Radicchio, quante varietà conoscete? Noi 12

A parte le IGP note, le varietà di radicchio, umile erbaggio diventato un prodotto raffinato e di nicchia, sono tante. Oggi ve ne presentiamo 12, provenienti dal Veneto e non solo.

Radicchio, quante varietà conoscete? Noi 12

Erba selvatica un tempo destinata ai villani, il radicchio è stato a lungo confinato nella dimensione del cibo dei poveri, snobbato e guardato con sufficienza: l’etimologia del resto, non lascia scampo, visto che il termine deriva dal latino radicula, diminutivo di radice. Solo recentemente questa comunissima cicoria spontanea delle nostre campagne si è trasformata in un pregiato ortaggio dell’inverno, anche a seguito di incroci e selezioni che hanno dato vita a varietà diverse per sapore, forma e colore. Talvolta spassosissime.

A partire dal XVI secolo, in particolare, un crescente interesse dei botanici conduce ad analisi sulle tipologie e a studi di tecniche di imbianchimento: se da un’erba in genere amara si è arrivati ad un prodotto che in bocca è dolce e croccante, lo si deve proprio all’uso di coprirne i cespi con sabbia e terra, non solo per sbiancarli, ma anche per trasformarne il sapore.

Come avrete notato, abbiamo usato – volutamente- come sinonimi i termini di radicchio e cicoria: sì perché l’ortaggio identificato con il nome botanico di Cichorium intybus è conosciuto in alcune regioni come radicchio, in altre come cicoria. In genere la tendenza è quella di identificare il primo come caratterizzato da foglie colorate, la seconda da foglie verdi.

In Veneto si trova la più alta concentrazione di varietà di cicoria selvatica: i motivi sono due. Da un lato un terreno particolarmente adatto alla coltivazione, dall’altro la presenza del Sile, il fiume di risorgiva più lungo d’Europa (95 km), le cui acque sono responsabili dell’operazione di maquillage cui viene sottoposta la cicoria, che sbianchita e toelettata, è diventata uno dei prodotti più apprezzati ed esportati all’estero. Anche altre regioni hanno i loro radicchi illustri: per aiutarvi a districarvi tra le varie tipologie, vi abbiamo preparato una guida alle varietà.

Prima di cominciare, una piccola precisazione: a seconda del periodo di raccolta, i radicchi si classificano in precoci o tardivi (i primi in genere disponibili già da settembre, in secondi da novembre), mentre le caratteristiche della pianta danno vita a una seconda classificazione: colore e forma della foglia permettono di distinguere tra radicchio rosso (la tavolozza dei rossi comprende il rosso intenso, il carminio e il rubino, esaltati da una nervatura centrale bianca), variegato (in cui le foglie rosse e bianche accolgono striature verdi-giallastre) e bianco.

Eccole, allora, tutte le varietà più golose di radicchio.

Radicchio Rosso di Treviso Igp

radicchio rosso di Treviso

Il radicchio di Treviso è la Rita Hayworth dei radicchi, la Julianne Moore delle cicorie. Le foglie, elegantemente lanceolate, hanno germogli che tendono a curvarsi e chiudersi in punta. Regale, di colore rosso vinoso, ha una nervatura principale bianca. Croccante, in bocca ha una lieve nota amarognola che scompare però sovrastata da una dolcezza sorprendente. Per la gioia del palato, si sdoppia in due varietà: precoce e tardivo. Il primo, una sorta di fratello maggiore “ruspante”, ha cespo voluminoso e allungato, foglie più grosse e un sapore amaro più spiccato. Si raccoglie da settembre fino a fine novembre. Il secondo è la versione elegante e raffinata: consistenza, sapore e colore si ottengono grazie all’imbianchimento. Dopo la raccolta (che in genere avviene dopo che il terreno ha subito almeno due gelate), il radicchio viene immerso in vasche colme d’acqua di risorgiva per circa 10 – 20 giorni, a una temperatura costante di 10°-12. Tutelato dal marchio Igp dal 1996, il Radicchio Rosso di Treviso si produce anche nelle province di Padova e Venezia, tuttavia la città che gli ha dato i natali (la prima notizia certa risale al 1862) è Dosson di Casier (TV). Le prime esportazioni risalgono al 1884 e la prima mostra-mercato fu inaugurata a Treviso, in Piazza dei Signori, nel 1900. In cucina, fatene risotti, zuppe, ripieno per crespelle, tortini o arrosti, brasatelo e glassatelo, conservatelo sott’olio o trasformatelo in marmellata per crostate.

Radicchio Variegato di Castelfranco Igp

Radicchio Variegato di Castelfranco Igp

Lo chiamano la “rosa che si mangia”, per via della forma che è una versione toelettata dell’insalata a cespo. Risale alla fine dell’700 ed è ottenuto dall’incrocio tra il Radicchio di Treviso e la scarola. Si produce in oltre 50 comuni disseminati tra le province di Treviso, Padova e Venezia. Una volta raccolto, viene sistemato in casse con fondi retinati e in totale assenza di luce: prive di clorofilla, le nuove foglie sviluppano una consistenza croccante e sottile. Leggermente arricciato, ha variegature distribuite in modo equilibrato su tutta la superficie, con venature che vanno dal rosso vinoso al violaceo, al viola chiaro, praticamente un dipinto. Il sapore varia dal leggermente dolce all’amarognolo ma al tempo stesso rimane delicato. Ha marchio Igp dal 1996. In cucina dà il meglio di sé se non lo cucinate troppo, ma se lo fate saltare in padella in modo tale che non perda la croccantezza.

Radicchio Variegato Fior di Maserà

Radicchio Variegato Fior di Maserà

Cugino del Variegato di Castelfranco, si afferma nella produzione locale tra il 1860 e il 1870. Ha cespi di foglie larghe e tondeggianti, con variegatura di colore dal giallino al verde, screziato di marrone, rosso porporato e viola. La forma ricorda quella di una orchidea. Ha un sapore delicato, leggermente dolce, ma con il tipico fondo amarognolo. Viene da terreni leggermente limosi e profondi, senza ristagni d’acqua. Dopo la raccolta, anche qui i cespi sono sottoposti ad imbianchimento, non in acqua come il Rosso di Treviso, ma in cassette di legno nelle quali le foglie cominciano ad aprirsi e a cambiare colore e sfumature.

Radicchio di Verona Igp

Radicchio di Verona Igp

I veronesi lo chiamano “l’oro rosso della Bassa”. Selezionato alla fine degli anni ‘50 direttamente dal Radicchio Rosso di Treviso, del genitore più nobile ha il colore delle foglie, rosso scuro intenso – abbellite da una nervatura principale bianca, molto sviluppata – e la distinzione tra precoce e tardivo. Le dimensione delle foglie, ovali ed allungate a formare un cespo compatto, ed il sapore più amarognolo lo rendono più adatto a insalate golose (magari con noci e parmigiano, o con Monte Veronese, per restare in zona) piuttosto che a ripieni e risotti. Prodotto in molti comuni della provincia scaligera e in alcune zone limitrofe del Vicentino e del Padovano, deriva dalla coltivazione della cicoria rossa, presente già alla fine del ‘700 nei broli (gli orti cittadini) e negli interfilari delle piante da frutto e della vite. In passato l’imbianchimento si faceva mettendo i radicchi, a mazzi, in buche scavate direttamente nei letamai. La pulitura veniva fatta nelle stalle e il prodotto finale veniva quindi venduto al mercato. Si trova sul mercato da ottobre (il precoce) a febbraio (il tardivo).

Radicchio Rosso di Chioggia Igp

Radicchio di Chioggia

Chioggia non è famosa solo per il pesce. Terreno sabbioso, falda freatica sottosuperficiale, bora e clima mite: sono questi gli elementi che danno vita alla varietà di radicchio più sapida di tutte: il Rosso di Chioggia. Ha cespo tondeggiante e compatto, foglie di colore rosso più o meno intenso con nervature bianche e sapore amarognolo. Deriva dal Variegato di Chioggia grazie ad un’opera di selezione compiuta tra gli anni ‘30 e ‘50: lo scopo era quello di ottenere un arrossamento più marcato e una più facile coltivazione nei comuni lagunari. È attualmente la varietà di radicchio più coltivata e consumata in Italia, anche se il disciplinare Igp (2008) ne prescrive la coltivazione nei soli comuni di Chioggia, Cona e Cavarzere (VE). Se inizialmente la produzione interessava solo i mesi autunno-invernali, nella seconda metà degli anni settanta è stato costituito un nuovo ecotipo disponibile già nei mesi di aprile e maggio. Anche per il rosso di Chioggia vale la distinzione tra precoce e tardivo.

Radicchio Bianco di Chioggia

E’ la variante incolore del Rosso. Selezionato negli anni ‘90, mediante selezione dei cespi meno colorati di Variegato, è caratterizzato dall’assenza dei pigmenti antocianici nei tessuti fogliari. La forma assomiglia al Rosso: tonda e a palla. L’unica differenza, appunto è l’assenza di colore.

Radicchio Bianco o Variegato di Lusia

Siamo in provincia di Rovigo (e in parte di quella di Padova). Ecco un altro parente del Castelfranco: cespo rotondeggiante, grumulo centrale compatto e foglie esterne espanse, screziate di rosso su fondo bianco-giallo. Seminato tra giugno e l’inizio di agosto, viene raccolto da settembre fino a gennaio. Qui l’imbiancatura viene fatta ancora come un tempo, sistemando i cespi di radicchio nella sabbia, ricoperti da paglia o altro materiale vegetale e mantenendoli inumiditi con annaffiature quotidiane. Dopo circa 8-10 giorni il radicchio viene ripulito, truccato e vestito per bene e preparato per il mercato. È particolarmente ricco di calcio, ferro, fosforo, magnesio e vitamine. Dà il meglio di sé in insalata, ma provate anche a farne involtini, scottando le foglie come si fa con le verze.

Radicchio di Asigliano

Chiudiamo la rassegna dei veneti con il radicchio di Asigliano. È coltivato nella pianura vicentina, al confine con le province di Padova e Verona. Originario dell’Asia, fu introdotto nei terreni della Repubblica di Venezia intorno al 1400 come foraggio per gli animali per arrivare finalmente a tavola nell’800. Anche qui, sono due le varietà: la precoce – dal cespo espanso medio-grande e foglie rosse con nervature bianche e aperte, grumolo compatto e forma leggermente ellittica – e la tardiva che si riconosce dalle foglie prevalentemente verdognole che virano al rosso solo in corrispondenza dei primi freddi, nel tardo autunno, e che verranno sottoposte a forzatura (un periodo di stazionamento in cumuli sul campo) e imbianchimento. Il gusto è leggermente amarognolo si presta a risotti e zuppe.

Rosa di Gorizia

Rosa di Gorizia

Ci spostiamo in Friuli. Coltivata negli orti cittadini e nelle zone agricole alla periferia della città, la rosa di Gorizia vanta un’illustre citazione, quella del barone e funzionario austriaco Karl von Czoernig, nel 1874. Prodotto di nicchia che solo da poco tempo è riuscito a farsi conoscere sia a livello nazionale che europeo, la rosa è una festa di colori. In autunno le foglie raggiungono la dimensione ottimale e con le prime brine il colore vira dal verde intenso al melanzana, al rossastro: il cuore, la parte più interna, viene protetto dai petali più esterni, che si afflosciano prima di essere bruciati dal gelo. Inizia quindi la raccolta: legate a mazzi per le radici e portate in ambienti riparati, caldi e privi di luce, le rose rimangono a farsi belle per 15-20 giorni, a una temperatura che varia dai 10 ai 15 gradi. I colori si fanno così più brillanti ed il rosso diventa acceso. Il sapore è intenso, appena amarognolo e la consistenza è croccante. E’ Presidio Slow Food.

Radicchio Canarino

Oltre alla Rosa, a Gorizia si coltiva anche questa varietà: prende il nome dal colore, un giallo canarino o con variegature e sfumature che portano verso il rosa o il rosso. Pare che sia stato selezionato nell’immediato dopoguerra incrociando il radicchio rosso con una varietà da taglio o a grumolo, probabilmente con la Bionda di Trieste. Particolarmente resistente al gelo ed al freddo, è prodotto in una zona ristretta e in passato le sementi venivano custodite gelosamente dagli agricoltori: la selezione era diversa da famiglia a famiglia e il prodotto non era mai omogeneo. La raccolta avviene in novembre-dicembre, dopo che il radicchio ha subito il primo gelo. Raccolte e legate in mazzi, le piante subiscono quindi la forzatura. Al buio, per circa 15 giorni a temperature comprese tra i 10-12°C, vengono bagnate 2-3 volte per conferire croccantezza alle foglie. Una volta era il letame a fare tutto il lavoro: il calore liberato dalla fermentazione preservava il radicchio dal freddo, lo colorava e gli dava forma.

Radicchio Bianco Cappotta mantovana

Un tempo molto conosciuto nel territorio lombardo e alla base di molte ricette popolari locali, ora è ingrediente di nicchia per chi vuole provare un sapore antico della cucina mantovana. Ha gusto dolce, foglie larghe e rotonde di colore verde chiaro, quasi biondo. E’ molto resistente al freddo, se coltivato nel periodo primaverile-estivo è utilizzato come radicchio da taglio; dall’autunno in poi se ne raccoglie il cespo.

Radicchio Milano (Pan di zucchero)

Radicchio Milano (Pan di zucchero)

Coltivato anche al Nord, soprattutto in Lombardia (di qui il nome), trae in inganno per la forma, che la fa assomigliare ad una lattuga. E’ in realtà una cicoria a tutti gli effetti. Ha foglie carnose, dal colore verde molto chiaro tendente poi al bianco candido nelle foglie più interne. I cespi, ricchissimi di vitamine e minerali e dal sapore amarognolo, si consumano interi: a crudo quelli più piccoli e teneri, sbollentati per pochi minuti e poi ripassati in padella, quelli più grandi.

Se siete amanti delle rarità, infine, due consigli. Il primo: nel trevigiano assaggiate, se riuscite, il radicio verdon da cortel, che per i foresti significa “radicchio verde carico, da coltello”.

Si trova sul mercato da febbraio ad aprile e se in passato era il nutrimento degli abitanti delle campagne e raccolto ai bordi dei campi (ci sono testimonianze in proposito che risalgono al 1600) oggi è diventato un prodotto di nicchia, quasi introvabile.

Viene raccolto manualmente, con il coltello appunto e si presenta piuttosto rustico, a forma di piccola rosa (circa 7-10 cm), di colore verde intenso e cuore verde-giallo. Le foglie sono molto croccanti e spesse, ed il sapore ha intense note erbacee, con finale amarognolo.

L’uso locale lo vuole accompagnato con lardo sfrigolante ed aceto.

Il secondo consiglio: verso maggio programmate un giro in Carnia (Friuli): i malgari raccolgono sugli alpeggi un radicchio selvatico che consumano in insalate o frittate. Il nome è anche qui un minitrattato di dialettologia: è conosciuto come lidric o radìc di mont, o “radìc dal glaz”. C’è chi si munisce di cestino per raccoglierlo, come si fa con i porcini. I germogli hanno colore viola e sono tenerissimi, grazie al freddo. La raccolta dura 15 o 20 giorni ed è regolamentata: ogni giorno se ne può raccogliere al massimo 1 kg. E’ presidio Slow Food.

In Carnia è tradizione conservarlo sott’olio. Accompagnatelo con i prosciutti di capriolo, lo speck e il prosciutto di Sauris affumicato al ginepro.