Pizza a morbillo: errore di cottura e guai per la salute? La bufala spiegata bene

La bufala della "pizza a morbillo", il cornicione a macchia di leopardo che sarebbe un errore di cottura, o peggio, un guaio per la salute (cancro?!). La spiegazione scientifica.

Pizza a morbillo: errore di cottura e guai per la salute? La bufala spiegata bene

La celebre puntinatura sulla pizza napoletana è un difetto? Fa male alla salute, conduce irrimediabilmente al cancro? Smentiamo definitivamente la bufala della pizza a morbillo come errore di cottura insieme a Giovanni Tesauro, ingegnere e consulente alimentare nel settore della panificazione.

Falsa divulgazione, dicerie, bufale ed inutili allarmismi. Capita quando ognuno si sente ormai in dovere di esprimere un parere su qualsiasi concetto, pur non avendo fondamenti o tesi verificate, promuovendolo per verità assoluta.

Abitudine facilmente riscontrabile nel mondo della pizza, dove abili professionisti si improvvisano scienziati, chimici e fisici, sbandierando idiozie campate per aria, con l’unico risultato di una malsana pratica di disinformazione. Se poi il pizzaiolo in questione è pure rispettato e rinomato, apriti cielo! I maestri non si toccano, il loro verbo è sacro, siete matti?

Beh, Dissapore ragiona ormai da tempo su altri lidi, non ci interessa fare la corte a nessuno, non facciamo il tifo per nessuno. Anzi, nel mio caso specifico, l’unico tifo ammesso è verso la scienza.

Caratteristica che mi accomuna a Giovanni Tesauro, un nome non nuovo da queste parti, insieme al quale qualche mese fa abbiamo smontato la bufala sull’influenza dell’umidità atmosferica sulla pizza.
Ingegnere Aerospaziale con Master in Sviluppo Umano e Ambiente, nonché Meteorologo Certificato Dekra (uno dei pochi in Italia), da 15 anni consulente e project manager per aziende e municipalità, e da 5 anni consulente alimentare nel settore della panificazione, specializzato nelle varie tipologie di pizza e focaccia.

Insieme a Giovanni ci occuperemo oggi di un altra questione scottante, che riguarda la pizza napoletana e la fantomatica “leopardatura”, quei puntini bruciacchiati presenti sul cornicione, che tanto fanno discutere. Insomma, la pizza a morbillo: è dannosa per la salute? Causa il cancro? E davvero, come qualche professionista afferma, è indice di un difetto del processo?

Ah, giusto per sicurezza, faccio il solito disclaimer:
Nessuno ha mai detto che serve un ingegnere per fare una pizza fatta bene, il punto è un altro: la verità non può essere soggettiva. L’unica verità ammissibile è quella data dalla scienza.

pizza a morbillo

Cosa si intende per pizza “a morbillo”

– Ciao Giovanni, direi di iniziare questa intervista dando qualche definizione di massima. Cosa si intende per “pizza a morbillo”?

“Partiamo dal presupposto che non amo per niente questo termine, viene usato tipicamente per associare l’effetto “leopardato” della pizza napoletana ad un difetto, a una malattia. Di fatto il concetto è semplice: durante la cottura gli zuccheri riducenti presenti nell’impasto iniziano a caramellare ad una data temperatura (superiore ai 140 °C) e in assenza di umidità; si innescano delle reazioni fisico-chimiche che imbruniscono la superficie della pizza, liberando profumi spettacolari.

È la stessa cosa che abbiamo su una bistecca, in una torta, o in qualsiasi altra pietanza che abbia zuccheri semplici e che sia soggetta a determinate condizioni di cottura.

Ovviamente a un certo punto, andando “oltre il consentito”, l’impasto inizia a bruciacchiare.
Come noto, le determinate caratteristiche della pizza napoletana richiedono una cottura molto violenta, che a seconda dei casi e delle scelte del pizzaiolo può variare tra un minimo di 400 °C a un massimo di 550 °C; di fronte a un simile shock termico tra la temperatura del panetto e quella della camera del forno, la reazione di Maillard avviene prima nelle piccole bolle superficiali del cornicione, che colorandosi più velocemente creano quell’effetto maculato distintivo di questa tipologia di prodotto.”

– Questo shock termico può ovviamente essere più o meno elevato, corretto?

“Assumendo come riferimento una data temperatura del forno, ovviamente più il panetto sarà freddo più il range di temperatura aumenta, incrementando l’effetto maculato.

Questo però è un concetto assolutamente generico; se è vero che un panetto freddo ha più possibilità di agevolare la maculatura, è anche vero che si parla di una differenza di 10-15 °C massimo, mentre la napoletana come già detto cuoce tra i 400 e i 550 °C, un differenziale molto più elevato.

Questo è il motivo per cui anche tantissime pizze “simbolo” della Pizza di Napoli e che sono ai primi posti di ogni classifica possibile e immaginabile, essendo cotte anche oltre i 480°C, presentano una maculatura evidente, pur conducendo un processo a temperatura ambiente.”

– Qual è quindi la critica mossa da molti professionisti verso il cornicione leopardato?

“Vai a capire quando è nata sta idiozia. Probabilmente è frutto di qualche incapace che, non riuscendo a svolgere un processo corretto mediante il frigorifero, si è inventato che la maculatura è un difetto della pizza perché “il panetto è troppo freddo”.

Sono balle, sonanti.

La maculatura non è un difetto in sè per sè, è semplicemente fisica, una reazione inevitabile quando si fa riferimento a questo prodotto. Attenzione, non si sta parlando di bolle giganti e bruciate o del fondo della pizza completamente nero, quello certo che è un difetto; ma avete idea della massa irrisoria di quelle piccole bollicine nere sul cornicione, in rapporto a tutta la superficie? Stiamo parlando di un numero ridicolo. E soprattutto, è altrettanto ridicolo dire che “il panetto freddo” costituisca un problema per presunte ragioni di tenacità.

Tralasciando il fatto che nel 2019 tantissimi dei pizzaioli più premiati utilizza celle a temperatura controllata, stiamo sottovalutando una cosa molto importante: assumendo che il panetto esca dalla cella a 6 °C, ora che lo allargate, lo piazzate su un bancone a 25 °C e lo toccate con le vostre mani a 37 °C, quel panetto sarà arrivato come minimo a 15-18 °C, pochissimo rispetto a un gemello lasciato a temperatura ambiente. Cosa volete che cambi? A questo punto allora dovremmo misurare le variazioni della pietra di un forno, specialmente di quello a legna, soggetto ad un sali-scendi indicibile.

Ragazzi, siamo seri: il 50% dei pizzaioli lavora impastando A OCCHIO e stagliando A OCCHIO, e davvero fate le pulci per 5 °C?

Certo, se tiriamo fuori il panetto non ancora pronto, allora sì avremo problemi di tenacità, ma non dipende certo dalla temperatura.

Certo, se siamo nazisti della cottura in 45 secondi, allora avremo qualche problematica, ma il mio ovvio consiglio è sempre quello di non seguire mode di tempi cortissimi, temperature altissime, idratazioni stellari, ma fare le cose come si deve, ottenendo la giusta combinazione dei tre elementi di cui sopra per avere un prodotto cotto, scioglievole, non gommoso.

Seguite la ragione, non la moda.

Siamo semplicemente davanti a una delle tante fissazioni di questo campo, nate dal classico intramontabile del “si è sempre fatto così”.
Vi svelo un segreto: il frigorifero non si usava 100 anni fa non perché dava problemi alla pizza, ma perché NON ESISTEVA.
È lo stesso discorso del forno a legna, 100 anni fa non si usava per chissà quali pregi rispetto a elettrico o gas o per presunte questioni di aroma, ma semplicemente perché c’era solo quello.”

Le macchie nere della pizza sono cancerogene?

– Ciliegina sulla torta, l’allarme rosso figlio di Report: la maculatura ci condurrà al cancro?

Per carità, va bene, il bruciato è una componente cancerogena, ma anzitutto come già detto stiamo parlando di una massa ridicola se rapportata all’insieme, e inoltre dobbiamo metterci in testa che l’unico modo per mangiare e godere pienamente di una napoletana fatta a dovere è cuocerla a dovere.
E occhio, non vuol dire cuocerla TROPPO, ma semplicemente fare in modo che l’interno asciughi perfettamente, che gli amidi gelatinizzino e che l’idratazione venga gestita con le dovute accortezze.
Per questa insulsa fobia, ci stiamo abituando a mangiare pizze crude, e quindi indigeste.

Nella pizza napoletana poi, come già detto, c’è la solita gara a chi la spara più in alto, a chi cuoce in meno tempo, come se chi superasse il minuto fosse meritevole di scomunica.
Ho mangiato ottime pizze maculate e pessime con doratura uniforme, così come ho assaggiato pessime pizze maculate o ottime con doratura uniforme, sta tutto nella bravura o meno del pizzaiolo.

E soprattutto, ricordatevi che per l’OMS è più cancerogena la fetta di prosciutto che mettete sulla pizza o la sigaretta che fumate dopo cena di quei puntini neri sul cornicione.

Tutto chiaro? A posto, potete spargere il verbo.

E se qualcuno dovesse ancora stressarvi con la storia del morbillo, fatevi dire che cos’è la reazione di Maillard e in che condizioni avviene.