l’unico passaggio da effettuare, avremmo una pizza molto piena alle estremità e praticamente inesistente verso il centro, incapace di contenere la farcitura.

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E, soprattutto, non ci sarebbero quelle belle alveolature (da alveoli, i piccoli buchi che si formano nell’impasto e raccontano molto di come è lievitata la pizza), le cosiddette “caverne”, e non ci sarebbe l’estrema digeribilità che la caratterizza.

Tutto parte dalla selezione di grani e farine, che un numero sempre maggiore di pizzaioli decide di selezionare, o addirittura di produrre personalmente.

Si preferiscono farine con minore tenore proteico, che grazie alle lievitazioni lunghe e le maturazioni, si trasformano in pizze molto più digeribili, anche per chi ha ipersensibilità a glutine e lieviti.

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I cornicioni così magnificamente privati della pasta si ottengono grazie a un particolare processo: la pasta, molto indebolita, viene facilmente attaccata dagli enzimi che “svuotano” la massa.

La pizza è leggera, la sensazione di star mangiando una nuvoletta impalpabile è strabiliante.

E poi, possiamo dirlo sottovoce tra noi maniaci dell’hashtag, quei cornicioni cavernosi sono incredibilmente fighi da fotografare.

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Il problema è che la nuova tendenza ha creato più di qualche spaccatura tra i Maestri pizzaioli campani.

Divergenze che sono state portate alla luce, e neanche tanto elegantemente, da un giornalista inglese che risponde al nome di Daniel Young.

Daniel Young è una specie di poltergeist della pizza, uno che sguazza senza gommone nella zizzania, abbiamo abbondantemente parlato di lui riguardo la guida alle migliori pizzerie del mondo: Where to eat pizza.

Quella che ha immeritatamente piazzato la pizzeria Mozza di Joe Bastianich in settima posizione tra le migliori pizzerie del mondo, tanto per dirne una.

Ma torniamo alla faccenda delle pizze galleggianti.

Daniel Young ha riportato sul suo profilo Facebook una presunta chiacchierata avuta con il decano dei pizzaioli napoletani, lo stimato Enzo Coccia della pizzeria La Notizia.

Fateci caso: la pizza “canotto” nella traduzione di Daniel Young è diventa”bullshit”, una stronzata.

Cosa che, comprensibilmente, ha fatto scoppiare il gommone.

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Un rumore dalla pancia del Vesuvio avrebbe fatto meno danno: ai giovani pizzaioli, quelli della Nuova Scuola, girano vorticosamente le pizze.

Se la sono presa per il trattamento poco gentile riservato alle loro pizze dal cornicione pronunciato.

La replica di Enzo Coccia un po’ si fa attendere, però alla fine c’è, con tanto di post dedicato sul suo sito personale.

 

Si tratterebbe del classico lost in translation, Coccia si spiega così. Si dilunga sulle differenze storiche e sociali tra pizza a ruota di carro e pizza meno stesa: se nei quartieri ricchi di Napoli, Vomero in primis, si usava stendere meno la pasta perché i clienti erano facoltosi e sazi, nei quartieri poveri del Mercato, del Pendino, del Porto, si usava tirare e schiaffeggiare la pasta di continuo, per dare l’impressione al popolo di mangiare di più.

E che quindi chiamare una pizza con il cornicione pronunciato “a canotto” significaimpiegare una terminologia impropria. E siamo a due.

Spiegazione convincente secondo alcuni, per altri la classica pezza ‘a colore, cioè la toppa sul guaio ormai fatto.

Nel frattempo che i pizzaioli si decidano a fare la pace, noi continueremo a mangiare la pizza in tutte le forge, galleggianti o meno.

E poi, anziché litigare, perché non trovare un appellativo migliore, che i canotti fanno tanto Parietti che fu?

[Crediti | Link: Dissapore, Enzo Coccia | Immagini: Dissapore, Diego Vitagliano]