Cosa pensate di mangiare quando pagate il sushi come una pizza?

Tonno di frodo e coloranti: tutti i rischi del sushi low cost Nelle città italiane si assiste a un'esplosione di ristoranti, spesso gestiti da cinesi, che propongono sushi al prezzo di una pizza. Tra pesci non tracciati, mercato nero del tonno e additivi chimici, le truffe sono all'ordine del giorno

Cosa pensate di mangiare quando pagate il sushi come una pizza?

Pesce, mon amour. La nostra, per il pesce,  è una passione vera: cotto, crudo, fritto, al forno, in insalata oppure grigliato, il pesce è uno degli alimenti più amati e consumati dagli italiani.

Proprio per il piacere con cui lo consumiamo, spesso anche al ristorante, conoscerlo meglio è d’obbligo.

La dettagliata inchiesta di Gabriele Martini apparsa oggi su La Stampa è un valido aiuto per districarci tra i vari locali che propongono pesce, sopratutto quelli etnici, nonché tra le varie “pratiche” associate al suo reperimento e utilizzo.

Una guida per aiutarci a fare chiarezza di cui riportiamo di seguito i punti salienti.

Pesce low-cost e ristoranti etnici

Tra i locali che maggiormente offrono piatti di pesce  a prezzi concorrenziali ci sono innanzi tutto i ristoranti etnici.

I ristoranti orientali, infatti, soprattutto cinesi e giapponesi, offrono tradizionalmente una gran varietà ittica e spesso a prezzi molto più che onesti, fattore non certo negativo ma che dovrebbe comunque farci drizzare le antenne.

Soprattutto quando il pesce, com’è usuale nei ristoranti etnici, viene servito crudo, modalità che richiede materia prima freschissima, di ottima qualità e sicura provenienza.

Ristoranti giapponesi gestiti da cinesi

L’usanza di servire pesce crudo, o sushi, è tipica giapponese  e, continua Raffale Martini sul quotidiano torinese,  ha da subito riscontrato un enorme successo tra i consumatori italiani, ma nonostante questo, tra i ristoranti che offrono pesce crudo in Italia, vale a dire uno su dieci, solo il il 7% è gestito da giapponesi, mentre per la grande maggioranza si tratta di ristoranti cinesi.

Infatti,  secondo TripAdvisor – continua La Stampa –  che ha recensito circa 500 locali che offrono pesce crudo solo a Milano, solo nove di questi sono gestiti da giapponesi, contro i 473 cinesi, a Roma 14 e a Torino cinque. E, nella maggior parte dei casi, si può pasteggiare a pesce crudo con soli 10 euro a pranzo e 20 a cena.

Un pasto a a base di pesce non può costare così poco

Ma può un pasto a base di pesce crudo costare così poco?

“No, non può”, dice a La Stampa Bernard Journo, co-proprietario di Gourmet Line Nipponia, società che si occupa del commercio di specialità gastronomiche destinate alla ristorazione giapponese in Europa.

«Il problema –continua Journo– è la scarsa qualità della materia prima. Inoltre, per servire pesce crudo, vanno seguite procedure di conservazione e preparazione meticolose che richiedono specifiche professionalità. Ecco perché un pasto a base di sushi non può costare come una pizza».

Inoltre, il pesce servito nei ristoranti orientali, spesso viene acquistato fuori dai normali circuiti di approvvigionamento come mercati ittici delle diverse città italiane.

Mancanza di tracciabilità

Il problema è che questi ristoratori per l’approvvigionamento del prodotto ittico non seguono il criterio della qualità, ma guardano quasi esclusivamente al fattore costo. Frequentando i mercati all’ingrosso, capita spesso di vedere operatori di ristoranti specializzati in sushi acquistare i prodotti a fine giornata in modo da accaparrarsi il prezzo migliore.

La situazione si complica quando viene meno la tracciabilità: nei ristoranti etnici la filiera dei prodotti non sempre è chiara, e sofisticazioni e contraffazioni del pesce sono all’ordine del giorno.

Ma qual è, in dettaglio, il pesce che viene servito in questi ristoranti a basso costo? Da dove proviene?

In genere il salmone è d’allevamento e proviene da Norvegia, Russia e Canada, e  pur essendo un pesce grasso non desta  particolari preoccupazioni in relazione alla nostra  salute, mentre  i gamberi, che arrivano sul mercato italiano precotti e surgelati, provengono da Thailandia, Vietnam, Bangladesh e Cina; il pesce bianco, invece, orate e spigole, è allevato in Grecia.

I problemi del tonno

Il problema maggiore riguarda sicuramente il tonno.

Oltre a non essere quasi mai della pregiata razza mediterranea “pinna blu”, ma trattandosi in genere del più economico “pinna gialla”  proveniente da oceano Atlantico, Pacifico e Indiano, il tonno è quasi sempre reperito tramite canali clandestini e meno controllati.

Si tratta spesso di pesce non tracciato, catturato non rispettando le quote pesca vigenti per i nostri mari, congelato in ritardo, trasportato in modo non idoneo e soprattutto non rispettando le più basilari norme di conservazione.

Esiste di fatto un mercato nero del tonno alimentato dai pescatori che piazzano la loro merce tramite canali illegali.

Il rischio intossicazioni

E il rischio intossicazioni è dietro l’angolo, come quella, temutissima, causata dall’anisakis, parassita intestinale spesso presente nelle viscere dei pesci e in grado di causare danni anche gravi allo stomaco umano, o anche la “sindrome sgombroide”, detta anche “mal di sushi”, causata da pesce alterato e di più difficile diagnosi: i sintomi infatti, scompaiono dopo poche ore, e chi ne stato vittima in genere non si reca nemmeno al pronto soccorso.

Ma non sempre si stratta di pesce “soltanto” avariato, non tracciato o mal conservato: spesso si sconfina nella frode alimentare causata dall’impiego di additivi di sintesi, legali e non, in grado di camuffare il grado di deterioramento del pesce.

Le frodi alimentari

Il “cafodos“, ad esempio, è un conservante vietato in Italia che ha la particolarità di far sembrare fresco il pesce vecchio, così come l’acqua ossigenata rende la carne più bianca e appetibile.

Il monossido di carbonio viene utilizzato per dare freschezza al tonno rosso e l’acido borico mantiene il bel colore rosato dei gamberoni, e viene utilizzato già direttamente sui pescherecci.

Dei 2058 controlli effettuati dai Nas dal gennaio 2015, in ben 1205 casi si sono riscontrate irregolarità, quali carenze igieniche (70%), cattivo stato di conservazione (46%), frode in commercio ( 19%) e mancata tracciabilità o etichettatura non conforme ( 7%), anche se, a sentire Salvatore Pignatelli, comandante del Nas si Milano, non c’è una “emergenza sushi”, essendo l’aumento delle denunce collegabile principalmente  all’aumento dell’offerta.

Il vero problema, quindi, è che nei ristorati di sushi manca il pesce nostrano, quello buono, sano e tracciato.

[Crediti | Link: La Stampa, Dissapore]