8 marzo: 5 donne che fanno bene mestieri “da uomini”

5 donne che fanno (bene) mestieri da uomini. È il nostro modo di festeggiare l'8 marzo, festa della donna

8 marzo: 5 donne che fanno bene mestieri “da uomini”

Sono 375.000 le donne che lavorano in ristoranti, bar e mense italiane: uno dei pochi settori in cui l’impiego femminile supera quello maschile.

Eppure, se pensate a volti noti o stellati gli uomini superano le donne, che guadagnano meno anche quando occupano gli stessi ruoli dei colleghi maschi, con un gap sugli stipendi che supera il 16%, media italiana delle altre professioni.

L’ultima battaglia tra i sessi si svolgerà nella cucina di un ristorante, così sta scritto. Ma non solo. Esistono altri mestieri convenzionalmente ritenuti “da uomini” perché “richiedono particolari competenze” o sono faticosi.

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Oggi, 8 marzo –festa della donna– la quota rosa della redazione di Dissapore è in vena di demolire altri cliché. Ecco 5 storie, 5 mestieri da uomini che le donne stanno svolgendo molto bene.

1) Mara Labella – macellaia

di Caterina Vianello

Tra coltelli e mannaie, macelli e celle refrigerate piene di quarti di bue, operazioni di disosso e taglio, la tentazione di pensare che il macellaio sia un lavoro solo per uomini è forte. Siamo pronti a smentirvi, dati alla mano.

Su 30.000 macellerie in Italia, 10.000 vedono la presenza femminile al banco carni. E se pensate che alle donne vengano affidati compiti di rifinitura dei tagli o di presentazione delle carni al banco, vi presentiamo una signora che gli animali li sceglie direttamente dagli allevatori di fiducia, seguendo la filiera produttiva dall’inizio.

La parlata di Latina è contagiosa, come il sorriso. Mara Labella fa la macellaia da 36 anni. Il negozio di Sermoneta, 80 km. a sud di Roma, porta il suo nome e dei 12 impiegati che ci lavorano 9 sono donne. Le “quote azzurre” della carne rossa.

“Quando presento un taglio infondo sicurezza, questo il segreto”. Certo, qualcuno che l’abbia apostrofata chiedendole se una donna è capace di disossare c’è stato, ma competenza e piglio sicuro sono bastate a zittirlo. Senza mostrare coltelli affilati e animali scuoiati, aggiungiamo. Mara lavora a filiera corta, scegliendo con cura fornitori e bestie: la sua giornata inizia alle 8 e dura 12 ore filate.

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Disossa, taglia, ama preparare il banco con cura, in modo maniacale. La soddisfazione più grande arriva dai commenti positivi dei clienti. Un lavoro da uomo e una famiglia (un marito che fa il suo stesso mestiere e 3 figli) a cui pensare: basta così?

Neanche per sogno: eletta Presidente Federcarni della sezione Lazio Sud, Mara rappresenterà l’Italia alla prossima edizione del World Butchers’ Challenge, il campionato mondiale di macelleria, al quale il nostro Paese partecipa per la prima volta.

Il prossimo 21 marzo a Belfast sfiderà, unica donna, un agguerrito gruppo di concorrenti da ogni parte del mondo, che pare abbiano già espresso delle perplessità sulle sue capacità. In 3 ore e 15 minuti dovrà disossare e tagliare mezzo vitellone, mezzo maiale, 1 agnello e 20 polli e allestire un banco di 7 metri.

2) Luana Meola – Birraia

di Chiara Cavalleris

Ripetete con noi: le donne non amano per forza di cose birre dolci e floreali. E il birraio anche se “mastro” e spesso iconografato come un maciste, non è per forza di cose uomo.

Certo, produrre birra è un mestiere pesante, con lunghi cicli di lavoro, grossi sacchi di malto da spostare e muletti da guidare. Lo sa bene Luana Meola, socia di Matteo Natalini e Antonio Boco nella Fabbrica della Birra Perugia, birrificio artigianale che dal 2013 ha ripreso un’attività iniziata nel 1875 e conclusa, dopo l’acquisizione da parte di Peroni, nel 1927.

In realtà, come nei birrifici che crescono rapidamente, Luana fa un po’ di tutto. Il primo mestiere è ideare e realizzare le ricette insieme al birraio Luca Maestrini, poi si divide tra cotte, fornitori, marketing e comunicazione.

Laureata in statistica, arrotondava facendo la sommelier, ma nel 2006 ha mollato tutto per un master in tecnologie birrarie.

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All’inizio “Birra Perugia” doveva produrre solo per l’Umbria, invece si è costruita in breve un seguito nazionale infiocchettato da partecipazioni ai festival che contano, come Eurhop, e da premi internazionali. Molto del merito è di Luana, eppure la sua figura non veniva presa sul serio.

“Chi bussava in birrificio mi chiedeva dove fosse il titolare, partendo dal presupposto che non potessi essere io. Se indossavo i guanti da lavoro mi prendevano per la donna delle pulizie”.

Oggi invece le ragazze appassionate di birra la vedono come punto d’arrivo, su tutte sua figlia, che ha 7 anni e da grande vuole fare la birraia.

Le difficoltà non sono mancate, ma l’astuzia aiuta. Per dire, i fusti di “Birra Perugia” sono da 24 litri, più leggeri del solito, e per macinare Luana usa la paletta. Tutte decisoni prese da lei in quanto responsabile di produzione, che oggi ha anche imparato a delegare tanto.

Non perché donna, ma come fanno tutti i “capi”.

3) Giuseppina Agostino – Norcina

di Mara Pettignano

Tagliare cosce di suini da cento chili. Poi girarle, rigirarle, insaccarle e appenderle nei magazzini per la stagionatura, gestirne le celle a temperature polari perché la carne di suino ha bisogno di freddo anche mentre viene lavorata.

Il prosciutto di suino nero dei Nebrodi prodotto a Mirto, paese in provincia di Messina, sui monti Nebrodi, è tra i migliori d’Italia. A occuparsi di questo e di altri salumi, per l’azienda La Paisanella, è una donna: Giuseppina Agostino, prima norcina d’Italia, insieme alla cognata Luisa Ambrogio (nella foto).

Nel 1986, a 13 anni, con il diploma di terza media, abbandona la penna e prende il coltello. Oggi lo manovra come se scrivesse. Figlia di allevatori, ha iniziato questo mestiere per necessità, per aiutare il fratello nella sua attività di macellaio. Il lavoro nobilita e in paese è considerata una gran lavoratrice.

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Per fare la norcina —dice— non serve forza fisica, ma destrezza. Nel trattare le carni ha una manualità che spesso gli uomini si sognano. L’altro braccio dell’azienda siciliana è la cognata Luisa Ambrogio. Anche lei taglia e insacca. Ha iniziato per sfida, convinta che i mestieri da uomo non esistano. Infatti anche lei ha imparato, velocemente e bene.

Giovani e magre, dalle mani esili, le due cognate tagliano e insaccano come se suonassero uno strumento, e carezzano le carni come solo le mani di una donna sanno fare.

4) Margherita e Valeria Simili – Panettiere

di Cinzia Alfè

In barba a mimose, slogan e quote rosa, il fornaio è ancora oggi considerato prevalentemente un mestiere “da maschi”; le donne sono ancora relegate, in massima parte, al ruolo di commesse,  oppure di cassiere: vederle spuntare dal retrobottega con tanto di grembiule e mani infarinate è ancora oggi un evento abbastanza raro.

Ma se di vere panettiere, dure e pure, se ne trovano ancora  poche, le sorelle Valeria a Margherita Simili rappresentano, e hanno rappresentato, sicuramente l’eccezione. Classe 1936, di Bologna, negli ultimi decenni hanno letteralmente dominato la scena nazionale e internazionale della panificazione, grazie a pane, focacce, sfoglie, mettendo il matterello in mano a migliaia di allievi, insegnando tutti i segreti di impasti, sfoglie e lievitazioni.

Margherita e Valeria hanno conosciuto il successo aprendo il loro forno “Panetteria e roba dolce” in via Frassinago: tutta Bologna accorreva a comprare le loro “streghe”, sfoglie di pasta di pane condite con olio e sale. Sono anche le autrici di “Pane e roba dolce“, un vero best-seller per il settore.

Oggi in pensione, le celebri sorelle hanno iniziato il mestiere sin da bambine, nel forno paterno, quando la tecnologia era quella che era e per fare il pane ci si svegliava prima dell’alba, come ci hanno raccontato:

“Dovevamo aiutare in bottega e la mamma ci tirava giù dal letto ogni mattina alle 4. Una volta i bambini non erano tutelati come oggi, e in effetti, nostro padre all’inizio ci ha un po’ obbligate. D’altronde, quale ragazzino di 13 anni sarebbe contento di alzarsi alle 4 per andè a fè ‘l pan?”.

Il loro papà, che si auto-definiva “Il Toscanini dei fornai”, aveva infatti un forno di proprietà in Via San Felice, dove Valeria e Margherita ben presto hanno imparato a formare mustafà e pasta dura, prima per gioco, poi per necessità familiari, soprattutto quando negli anni ’50 ci fu lo sciopero degli operai di forni. Ma quella che era stata un’imposizione, una volta diventate grandi è diventato un lavoro amato, scelto e portato avanti con passione e impegno, con cinque fornai e tre commesse, come n’unica, grande famiglia: “C’era molto lavoro, e noi eravamo quelle che lavoravamo più di tutti, ma eravamo felici, perché eravamo in proprio, era il nostro forno”.

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Fare la panettiera oggi è molto diverso, e per quanto le temperature in laboratorio siano sempre elevate, i macchinari moderni “alleviano gran parte della fatica, mentre una volta bisognava essere abili a ribaltare, con un colpo di polso, le pagnotte dalla spada fin dentro il forno”, dicono le due sorelle.

E se ce l’hanno fatta loro, in condizioni non certo agevoli come oggi, altre donne possono farcela, ad altre donne il mestiere di panettiera, che Valeria e Margherita reputano adatto benissimo anche per il gentil sesso, potrà riservare grandi soddisfazioni.

“È merito di questo lavoro se abbiamo avuto grandi gratificazioni, se siamo arrivate in tutto il mondo, a New York e persino a Tokyo. In fondo, non sono molti quelli che nella vita riescono a a fare un mestiere che amano, e noi siamo state delle privilegiate”.

5) Mary Ferrara – agronoma

di Chiara Cavalleris

Nelle aziende vinicole gli uomini potano e le donne stralciano. Si è sempre fatto così, perché la seconda operazione porta con sé ragionamenti meno complessi e nei campi le donne —questa è la credenza dura a morire— fanno quello che possono.

A raccontarci di questa strana “selezione naturale” è proprio un’agronoma (e enologa), Mary Ferrara, da 19 anni braccio destro di Maurizio Castelli, consulente e enologo celebre se ce n’è uno, che mette la firma sulla buona riuscita dei vini di Joe Bastianich, Badia a Coltibuono e Podere Grattamacco, per fare qualche nome.

Mary di vigne ne ha viste parecchie, conquistandosi potatura dopo potatura la fiducia di tanti operai che erano scettici all’idea di farsi insegnare da una donna come si pota.

Con una laurea in Scienze agrarie presa “quando in quella facoltà le donne erano cinque”, oggi Mary ha 44 anni e 3 figli, gestisce sia la parte agronomica che quella enologica di cantine celebri, spesso da sola, è tra i promotori di un progetto europeo per certificare la figura del potatore specializzato a livello comunitario.

Protagonista in un settore da sempre associato alla forza fisica, dalla guida dei trattori alla gestione del comparto zootecnico, è consapevole che, senza una figura maschile di rilievo, non sarebbe mai arrivata dov’è.

“Maurizio mi ha insegnato tutto con la generosità del maestro che condivide le proprie conoscenze, non l’avrebbero fatto tutti. Anche le colleghe che hanno fatto carriera, del resto, sono legate professionalmente a personaggi maschili importanti.

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Gli uomini possono essere importanti per la caduta di molti muri, non a caso Mary conclude così:

”Se non avessi avuto 1 metro e 95 di uomo alle spalle, chissà se qualcuno avrebbe dato retta a me, che sono 152 centimetri. Se lui non mi avesse presentata come la sua assistente, per molto tempo, chissà se qualcuno mi avrebbe dato retta”.