11 piatti tipici lombardi: la cucina della Lombardia da provare

Gli 11 piatti tipici lombardi imprescindibili, uno per provincia: la cucina della Lombardia da provare, completa di storia, ingredienti, aneddoti e curiosità.

11 piatti tipici lombardi: la cucina della Lombardia da provare

Siate sinceri: qual è la prima cosa che vi viene in mente se pensate alla Lombardia? Non avete pensato alla cucina lombarda, vero? Eppure, nonostante il cliché da quintessenza della cucina “polentona”, c’è una sfilza di piatti tipici lombardi da leccarsi i baffi.

Impressionante la varietà di ambienti che coesistono in una sola regione: fiumi, laghi, pianura, montagna, praticamente se si toglie l’Idroscalo manca solo il mare; immaginiamoci (perché tutti non possiamo conoscerli di certo) il paniere di prodotti.

Insomma, anche andando a logica, la cucina della Lombardia non può essere polente, minestre e stufati: ci sono tantissimi piatti tipici da scoprire e assaggiare. Oggi ve ne raccontiamo uno per provincia, così magari le impariamo per davvero, tutte. La grande esclusa sarà la Città Metropolitana di Milano, che affronteremo impavidi in un capitolo a parte (e no, il sushi non comparirà tra i piatti tipici). Andiamo dunque a vedere quali sono i piatti tipici lombardi imprescindibili.

Pizzoccheri alla valtellinese (Sondrio)

pizzoccheri

Il grano saraceno è un ingrediente che ci piace tanto. Uno pseudocereale senza glutine, ricco di amminoacidi essenziali, fibre e sostanze antiossidanti, cosa chiedere di più? In Valtellina hanno il nostro stesso pallino: l’incantevole valle alpina in provincia di Sondrio è da secoli punto di riferimento per la coltivazione di questa pianta. Tanto che, oltre a questa ricetta, riconoscerete facilmente altri piatti tipici che identificano la cucina di questi luoghi: polenta taragna, con farina di mais e grano saraceno; sciatt, frittelline al formaggio; manfrigole, crespelle di farina bianca e grano saraceno.

Ma torniamo a noi: i pizzoccheri alla valtellinese sono un primo piatto a base di tagliatelle di grano saraceno il cui condimento indissolubile è verza, patate, burro e formaggio. L’impasto è semplicissimo: acqua e farina, che però devono essere modellate con un po’ di energia a causa dell’assenza di glutine (non preoccupatevi, le calorie le recupererete a tavola). Una volta tagliati a striscioline corte e strette, i pizzoccheri vanno rigorosamente cotti insieme alle verdure in pentola. Scordatevi i purismi da sale solo quando l’acqua bolle, e la pasta la mescolo oppure no, e lo scolapasta ci va quello apposta: insomma dimenticatevi di tutte quelle cose vi hanno insegnato per essere degli Italiani veri perché i pizzoccheri se ne sbattono.

Quando sono pronti vanno gettati direttamente in una teglia calda (“marmitta”) che li aspetta già piena di burro fuso. La situazione si fa ancora più interessante perché, prima di passare alle verdure, vengono alternati con attenzione a strati di formaggio (Valtellina Casera e grana grattugiato sono il top). Avete ancora qualche dubbio? Consultate la nostra ricetta dei pizzoccheri, a prova di errore!

Casoncelli (Bergamo)

Casoncelli

Di questa pasta all’uovo ripiena ci sono due scuole di pensiero: una è bresciana, l’altra è di Bergamo. In questa sede ci occupiamo della seconda, quella della città divisa in “Alta” e “Bassa” (con in mezzo le mura che sono patrimonio dell’Unesco) e che è diventata suo malgrado sinonimo di dialetto impronunciabile. Da queste parti i casoncelli si chiamano casonsèi e più di un elemento li rende inconfondibili.

Partiamo dalla pasta: farina, semola, uova, acqua, e fin qui niente di strano. Arriviamo al ripieno: l’ingrediente immancabile è l’arrosto di vitello unito a uvetta, amaretti, grana padano, noce moscata. Per bilanciare con l’acido, c’è chi ci mette dentro addirittura pera o scorza di limone. La pasta viene chiusa intorno al ripieno in una forma squadrata detta cassone, da cui il nome casoncelli, Il condimento è uno e trino, ovvero burro, burro e burro.

Missoltini (Como)

Slow Fish 2015, pesce essiccato

Nell’Italia delle eccellenze ormai non dovremmo sorprenderci più di niente. E invece ogni volta dietro l’angolo si nasconde il prodotto che ha una storia antichissima, oppure è unico nel suo genere, o ancora è un Presidio Slow Food. Ecco, i missoltini del Lago di Como sono tutte e tre queste cose. I protagonisti sono gli agoni, piccoli pesciolini lacustri che vengono essiccati al sole fin dai tempi di Plinio il Giovane, il quale non mancava mai di annotarsi quello che gli capitava di vedere (fosse mai che tornasse utile a qualcuno): in questo caso ci racconta dei primitivi mezzi di conservazione del pesce a base di sale e sole da parte dei coloni Greci.

Grazie agli scambi culturali con il Nord Europa (che di pesce essiccato ne sa più di noi) oggi i metodi sono un po’ cambiati. L’agone ha un corpo allungato di colore verdastro, è ricco di grassi Omega 3 e si pesca nei mesi estivi di giugno e luglio. Lo si trova nella parte settentrionale del lago, in acque più fresche e poco profonde: squamato ed eviscerato, viene conservato sotto sale per qualche giorno e poi appeso come una bella molletta da bucato. Quando la testa scricchiola al contatto con le dita, l’agone è pronto per la prossima tappa: oggi viene posto dentro contenitori metallici, una volta dentro barili di legno chiamate missolte. Una volta riempiti, si effettua una lenta torchiatura che fa affiorare il grasso in superficie, proteggendo i missoltini dall’aria esterna.

Dopo pochi giorni i pesci sono pronti, perfettamente essiccati. Avete due scelte, anzi tre: mangiarli da soli, rinvenuti in padella con un po’ d’olio; grigliarli con la polenta; oppure cercare qualcuno che ancora conservi i visceri (ve li ricordate? quelli che abbiamo tolto al pesce all’inizio del processo) e vi faccia assaggiare la curadura, interiora fritte con cipolla. Buona fortuna.

Brüscitt (Varese)

Andiamo in provincia di Varese con questo piatto “brutto ma buono” originario di Busto Arsizio. Il nome porta fuori strada: in dialetto brüscitt significa “briciole”, ma qua il pane non c’entra niente.

Stiamo parlando di una preparazione simile allo spezzatino di manzo, con la differenza che la carne è tagliata molto grossolanamente, anzi diciamo pure che qualcuno gli ha voluto proprio male. Il motivo di questo formato così granuloso sta nel poco tempo e nei pochi soldi: per chi lavorava tutto il giorno nei campi era indispensabile avere a disposizione dei tagli molto duri che potessero cuocere senza problemi per tutto il giorno a fuoco dolce in modo da essere pronti una volta tornati a casa. La ricetta tipica prevede cappello del prete e girello cotti in burro e lardo. La parata di grassi saturi è aromatizzata da vino rosso, aglio e semi di finocchio, questi ultimi chiusi in un sacchettino di garza. Dopo una lentissima rosolatura di almeno tre ore, in cui avrete tempo di preparare la polenta obbligatoria e magari di iscrivervi preventivamente in palestra che non si sa mai, il brüscitt è pronto.

Risotto con la luganega (Monza)

La piccola provincia di Monza-Brianza potrà essere famosa per tante cose, dalla Monaca libertina agli imprenditori in giacca e cravatta. Noi però, che sappiamo molto bene quanto sia facile prendervi per la gola, siamo sicuri che d’ora in poi il risotto con la luganega sarà la prima cosa che vi verrà in mente. Questo piatto, pur essendo intrinsecamente legato alla città di Monza tanto da essere conosciuto come risotto alla monzese, ha tantissime varianti, e sempre in aggiunta. Croce e delizia di tutte le basi farinacee come pasta e pizza, anche il risotto è arbitrario sui condimenti. Nella ricetta originale l’ingrediente principale è la luganega, una salsiccia di suino tipica di questa zona: la preparazione del piatto è eseguita né più e né meno come qualsiasi altro risotto, con brodo, burro e formaggio. Semplice ma efficace, visto che poi ognuno fa la sua versione di risottoallaluganega+ (radicchio, funghi, gorgonzola, zafferano, patate, stracchino,…).

Rane fritte (Pavia)

rane-fritte

Sa di pollo. Anticipiamo la domanda inevitabile a proposito di questo piatto che è diffuso in tutta la Lombardia, ma a Pavia riesce particolarmente bene. La rana è un anfibio, e forse proprio per questa sua dualità siamo un po’ diffidenti verso la sua natura solo all’apparenza viscida e umidiccia. C’è una parte di noi però che ha una curiosità morbosa di scoprire di cosa diamine sa questo animale che è a metà tra un pesce che nuota e una bestia che cammina. Ci dispiace per voi, la prova del nove è solo l’assaggio. E siccome fritto è buono tutto, vogliamo darvi un valido motivo per affrontare le vostre paure e addirittura farvi venire voglia di provare le rane fritte.

Intanto sappiate che siete fortunati: una volta si utilizzava tutto il corpo della rana, oggi ci si limita alle coscette. A meno che non vogliate farlo voi, le rane si trovano in commercio in pescheria già spellate ed eviscerate: a voi basterà lavarle, preparare la pastella di uova, farina e birra, unire il tutto e tuffare i bocconcini nell’olio bollente. Dorate e croccanti, vi assicuriamo che sono deliziose. E poi scusate, sarà meglio essere consapevoli di avere in bocca un pezzo di rana piuttosto che masticare le carni misteriose dei chicken nuggets, che sono 100% pollo come Nina Moric è 100% naturale. Allora, vi abbiamo convinto?

Marubini (Cremona)

marubini

In un clima da scissionismo parlamentare e disorientamento istituzionale, i marubini potrebbero essere il vessillo al seguito del quale finalmente tutti vanno d’accordo. Questa pasta ripiena tipica di Cremona non solo unifica nello spirito, ma anche nella materia: è infatti capace di mettere insieme ben tre tipi di carni diverse.

Ciò che distingue i marubini dagli altri formati di pasta ripiena, che qui in bassa Lombardia cominciano decisamente ad affollare la scena, è il taglio della pasta sui bordi. Questi ravioli dall’orlatura smussata ricordano un po’ delle grosse margherite: il ripieno è a base di brasato, salame cremonese, grana padano e noce moscata. Detto questo passiamo alla parte più interessante, quella che riguarda la cottura: il brodo è il risultato dell’unione di tre brodi e si ottiene mettendo in acqua fredda manzo, cappone o gallina e carne di maiale. Marubini for president, senza dubbio.

Tortelli di zucca (Mantova)

Questa ricetta antica e dal sapore rinascimentale è il primo piatto che vira deciso verso il dolce. Quando ci troviamo di fronte ai tortelli di zucca autentici la sensazione è quella di essere catapultati indietro nel tempo: potremmo benissimo essere alla corte dei Gonzaga 500 anni fa, tanti sono i secoli di storia per questa preparazione. Qui a Mantova ancor prima dei tortelli il vero simbolo è la zucca mantovana, varietà locale dalla polpa compatta e arancione tenue, deliziosa anche solo cotta al vapore senza nessun condimento.

I tortelli sono la tipica pasta ripiena di zucca, amaretti, mostarda, zucchero, grana padano e noce moscata che viene servita come primo piatto di magro durante la Vigilia di Natale. Il connubio di ingredienti fa sì che il dolce preponderante sia bilanciato dal salato del formaggio e dal piccante-agro della mostarda di pere o mele. Il condimento classico è burro e salvia e l’espressione classica di chi mangia è un misto tra beatitudine e incredulità. Troppo buoni per essere veri, ma noi ci proviamo lo stesso a replicarli con la nostra ricetta perfetta dei tortelli di zucca.

Bossolà (Brescia)

bossolà

SOS Iginio Massari. Il celebre pasticciere bresciano è sicuramente la figura più indicata per aiutarci a raccapezzarci su questo dolce natalizio tipico della sua città. Innanzitutto cerchiamo di capire cosa è il bossolà bresciano: il nome sembra derivi dalla vaga somiglianza con una biscia (biss in bresciano) evidentemente arrotolata su se stessa. La forma di questo lievitato basso, rotondo e concavo al centro richiama quella di un ciambellone dal buco stretto. Gli ingredienti sono farina, lievito di birra, zucchero, uova, vaniglia. Semplice? Non fatevi ingannare dalle apparenze, sarà pure addormentato ma siamo pur sempre di fronte a un serpente.

A questo punto entra in scena Iginio: secondo il Maestro, la lavorazione per un bossolà a regola d’arte dura almeno due giorni e prevede quattro impasti, avete capito bene. Per ognuno di essi, partendo da una base secca,  si aggiunge di volta in volta un ingrediente umido. La consistenza finale dovrebbe essere simile a un misto tra pandoro e torta paradiso, “una nuvola” sul palato: non ci aspettiamo niente di meno da un dolce che ti leva due giorni di vita! Grazie Iginio che ti sacrifichi per noi.

Tortionata (Lodi)

tortionata

Lodi città c’è una specialità dolciaria che assomiglia parecchio alla sbrisolona di Cremona, ma guai a confondere le due cose! La tortionata è una torta friabile di mandorle codificata nel 1865 dalla pasticceria Tacchinardi, una delle più antiche del centro. Il suo nome non ha niente a che vedere con l’etimologia classica della torta: deriva piuttosto da tortijon, che indica il “ferro attorcigliato” che veniva utilizzato per tagliare il dolce. Per consumarlo infatti non viene utilizzato il coltello, ma spezzato con le mani in pezzi piccoli.

La caratteristica principale che distingue la tortionata dalla sbrisolona è l’assenza di farina di mais: nella tortionata si usa la farina di frumento mista a burro, farina di mandorle, zucchero o miele e scorza di limone. Nonostante sia una torta secca la consistenza rimane morbida e si conserva tranquillamente anche per alcune settimane. La trovate non solo in pasticceria ma anche nei ristoranti, proposta con un passito o con una bella cucchiaiata di mascarpone.

Caviadini (Lecco)

caviadini sono i biscotti di pasta frolla tipici della Valsassina. Siamo sulle Alpi Orobie in provincia di Lecco, zona montuosa la cui ricchezza è costituita da funghi, castagne, polenta e formaggi. E ovviamente questi biscottini dalla forma unica, una specie di rombo molto allungato, o se volete “rettangolo sbilenco” con un sottile buco al centro. L’incertezza sulla forma dà un segnale incoraggiante sulla natura strettamente artigianale dei caviadini, prodotto di punta della gastronomia locale e ubiquitario in tutte le panetterie, pasticcerie e dispense della Valle.

La lista degli ingredienti è essenziale: zucchero, uova, farina, burro (sostituibile con lo strutto). La ricetta risale al Seicento, con prove scritte che attestano la preparazione dei biscotti nel paese di Barzio. Si dice che il nome dei caviadini sia dovuto a una serie di tentativi non andati a buon fine da parte di un cuoco che, incaricato di dare un senso all’impasto, non riusciva a trovare soluzione. Fino a quando gli è capitata la cavia giusta.