Don Alfonso: siamo stati nel “ristorante di lusso” migliore d’Italia per Tripadvisor

Abbiamo visitato il ristorante Don Alfonso 1890, della famiglia Iaccarino. Classificato al primo posto nella classifica italiana, e al quinto in quella mondiale nei Traveller's Choice di Tripadvisor. I critici dell'Espresso, però, hanno assegnato solo 3 cappelli su 5 al relais.

Don Alfonso: siamo stati nel “ristorante di lusso” migliore d’Italia per Tripadvisor

La settimana scorsa sono accadute due cose significative in questa fetta di mondo: prima di tutto, sono stati resi noti i risultati del Traveller’s Choice 2016, la classifica annuale targata Tripadvisor che ‘sistema’ in una classifica i ristoranti migliori – prima Paese per Paese, e poi nel mondo.

Criteri per l’assegnazione delle posizioni in classifica: un algoritmo ha preso in considerazione la qualità e la quantità delle recensioni di tutti i ristoranti iscritti nel sistema, per un periodo di 12 mesi.

Il popolo della Campania può appuntarsi con orgoglio al petto, tra coste e colline, il titolo di “ristorante di lusso” migliore d’Italia: nella fattispecie, si parla dell’arcinoto Don Alfonso 1890, personificato nel clan intero degli Iaccarino (Vesuvio di maccheroni, vi dice niente?).

Tutti gli altri possono ringalluzzirsi perché il ristorante è presente nella medesima classifica estesa a livello mondiale: al quinto posto, giusto qualche posizione più su dell’Osteria Francescana.

Mentre il clickbaiting imperava sui risultati, s’è abbattuto il secondo ciclone di chiacchiera gastronomica. P’trament, direbbero i napoletani –all’improvviso– abbiamo constatato i discussi risultati della ristrutturata Guida L’Espresso.

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Cuochi, abbandonate i punteggi e calcate bene i cappelli in testa:

Ebbene, la gloria del web non corrisponde agli onori della critica, tanto che il relais&chateaux guidato da Ernesto Iaccarino, appena premiato da TripAdvisor, guadagna soltanto tre cappelli su cinque.

Parecchio dietro ristoranti che i gourmand tralasciano nelle proprie prenotazioni.

Pare quasi di sentirli, i critici de L’Espresso: voi, popolino del web che si ostina a leggere recensioni raffazzonate, a pigiare stelline a mo’ di assoluzione o condanna con lo stesso movente, a fare onanismo grazie a qualche fotografo ben equipaggiato, siete un branco di sciocchi.

Sciocchi, perché tutto quello che spendete in questi posti, in realtà non equivale a una qualità che noi, oligarchia autoreferenziale, sappiamo riconoscere.

Ciò che si imputa ai critici della Guida guidata da Enzo Vizzari, è però la fumosità nei criteri di selezione della Guida, tanto che la questione ha generato parecchio clamore sul web.

Si predilige la tradizione? L’innovazione a discapito della tradizione? Rompere gli schemi? Una continuità?

Chissà.

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Noi comunque, fedeli alla linea “prima provare poi parlare“, dopo aver visitato l’Osteria di Montecarelli a Barberino, che ha vinto l’altra classifica di Tripadvisor (migliore osteria economica d’Italia), al Don Alfonso ci siamo andati di persona, approfittando degli ultimi giorni di apertura stagionale.

Who’s who. Cos’è il Don Alfonso 1890?

Il Don Alfonso non sarebbe ciò che è se non fosse per loro: Alfonso e Livia Iaccarino.

Alfonso lo si incrocia in giro per il relais, classe 1947, rilevò la mitica Pensione Iaccarino dopo aver studiato alla scuola alberghiera di Stresa. Ha l’aria di un politico, Don Alfonso, di un’autorità.

Di Livia, invece, non si può far altro che innamorarsi. Una figura gentile, adorabile sentirla parlare in francese con i clienti, augura a tutti di emozionarsi con i piatti.

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Nel 1973 ha inizio la loro avventura insieme al ristorante: arrivano i riconoscimenti la fama, le stelle, quelle che una terra così controversa come la Campania non aveva mai avuto. Ne arriva una, poi due, hop, arriva anche la terza.

Negli anni Novanta, il Don Alfonso, arroccato com’è in quella manciata di case che è Sant’Agata, detta legge al mondo sul cosa è l’alta cucina, su come si fa l’alta cucina.

Poi –inspiegabilmente– la terza stella fu tolta e mai più riacquistata, almeno fino ad ora.

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Entrato a far parte del prestigioso circuito Relais&Chateaux, conta anche una società di consulenze per ristorazione, una scuola di cucina e un’azienda agricola, Le Peracciole (anche se definirla soltanto azienda agricola è riduttivo) .

Da circa 20 anni, grazie ai loro 30 ettari di terreno siti a Punta Campanella (frazione Termini), propongono verdure di stagione e uova da galline allevate a terra.

La scuola di cucina offre diversi moduli: una lezione completa, modulo primo-secondo-verdure, costa 290 euro, cifra facilmente aggirabile con una lezione di gruppo.

La consulenza è un motore importante dell’intera azienda: sono ben 7 i ristoranti che, in tutto il mondo, fanno in qualche modo capo alla famiglia Iaccarino.

Dove si trova?

Dall’uscita autostradale di Castellammare di Stabia, imboccate la Statale Sorrentina e lasciatevi cullare dai paesaggi che vi si presentano, fino all’arrivo nella frazione più grande di Massa Lubrense, Sant’Agata sui due golfi: nome che racchiude tutta la geografia di questa minuscola protuberanza di Campania che è la Penisola Sorrentina.

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I due golfi che si possono ammirare sono quelli di Napoli e Salerno. Indicativo che la collina dai quali si possa godere di tale paesaggio si chiami la collina di Deserto, in totale antitesi con la lussureggiante natura circostante, arsa dal sole in estate, col frinire delle cicale a farvi compagnia.

Il Don Alfonso Relais&Chateaux si trova su Corso S.Agata, tra botteghelle e lastricati che ricordano una Capri della Dolce Vita. Imboccato il vialetto del Relais, è ancora un’altra storia.

Come si prenota. Apertura stagionale.

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Nei periodi di maggior affluenza (luglio/agosto e parte di settembre) è consigliabile prenotare una dozzina di giorni prima; durante il resto della stagione bastano un paio di giorni di anticipo, come nel nostro caso.

Le prenotazioni possono essere effettuate sia telefonicamente, via e-mail, oppure attraverso il sistema di prenotazione online presente sul sito internet della struttura.

Solitamente, il Don Alfonso è aperto dall’ultima settimana di marzo fino alla fine di ottobre.

La prossima stagione prevede l’apertura il 1° di aprile, è possibile trattenersi a pranzo o a cena.

Lo chef. Ernesto Iaccarino

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L’arte per l’arte: Ernesto Iaccarino è figlio e uomo d’arte, con la cura per i particolari, il giusto equilibrio tra tecnica e parvenza.

Forse un attaccamento troppo tenace alla tradizione non gli permette di spiccare il salto verso la follia completa; un visionario con un tenace attaccamento alla terra, alla sua terra.

È stato tra i primi a comprendere l’importanza di farsi conoscere anche dal grande pubblico, non soltanto dalla critica: dopotutto, prima di diventare chef al timone del Don Alfonso, si occupava di finanza in una delle Big Four di revisione e consulenza; cosa che gli torna utile, come ama dire lui, fumacchiando l’inseparabile Toscano.

Perché sono maniaco del controllo.

Pungolarlo col verdetto della guida ai ristoranti de L’Espresso è inevitabile.

Glissa, con encomiabile savoir faire tipico della famiglia, ma lancia una riflessione:

Signori critici, fermatevi un attimo a pensare. Cercate di capire dove va il mondo, e non come lo vedete voi. Noi ristoratori siamo sempre pronti a recepire i desideri del pubblico, lo dimostrano i nostri risultati: da due anni, abbiamo un incremento del +20% nelle prenotazioni.

Significa che lavoriamo bene, le persone tornano, sono soddisfatte.

Sicuri che il mondo gastronomico vada davvero come pensate voi?

Da Sant’Agata è tutto. Lo chef si dedica ai piatti.

L’ambiente, il mood.

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Il relais, dal giardino, sembra un’aristocratica tenuta di campagna. Gli interni sono stati ristrutturati sei anni fa, col bianco come colore predominante, alcuni pezzi di arte dell’Ottocento napoletano tra quadri e suppellettili varie.

La sala è gestita da Livia e Mario Iaccarino, fratello di Ernesto.

Anche le cucine sono un piccolo pezzo d’arte con le pareti completamente rivestite di mattonellato di ceramiche di Capodimonte.

Un guizzo di colore, ricorda il mare, la natura: fa bene anche alla brigata di cucina, giovane (il più giovane tra loro ha appena 18 anni) e per niente intimidita.

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Il giardino separa la struttura principale da quella della scuola di cucina e dalla reception; durante l’estate è possibile cenare fuori.

I coperti totali, tra le sale interne e gli spazi esterni, sono circa 80. Un piccolo angolo è dedicato alla coltivazione della rosa canina, utilizzata in alcuni piatti, e delle violette.

Le suite per pernottare sono 9: ognuna di esse, prende il nome di un artista della scena napoletana che fu.

Menu. Composizione e costi.

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La possibilità di ordinare alla carta è un jolly che –-qualora il portafogli lo permetta-– meriterebbe di essere sfruttato: 7 antipasti, 7 primi, 6 secondi, alcuni fissi, altri variano con le stagioni.

Sempre presente in carta, un piatto vegetariano: Ernesto Iaccarino tiene a sensibilizzare gli ospiti riguardo una dieta sostenibile e un consumo responsabile di pesce e carne.

Per quanto riguarda le formule degustazione, si ha una doppia possibilità: La formula ‘Tradizione’, che prevede 4 amuse-bouche, 2 antipasti, 1 primo, 1 secondo, 1 formaggio della casa, 1 dessert a 170 euro.

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La formula ampliata prende il nome di ‘Degustazione’, specchio e anima di ciò che è stato il Don Alfonso e ciò che si propone di essere per gli anni a venire: 4 amuse-bouche, 2 antipasti, 2 primi, 2 secondi, dessert a 240 euro.

Entrambe le formule si intendono vini esclusi.

Mangiare alla carta può sembrare più accessibile: pagando antipasto, primo e un calice di vino in abbinamento si raggiungono i 90/100 euro.

Vi saranno offerti, in ogni caso, amuse-bouche iniziali e pre-dessert.

Food. Cosa si è visto al Don Alfonso 1890

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Disponendo di un menu alla carta molto ampio, è ovvio che le scelte dei clienti non cadano sempre sui menu degustazione.

Sono tre i piatti che hanno segnato questa stagione gastronomica, tra i quali la proposta vegetariana del periodo.

Un atto dovuto verso la nostra terra, ci tiene a precisare Iaccarino, sostenitore della biodiversità a favore dell’ecologia e di una dieta di stampo mediterraneo.

Si parte sempre con una piccola selezione di amuse bouche, offerti dallo chef indipendentemente dalla formula scelta (alla carta, o degustazione).

Sono quattro cambiano ogni giorno oppure ogni settimana, secondo la disponibilità dei prodotti freschi e delle verdure dell’azienda agricola.

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Ci viene proposta una selezione ordinata di baby calamaro ripieno di provolone del Monaco affinato nelle cantine di famiglia, emulsione di peperone giallo, crocchetta di zucca biologica pastellata e ripiena di mozzarella.

E poi cialde di riso aromatizzate, grissini fatti a mano, degustazione di olio (monocultivar Frantoiana) dell’azienda Le Peracciole, con pane bianco, pane ai cereali e pane integrale.

Tutto accompagnato da un Bruno Paillard Brut Premier Cuvée.

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Gelato all’anguilla con caviale Oscetra, emulsione di erbe selvatiche e tagliatelle di rosa canina, con sbriciolata di tuorlo d’uovo biologico

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Questo è un piatto folle. Tu sei un folle (Ernesto, ndr). Nemmeno io avrei mai pensato di trasformare l’anguilla in gelato. E di metterla accanto alla rosa canina. Sei un pazzo.

Basterebbe questa presentazione in carta, tratta da una considerazione di Ferran Adrià (lo chef visionario de El Bulli, ora chiuso), per eccitare i gastrofanatici e intimorire i palati vergini.

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Dopo aver bacchettato le papille saltellanti, si presenta il gelato di anguilla con caviale, tagliatelle di rosa canina, mimosa di tuorlo d’uovo biologico e emulsione di erbe selvatiche.

Il primo assaggio è per il gelato, in purezza: si lascia scorrere sulla lingua, sentendo quasi la consistenza della biscia grassa, un chiaro e volontario ricordo del cibo locale, delle feste, della rinascita.

Il ‘serpente’ nella cultura mediterranea è simbolo di rinascita, beneagurante.

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Il secondo assaggio è con il caviale. E qui il cibo acquista carattere, importanza e una discreta sapidità, che viene lavata via con il terzo, dedicato alla tagliatella di rosa canina: pulisce la bocca dal grasso precedente.

Probabilmente è questo il piatto con più slancio, una corda di violino tesa verso il contemporaneo e l’internazionale.

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Piatto di verdure di stagione in diverse consistenze e temperature

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Benedetto l’ultimo scampolo d’estate, il piatto è composto da pomodori semi-dry, stick di cuore di bue, cappelletti di pasta sfoglia ripieni di soffritto vegetale, peperoncini verdi di fine stagione, tagliatella di cetriolo, sorbetto di pomodoro dolce e cialde di olive nere.

Le prime e persistenti piogge hanno donato nuova linfa al terreno, i pomodori di metà ottobre sono succosi e non arsi dal sole.

Il piatto è un viaggio tra i sapori della penisola, consistenze e temperature simboliche dei microclimi che la macchia mediterranea dona ai monti.

Il tutto è decorato con olio a crudo dell’azienda agricola e curcuma.

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Spaghetto con sgombro, pangrattato, pinoli e cipolla caramellata su salsa di alalunga e rape

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Si parte da un classico soffritto aglio e olio, di cui questo piatto è rivisitazione tanto semplice quanto geniale.

Una base ‘povera’, cui si aggiunge cipolla caramellata, pinoli e pangrattato.

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L’utilizzo dello sgombro cotto a bassa temperatura e dell’alalunga è un omaggio ai pescatori della zona, pesci poveri snobbati e raramente usati nell’alta cucina.

Tutto il pescato del Don Alfonso è fresco e proviene dalla vicina Positano.

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Il risultato è un matrimonio di mare con accenni di monti. In questa parte della Campania è impossibile sentirsi ‘solo’ pescatori o ‘solo’ agricoltori, la natura si vive tutta.

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Per intervallare la bocca dai sapori importanti ci viene offerto un sorbetto di limone biologico con cialda croccante di pistacchio.

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Anche i pre-dessert sono, come gli amuse bouche, gentile offerta del relais: bellissima la mise en place, che strizza più d’un occhio alla tradizione.

Nella selezione della piccola pasticceria proposta, cannolini siciliani, tarteillette ai lamponi, gelée ai frutti rossi, mini-stecco con crema di nocciole e granella, mousse di banana su mandorle tostate e caramellate.

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Serviti su un’alzatina, il tutto è ‘rinfrescato’ con fumosa acqua di menta, che aiuta a tenere la temperatura dei dolci stabile e a dare un impatto scenografico impressionante.

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Come dessert, un classico di Alfonso Iaccarino, il Concerto di limoni.

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Crema inglese al limone in una piccola ‘coppa’ ricavata dalla buccia (abbiamo mangiato anche quella) dello stesso.

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Spicchio di limone con granella di zucchero, ragnatela di limone che ricorda le caramelle dure dell’infanzia, mini bignè con crema di limone.

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L’altra proposta è una interessante e lisergica bavarese di castagne e melagrana, con violetta edule brinata, marron glacé, mela e succo di melagrana.

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La Cantina

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Appassionati enofili, oppure semplici curiosi,sgranate gli occhi. Da tempo accreditata come una delle cantine più belle del mondo, qui a Sant’Agata si conservano qualcosa come 25.000 tra bottiglie di distillati, vini internazionali e grandi vini italiani, di 1.500 etichette differenti.

Strutturata su più livelli, più si scende e più si torna indietro nel tempo. Dopo una prima sala a piano terra, inizia l’avventura. La prima sala sotterranea, in tufo napoletano, è stata costruita nel 1500; qui si conservano i rossi importanti e la collezione privata della famiglia Iaccarino, si raggiunge una temperatura massima di 12 gradi. L’umidità è gestita grazie all’ausilio dei deumidificatori.

Il cunicolo è la parte più interessante: risalente all’epoca pre-romana, qui i vini trovano perfetta allocazione nelle nicchie del muro. La temperatura è intorno ai 9 gradi.

Alla fine del tunnel, c’è il pozzo privato di famiglia con la camera d’invecchiamento dei formaggi. Si ritorna su con i brividi.

Conclusioni

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Un ambiente colto e gentile, probabilmente un po’ demodé per i critici d’assalto, calati in realtà ben più metropolitane, aggressive e in cerca di perenne tensione.

Il fascino intrinseco del Don Alfonso –quello che i gourmand smanettoni hanno compreso– è proprio questa astrazione dal tempo, che permette di vivere un’esperienza sensoriale, oltre che gastronomica, a 360°.

Dalla reception ci informano che il soggiorno medio di un ospite è di 3 giorni, ogni ospite consuma almeno un pasto al giorno.

Il cliente è invogliato a ritornare, per assaggiare le proposte, per seguire le lezioni di cucina sempre disponibili, o per visitare la Penisola.

È presente, più che in altri posti, un legame molto intimo col cibo: un do ut des nobile e d’altri tempi, in cui l’uomo/artista/chef e la natura si completano con eleganza senza prevaricazione.

E che è ancora – più che mai, di questi tempi – capace di elargire sogni.

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Corso S.Agata 13 – 80064 – S.Agata Sui Due Golfi (NA) Italiatel. +39 081 533 05 58
info@donalfonso.com
donalfonso@relaischateaux.com

www.donalfonso.com

[Crediti | Immagini: Rossella Neiadin]