10 birrifici artigianali che rendono gli italiani orgogliosi

Tra i birrifici presenti a Eurhop, il festival della birra artigianale italiana organizzato nella capitale da Manuele Colonna, del pub Ma che siete venuti affà di Roma, abbiamo scelto 10 birrifici italiani che ci rendono molto orgogliosi nel mondo

10 birrifici artigianali che rendono gli italiani orgogliosi

Le cose vanno bene. Intendiamoci, pochi dei nuovi imprenditori della birra artigianale italiana, spesso under 35, diventano ricchi, i fatturati oscillano tra i 100mila e gli 800mila € all’anno per il 62,8% dei micro birrifici (dati 2014), la produzione media è pari a 622 ettolitri (stima 2015, report Unionbirrai/Altis).

Ma è grazie alla loro spinta che il fenomeno ha iniziato a spostare punti di Pil anche in Italia portando i microbirrifici nazionali dai 30 censiti nel 2005 a quota 1.000.

Intesi come movimento ognuno fa la differenza, insomma uno vale uno (cit.), ma ce ne sono alcuni che nel marasma ascendente riescono a distinguersi, per qualità costante, creatività, capacità di comunicare e spirito imprenditoriale.

A semplificarci la scelta è intervenuto EurHop, IL festival della birra artigianale con l’articolo determinativo, organizzato a Roma da Manuele Colonna, che con il Macché siete venuti a Fà di Roma è uno dei più celebri publican italiani, in attesa di aprire a Prati, vicino a Città del Vaticano, il suo nuovo grande locale: Be. Re.

Criteri di giudizio

eurhop

Qualità costante

Molti tendono a darla per scontata, ma garantire qualità e continuità produttiva definisce la levatura di un birraio. Okay che si tratta di un prodotto artigianale e le differenze tra lotto e lotto sono apprezzabili, okay che le materie prime particolari (vedi la frutta) seguono sensibili andamenti stagionali, ma un prodotto deve essere riconoscibile nel gusto.

Creatività

La capacità di creare prodotti unici, specie facendo tesoro del proprio territorio, è ciò che rende apprezzabile la birra artigianale nazionale all’estero. Italianissimi soprattutto nella creatività.

Comunicazione

Una spiccata abilità nel trasmettere il valore aggiunto delle proprie birre, specie rispetto a quelle non artigianali.

Spirito imprenditoriale

Diversificazione dell’offerta, organizzazione di una rete distributiva in Italia e all’estero. Perché diciamolo, la parabola della birra artigianale italiana sta attraversando quelli che sono stati gli anni ’90 per il vino. Si sta attrezzando ora.

BALADIN

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Scontato. Tanto sapevate già che sarebbe stato in questa lista.

Il fascinoso Teo Musso è uno dei più capaci e lungimiranti imprenditori italiani, considerato l’iniziatore del fenomeno sia dai tantissimi fan, che da chi trova controproducente la sua espansione o stucchevole la comunicazione social (si dondola su altalene, si corica tra i luppoli, sorride sempre).

Reduce dall’inaugurazione del colossale nuovo birrificio, una vera cittadella del Baladin, con i locali (chiamati Open) disseminati in mezza Italia e le birre che hanno una distribuzione capillare, cerca di sfatare i miti intorno a un ventilato compromesso con la qualità.

E come? Con le chiccherie. Tipo la Xyauyù fumé, maturata in botti di whisky scozzese (normalmente per dodici mesi, ma ad Eurhop ha portato una versione limitata barricata quattro anni).

BIRRIFICIO ITALIANO

birrificio-italiano

Dal rigore del mondo teutonico alle produzioni odierne in cui trovano spazio legni, fermentazioni miste e frutta.

Realtà tra le più longeve del Paese, Birrificio Italiano è un esempio di imprenditoria su piccola scala e di alchimia birraria di successo. Non si può dire di capirci qualcosa di birra italiana finché non si conosce la loro Tipopils.

Ora si sono lanciati in una collaborazione con Crak (altro birrificio degno di nota presente all’Eurhop) con una sorta di manifesto del consumo consapevole: “Fresh is more”, si chiama la birra, più fresca è meglio è.

Trattasi di una India pale lager (tanto luppolo e una bassa fermentazione alcolica) che ostenta la data di messa in fusto.

CANEDIGUERRA

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Il nuovo che avanza, la “seconda generazione” di birrai italiani (se così si può dire, parliamo pur sempre di vent’anni di storia di artigianato brassicolo) che si è formata in altri birrifici, in questo caso Alessio Gatti ha lavorato da Bruton, Toccalmatto, Brewfist, Bad Attitude.

L’esperienza è tangibile in produzioni sempre ottime.

Per l’immagine del marchio si sono affidati a professionisti del settore, riuscendo ad assicurarsi in meno di due anni un angolo nei frigoriferi dei brew pub per intenditori, sempre presenti ai festival che contano.

Sono quelli dalle stampe psichedeliche e del minimalismo d’etichetta. Diretti che più di così non si può, con il tappo bianco per le ricette “classiche” e il nero per le edizioni limate.

Abbiamo bevuto di nuovo la loro Bohemian Pilsner, che vi avevamo già consigliato parlando dello stile Pils, equilibratissima.

EXTRAOMNES

schigi

Il Cave Canem (“attenti al cane” come lo dicevano i romani) che fa da logo a questo ormai celebre birrificio lombardo andrebbe riferito al birraio, più che a un animale da cortile.

Antipatico e bravissimo, genio e sregolatezza, il nerd che è dietro le ricette e la fondazione di Extraomnes manifesta picchi entusiasmanti e una costanza produttiva talvolta scricchiolante.

Del resto le produzioni sono coraggiose o forse frutto della sua notoria saccenza.

Ma chi dovrebbe provarci, se non lui, a fare birre come l’Impitoyable? La “spietata” è in effetti una dieci gradi e rotti dall’apparenza innocente: chiara, amarissima, gradazione alcolica diabolicamente celata, è l’ultimo degli ossimori con cui ha voluto divertirsi.

FABBRICA DELLA BIRRA PERUGIA

perugia

Antesignani della produzione brassicola nostrana, nel 2013 ha riaperto i battenti con l’attuale proprietà. Le produzioni degli ultimi anni e qualche collaborazione ben assestata lo hanno fatto diventare Birrificio dell’anno in un Premio importante.

Noi vi segnaliamo la Chocolate Porter, che la guida Birre d’Italia edita da Slow Food inserisce quest’anno tra le “grandi birre”.

Con granella di cacao fresco a fine fermentazione, come in un dry hopping al cioccolato (aggiunta di luppolo a mosto freddo, che esalta gli aromi).

Golosissima: ricorda un po’ il latte col Nesquik, ma le note di frutta secca le risparmiano l’immagine della cannuccia a spirale trasparente.

BIRRIFICIO LAMBRATE

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Istituzione milanese, negli ultimi anni ha virato verso l’ampliamento, con un nuovo impianto impressionante e collaborazioni con protagonisti della scena italiana (Giampaolo Sangiorgi, guru del Birrificio Lambrate, è partner di Manuele Colonna e Alfonso Strianese in “Birra – Italian Craft Beer”, il locale fresco di apertura, nato per promuovere la birra artigianale italiana a Berlino).

Pionieri del movimento italiano, sono quelli della birra non filtrata e non pastorizzata che hanno reso simpatico il dialetto di Milano. Tra i loro prodotti ingiustamente meno noti c’è la Schiscià i ball (“strusia le palle”), il cui nome si riferisce a una superstizione nord-italica: girare su sé stessi con il tallone appoggiato sui testicoli di un toro (simbolo di Torino), celebre mosaico pavimentale di galleria Vittorio Emanuele.

Trattasi di una IPA, le amare che vanno più delle mentine al bar del cinema, in realtà non particolarmente acre. Esotica al naso, di un giallo carico così gradevole che merita una citazione sul colore, si chiude con una secchezza che chiama la seconda pinta.

LOVERBEER

loverier

Poco interessato a una comunicazione arrembante, bottiglie a parte, quelle sono davvero belle, sembrano quadri rinascimentali disegnati da un bambino, Valter Loverier è il simbolo delle sour italiane; prodotti davvero unici per compiutezza e godibilità.

Nell’approccio al lavoro, ancor più che nelle questioni territoriali, ricorda in tutto e per tutto un vignaiolo piemontese.

A questo proposito, si è presentato a Eurhop con un grande ritorno: la Duvabeer, fatta con mosto di uva freisa, vitigno autoctono e per nulla blasonato, che è riuscito a nobilitare con la fermentazione spontanea.

E’ tornato a farla dopo due anni anche se non c’è sul sito, perché della comunicazione, appunto, non gli interessa.

BIRRIFICIO MONTEGIOCO

montegioco

“Ho lavorato nell’industria e ho scelto di vivere in un altro modo” è uno dei ritornelli di Riccardo Franzosi, a capo del birrificio nel paese omonimo, terra di mezzo tra Piemonte, Liguria, Lombardia e Emilia (tra le altre cose ha dato dignità ad alcune specialità locali, come nella Quarta Runa, birra cui aggiunge le pesche di Volpedo).

Prodotti discretamente memorabili, con una comunicazione da autodidatta che lo aiuta nella scelta di restare piccolo.

In compenso le sue creature si fanno riconoscere. Pensiamo alla Bran (dal nome celtico del corvo), stout strutturata con malti tostati, un mix di caffè e tabacco caldissimo in bocca. Parlando di birre che confortano e scaldano il cuore, sembra uscita da un pub gestito da hobbit.

BIRRIFICIO RURALE

rurale

Anche il mondo della birra ha il suo gallo in bottiglia. Ma non siamo nel Chianti, come per il vino, bensì in Monza e Brianza.

Romanticissimi, quelli di Rurale sono partiti producendo birre in un vecchio silos adibito ad impianto: una delle molte realtà nate da una passione condivisa tra amici che negli anni, è riuscita con fatica a crescere. La costanza produttiva è certamente il loro punto forte.

Ad Eurhop è andata a ruba la Smoky, reinterpretazione della Rauchbier tedesca (realizzata con malti essiccati, dal caratteristico sentore affumicato).

Gestire il sentore “fumo” è parecchio impegnativo senza imbattersi in un effetto provolone; sarà per questo che pochi ci si cimentano. Equilibrio ottenuto.

TOCCALMATTO

toccalmatto

Sa personalizzare le sue birre in un mercato che si muove velocemente, comunica benissimo ed è raro beccarlo in castagna per qualche difetto in bottiglia.

Bruno Carilli, il birraio di Toccalmatto, è innanzitutto un grande osservatore. Per esempio, ha fiutato il potenziale della vinificazione naturale e presto lo vedremo lavorare anche con quei mosti lì.

Tra i suoi punti di forza ci sono in effetti le collaborazioni, spesso e volentieri con birrifici esteri dai nomi altisonanti, che fanno figo e impegnano pure.

E’ il caso della Matt², dark strong ale leggermente affumicata realizzata partendo da una ricetta del birraio di Hear of the Dog in quel di Fidenza. Un anno di barrique in rovere americano e zuccheri canditi per 12 gradi.