2 libri per chi ama molto il vino da regalare a Natale

I tempi di Natale sono stretti, se volete fare un regalo gradito a chi ama molto il vino non riducetevi al solito cavatappi più o meno tecnologico. Andate controcorrente e regalate un libro. Eccone due caldamente consigliati

2 libri per chi ama molto il vino da regalare a Natale

Ammettetelo. Anche quest’anno non ce l’avete fatta. Natale é alle porte e vi manca un regalo. Poco fa tutto sembrava ancora facile. Fare un regalo a un appassionato di vino non sarà tanto difficile, vi siete detti. Giusto.

Ma alla fine i tempi pre-natalizi sono quel che sono e una irrefrenabile voglia di fare davvero una bella sorpresa, di trovare qualcosa di utile e bello vi ha portato fin qui. A mani vuote.

Abbassare gli standard e ricorrere alle classiche soluzioni last minute, tipo bottiglia importante, decanter o un cavatappi super tecnologico non è da voi. Arrendersi nemmeno.

Siate fedeli a voi stessi. Fate una cosa controcorrente. Regalate un libro.

Storia moderna del vino italiano

Walter Filiputti

Skira editore 2016, 416 pagine, € 55,00

storia moderna del vino italiano

Già per il suo peso l’acquisto di questo tomo voluminoso è una scelta audace. Qui non c’è niente di virtuale. Solo carta stampata come Gutenberg comanda.

Il libro racconta le faccende del vino italiano degli ultimi cinque decenni. Quelli più decisivi della sua storia millenaria. In questo arco di tempo, infatti, é avvenuto un vero rinascimento del vino italiano che ha coinvolto tutti i settori del sistema vitivinicolo portandolo a delle vette qualitative mai raggiunte prima.

Una veste grafica lineare e una fotografia a supporto del testo lo rendono particolarmente utile, di facile accesso, anche per chi si avvicina per la prima volta a questo tema.

E’ una storia molto complessa, fatta di tantissime persone che con le loro scelte hanno cambiato le sorti del vino italiano. Gli autori la raccontano passo per passo iniziando con il Sassicaia di Nicolò Incisa della Rocchetta e il Tignanello di Piero Antinori attraversando poi tutto lo stivale prima di arrivare al Vecchio Samperi di Marco De Bartoli e la viticoltura eroica di Carlo Hauner (senior e junior).

Ricordando anche il contributo del giornalismo enoico straniero e il lavoro svolto dalle varie associazioni di categoria come Slow Food, il Movimento Turismo del Vino, Le Donne del Vino o la Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti, il volume documenta fedelmente l’unità del vino italiano nella pluralità delle sue voci.

La Storia Moderna del Vino Italiano è un libro preciso nei suoi aspetti storiografici, scritto con sobria imparzialità, a voce bassa.

Oltre al comitato di redazione composto da Walter Filliputti, Mario Busso, Davide Rampello, Attilio Scienza e Angelo Solci si trovano firme prestigiose come quelle di Roger Sesto, Cesare Pillon, Antonio Calò e molte altre. Persone che in prima persona hanno vissuto questa storia di cui ora si fanno testimoni.

L’aspetto più bello di questo libro è che incita alla riflessione. Un esempio: Il Lambrusco, lanciato alla fine degli anni Sessanta dalla Banfi negli Stati Uniti ha dimostrato ben presto di essere un gigantesco “moltiplicatore di dollari”.

Sarà pur stato un vino di facile beva, ben lontano da quel prodotto di qualità che oggi troviamo sugli scafali anche delle enoteche più blasonate, ma piacque a tutti. Un successo commerciale che ha avuto un seguito del tutto inaspettato.

Come racconta il libro, i soldi ricavati dal Lambrusco business permisero alla Banfi di fare il salto di qualità acquistando terreni a Montalcino per produrre il Brunello con quantitativi sufficienti a conquistare il mercato americano.

E così l’azienda assunse il ruolo di apripista in un mercato a cui successivamente tutti i produttori della denominazione poterono accedere più facilmente.

In altre parole: Senza il mare di Lambrusco prodotto negli anni Sessanta e Settanta il Brunello, uno dei vini più importanti di tutto il paese, sarebbe rimasto a lungo un prodotto di nicchia, incapace di emergere. Le vie di Baco sono davvero infinite.

Il Grande Viaggio nel Vino Italiano

Giancarlo Gariglio, Fabio Giavedoni e Fabio Pracchia

Slow Food Editore 2016, 381 pagine, € 29,90

Il grande viaggio nel vino italiano

Un libro utilissimo. Non solo per la comunità slow. I curatori sono quelli della Slow Wine, la guida che promuove il vino italiano seguendo i principi del buono, pulito e giusto.

Come autori della guida presentano anno dopo anno il panorama della produzione vinicola italiana. Con questa pubblicazione invece si spingono oltre. Scegliendo “ventisei storie esemplari” di giovani vignaioli vogliono testimoniare “dove si sta dirigendo l’enologia italiana e quali strade ci piacerebbe imboccasse”. Un’impostazione che dal presente traccia le linee di un possibile futuro.

Leggere sovrapposizioni tematiche a parte il Grande Viaggio nel Vino Italiano prosegue dove la Storia Moderna del Vino Italiano ci aveva lasciato. Per molti versi le due opere si completano a vicenda. Insieme costituiscono una piccola libreria del vino italiano.

Prendiamo come esempio il legame tra cucina e vino. Ne parla anche l’opera curata da Walter Filiputti ricordandoci il ruolo svolto dagli oltre 70.000 ristoranti nel mondo come ambasciatori del buon bere all’italiana.

Il libro Slow però va oltre collegando i vini e la storia di ogni singolo vignaiolo a una cucina del territorio, rappresentata a sua volta dalla ricetta di un ristorante locale.

Il “grande viaggio” a cui si fa accenno nel titolo non è una façon de parler. Sulle orme di Soldati, Veronelli e Brera gli autori ci invitano a camminare nelle vigne. Su è giù per lo stivale.

Dalla Valle d’Aosta, rappresentata dall’azienda Les Granges di Gualtiero Crea, al Friuli Venezia Giulia di Damijan Podversic. Dall’Alto Adige di Martin Gojer fino alla Sicilia con Nino Barraco e Marco De Bartoli e figli.

Gli autori trovano un potenziale innovativo in tutte le regioni italiane. Manca solo il Molise. Sono definitivamente tramontati i tempi in cui il rilancio della viticoltura italiana veniva rappresentata da poche zone chiave, in primis Toscana, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Piemonte.

Certo, chi va a scovare possibili paradigmi per la viticoltura del domani si trova non raramente di fronte a idee che vengono dal passato. Sembra un paradosso. Ma forse non lo è.

Il lavoro portato avanti da Damijan Podversic, nel Collio, per esempio, non sarebbe stato possibile senza quello del suo maestro Josko Gravner come lo ricorda giustamente Fabio Giavedoni nel suo racconto.

L’attenzione agli autoctoni, minimalismo in cantina e una crescente attenzione alla salute della vigna e del consumatore sono idee che oggi si diffondono sempre di più grazie al lavoro di alcuni vignaioli audaci della generazione precedente. Il viaggio della viticoltura italiana del futuro è iniziato ieri.

Grazie all’ardua impresa degli autori nel delinearlo a grandi linee riusciamo ad intravederlo con più chiarezza.