Vini naturali: spunti per discuterne ancora

Vini naturali, continuiamo a parlarne: cosa sono, favorevoli e contrari, i ristoranti e il mercato

Vini naturali: spunti per discuterne ancora

I vini naturali sono le nuove tette.

Su Facebook per esempio, sarà l’autorità dell’algoritmo, ma mi sembra non si parli di altro.

Non male per una categoria che non esiste burocraticamente e che racchiude un po’ maldestramente una galassia caotica, che ha come manifesto comune il non interventismo in vigna e in cantina. Detrattori contro appassionati duellano acremente da molto tempo, trovando un solo punto in comune: una seriosità preoccupante.

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L’argomento è così caldo che non bastano più le dispute tra addetti ai lavori o le numerose pagine Facebook ricche di spunti interessanti e d’intransigenze quasi oscurantiste. Si è iscritto al tema anche il Guardian con un longread tipicamente anglosassone: analitico e piuttosto equidistante.

Approfondiamone alcuni punti.

VINI NATURALI E RISTORANTI STELLATI

Il primo spunto del lungo pezzo del Guardian ci ricorda come il Noma già nel 2011 fosse noto per avere in carta molti vini naturali, taluni piuttosto estremi e generalmente poco associati a una cucina di alto rango. Il riferimento specifico è a un bianco francese della Loira dall’incredibile pezzo di 8 sterline a bottiglia.

Pochi anni dopo a sorprendere è più il prezzo basso e provocatorio, specie in un contesto da ricarichi importanti, che la presenza di certi vini in carta, per quanto gran parte degli stellati sono ancora troppo legati a liste decisamente ingessate.

Proprio a questo proposito, l’articolo ci ricorda che il 38% delle carte dei vini londinesi contengono attualmente almeno un vino biologico, biodinamico o naturale. Sono mondi diversi ovviamente, ma il dato interessante è che questa percentuale sia tripla rispetto al 2016.

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Aggiungo che sul Noma circola anche una leggenda, che come tutte le leggende si farebbe bene a non approfondire per non esaurirne la portata letteraria. Sembrerebbe che durante un assaggio in una cantina, il sommelier, o chi per lui, avesse chiesto notizie su una botte che non aveva assaggiato. Informato del fatto che il vino fosse difettato e quindi sconsigliato, chiese di provarlo per poi esclamare entusiasta: “è esattamente quello che cercavo, lo prendo!”.

DETRATTORI DEI VINI NATURALI

Anche il Guardian pone l’accento sull’affermarsi di una serie di detrattori che prima della loro diffusione semplicemente non consideravano i vini naturali nel loro spettro. Ora, costretti a confrontarcisi, mostrano le unghie e alzano i toni.

In Italia un caso classico sono gli articoli di Daniele Cernilli, che pone l’attenzione sulla falsa retorica del vino naturale e sui grossolani errori enologici, polarizzando a sua volta il discorso piuttosto che cercando di coglierne il fenomeno.

In generale è tutto il mondo dell’enologia ad avere il dente avvelenato con i naturali, configurando un confronto che ricorda la medicina contro l’antivaccinismo dilagante.

Si badi bene, è solo un esempio: non considererei mai i vinnaturisti alla stregua degli antivaccinisti.

MA COME SONO QUESTI VINI NATURALI

C’è poi una sintetizzazione schematica dei vini naturali, che teoricamente è semplicistica e scorretta, ma che nei suoi limiti coglie bene una criticità del movimento su cui personalmente pongo spesso l’accento.

Il Guardian usa questi termini: “they tend to be smellier, cloudier, juicier, more acidic and generally truer to the actual taste of grape than traditional wines”. Ovvero: più puzzolenti, più succosi, più torbidi e più veri dei vini tradizionali.

Cosa molto spesso vera, a cui aggiungerei anche altre caratteristiche, tra cui ovviamente la fermentazione spontanea del mosto e l’ossessione per il controllo della temperatura, che sembra diventato qualcosa di esoterico. Anche se l’argomento della prima ora è sempre la solforosa, che continua a essere demonizzata in modo acritico, spesso mentre si sgranocchia della frutta secca in busta.

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Il punto che spesso sfugge, però, è che il vino naturale dovrebbe essere solo più autentico e “territoriale”, mentre messo in questi termini si trasforma in un’estetica del gusto.

Basta fare un salto in una delle tante fiere naturali per averne una sensazione chiara. Rispetto a 10 anni fa è sempre più difficile distinguere vitigno e zona di un vino naturale: si sta perdendo un bel patrimonio a favore di una standardizzazione che è la negazione stessa della premessa.

Ma queste sono mie riflessioni da amante della prima ora, lontane dal saggio giornalismo anglosassone…

IL VINO NATURALE NON ESISTE

Era stato anche il titolo (virgolettato) di un mio vecchio post ed è argomento ricorrente. A rigor di logica chiunque può definirsi naturale perché la categoria non esiste burocraticamente, quindi è autocertificata.

Ovviamente è uno dei tasti più battuti dai detrattori, come Robert Parker, il volto e il palato determinante nel mercato americano, mentre gli entusiasti come Michel Bettane (figura centrale della critica enologica francese) considerano l’assenza di regole una forza del movimento.

Non la pensa così Angiolino Maule, fondatore di Vinnatur, manifestazione dove vengono accettati i vini solo dopo averli analizzati.

Qui anche il Guardian si permette qualche licenza colorata, raccontando i vignaioli che seguono i cicli lunari e non hanno il computer, gli usi stravaganti dei contenitori o delle posizioni delle vigne, come anche il mito del vino georgiano.

Però ci ricorda anche come il 90% dei vini presenti al supermercato faccia un uso intensivo di pesticidi.

LOTTA ALLA LEGISLAZIONE

Il Guardian usa come riferimento normativo la Francia, ma il discorso vale anche (e soprattutto) per l’Italia.

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La questione legislativa in merito alle denominazioni di origine, in termine di regole sulle rese, gli affinamenti, fino al colore del vino, sarebbe così rigida e restrittiva che gran parte dei naturali finiscono in zone d’ombra solitamente valide per i vini dozzinali.

La natura antagonista di questi vini attualmente finisce per trarre vantaggio dalla cosa, ma l’articolo si sofferma sulle numerose battaglie fatte in passato contro il vino industriale francese.

La questione, in realtà, va ben oltre i confini dei vini naturali, tanto che tantissimi vini mitici anche italiani sono uscite dalle loro denominazioni di origini da molto tempo. D’altronde che garanzia qualitativa dovrebbe dare una denominazione che permette l’uscita dei suoi vini a 2 euro al discount?

BIODINAMICA

Sempre al pericoloso confine tra spontaneismo agricolo, misticismo e scienza, l’agricoltura biodinamica è soggetta a una serie di retoriche che ne hanno ridimensionato i principi fondativi. Oppure no?

La parte storica del pezzo del Guardian ricorda infatti come il pensiero biodinamico derivi dalle idee di Rudolf Steiner. E come il movimento si sia trasformato, dall’inizio del terzo millennio, perdendo il suo carattere estremamente circoscritto per diventare molto più centrale.

IL MERCATO DEI VINI NATURALI

Tracciando l’ultimo decennio come quello più importante per la diffusione dei vini naturali, il Guardian individua il passaggio dal “ghetto” al mercato che conta attraverso una serie di figure commerciali (importatori, distributori), di divulgazione (scrittori, giornalisti, ambasciatori) e individua le prime aree di conquista soprattutto in Scandinavia, ma anche in alcune zone di Londra e New York.

Aggiungerei il Giappone. E successivamente una diffusione meno focalizzata e più rispondente ai principi di globalizzazione.

D’altronde se il punk è passato da essere l’antisistema a una moda nel giro di pochi mesi, perché non dovrebbe accadere ai vini naturali?

La conclusione è tutta dedicata all’impossibilità contemporanea di segregarli a un mercato specifico, anche se il riferimento demografico è ancora bene individuabile: maggioranza di trentenni anche molto interessati al mercato delle birre artigianali e dei distillati di alta fascia (non mi pare di aver letto la parola hipster però, ma credo che ormai sia considerata una parolaccia) e, in generale, persone attente al consumo consapevole e interessate al cibo biologico.

[“Saziati lupo, tua madre è puttana, tuo padre è cornuto”. O della biodinamica]

D’altronde, per quanto riguarda la fascia di età, la stessa iconografia delle etichette, per quanto rievochi una sorta d’ingenuità grafica, mi pare avere uno specifico pubblico di riferimento.

[Crediti | The Guardian, Doctor Wine. Alcune foto di Alexander Gable per The Spruce]