Scrittori Verdi Fritti al Salone del Libro: ecco come è andata

Da aspirante scrittrice mi sono sempre immaginata gli editori come omaccioni tristi e pure un po’ grigi, spocchiosi perché in grado di cambiare il destino delle persone e presuntuosi perché spetta a loro decidere cosa ha senso pubblicare e cosa è destinato a ingiallire nel cassetto. Ma quelli che hanno partecipato alla tavola rotonda per Scrittori Verdi Fritti sabato scorso, nel delirio di un Salone Internazionale del Libro affollatissimo, non erano esattamente così. Esigenti sì, severi pure, ma vivaci, chiacchieroni, generosi nel consigliare e, guarda un po’, persino simpatici. E colorati.

Con Stefano Cavallito (editore con Lamacchia e Iaccarino della guida piemontese Cento50) abbiamo letto le 5 storie scelte tra le tante che ci avete mandato chiedendo agli ospiti di giudicare quale fosse la migliore. C’erano Luisella Arzani di Lonely Planet, Marco Bolasco di Slow Food, Luca Burei di Edizioni Estemporanee e Roberto De Meo di Giunti.

Questi i cinque scrittori verdi fritti alla sbarra:

Daniele Cortese
“Sara” è la storia di una donna quarantenne che, a causa di un incidente, non riesce più a sentire i sapori. La sua condizione sarebbe stata sopportabile “se avesse fatto di mestiere l’archeologa o la commercialista, la clarinettista al limite. Ma si occupa delle materie prime nella cucina di un grande albergo romano, forse il più importante. Non vuole perdere il lavoro e allora ricorda, ricostruisce, “restaura” una memoria emotiva legata al cibo, alla materia, ai ricordi di bambina”.

Samuela Conti e Manuela Micucci
Marì Sol è una giovane cittadina metropolitana con i file al posto dei neuroni. Grazie all’amicizia con un contadino ritroverà il rapporto con la terra e con il cibo nel suo aspetto più rurale: “Il bollore del latte riflesso negli occhi, la rottura della cagliata, la creazione manuale delle forme di cacio, saranno celebrazioni solenni che arricchiranno l’inossidabile morale della ragazza vestita di tecnologia”.

Riccardo Impallomeni
Il protagonista del romanzo dal titolo: “Osteria dell’Orologio Fermo” è un Oste, “un gran bastardo di Oste con un occhio verde come un oceano di erba appena falciata e l’altro giallo venato d’inferno”. Ha una malformazione congenita che gli impedisce di camminare correttamente ma non è di certo questa l’unica caratteristica di diversità del nostro vecchio. Nel villaggio, infatti, tutti credono che oltre cucinare abbia poteri magici.

Mariateresa Paternoster
“[La mia idea consiste in] un ricettario letterario. Aneddoti di vita vissuta, inerenti le problematiche tipiche della vita di ogni giorno: amore, amicizia, lavoro, incontri casuali, mobbing, ricordi, matrimoni, festività, morte, cinema, libri, tutti scritti in uno stile differente, quello che meglio si addice al tema trattato […] A questi racconti viene associata una ricetta scritta nel medesimo stile, ricette che riporteranno il procedimento non in maniera puntuale ma metaforicamente”

Caterina Vianello
Questa l’idea: un ragazzino sedicenne si inventa una personalità alternativa attraverso blog e social network spacciandosi per uno chef in guerra contro una multinazionale che ha causato la chiusura del suo ristorante. Con l’aiuto dell’anziana nonna franco-friulana e grazie ad un uso brillante del 2.0, ingaggerà una battaglia telematica in nome di territorio e tradizione convincendo la platea telematica.

Il giudizio è stato unanime: Mariateresa Titty Paternoster, tra l’altro presente alla tavola rotonda, ha avuto l’idea più convincente (con tanto di scambio dei contatti con un editore… in bocca al lupo!) Dopo di lei, Daniele Cortese con “Sara”.

I nostri editori hanno spiegato che negli altri racconti il cibo sembra essere solo una scusa per scrivere il romanzo, il ché va bene in termini di narrativa, ma rende difficile iscrivere la storia nella categoria Romanzo Gastronomico. Categoria che rappresenta un ottimo tentativo di superare il linguaggio tecnico e ormai superato di molti saggi, guide e ricettari ma deve necessariamente mantenere la centralità sul cibo. Chiedono e consigliano più coraggio, più intraprendenza, competenza e idee brillanti. Suggeriscono poi di presentare le storie in modo originale perché, come sempre, è il primo approccio che convince alla lettura. Senza quello il manoscritto finisce nel tritacarte, per dirla in modo romanzato.

Ora sapete più o meno come la pensano gli editori di mestiere, ma siccome da queste parti il vostro giudizio è quello che conta, come la pensate voi? E così, a occhio, quale tra queste cinque storie avreste preferito?