Il D di Repubblica è una pubblicazione altamente fetish

(post lungo, precoci astenersi). Il D di Repubblica, casomai qualcuno non lo conoscesse, e’ una pubblicazione altamente fetish che esce con la Repubblica il sabato. Fetish per me, si intende, mi piace annusarlo, toccarlo, sfogliare quella carta li’, godere di quel font (o di quella font se all’ascolto c’e’ qualche grafico). Ha anche un sito che non rende proprio l’idea, ma che comunque c’e’. Tanto non rende l’idea che hanno usato quella repulsiva soluzione di infilarci dentro il magazine come mamma l’ha fatto.

Nel numero 723 del 11 dicembre 2011, il D di Repubblica mi e’ piaciuto ancora piu’ di sempre perche’ ha preso un filotto di 3 articoli foodie interessanti. Di solito il D di Rep infila un paio di pagine food nella zona finale, simpatiche per brevita’ e neutralita’.

Invece stavolta PAF !

Il primo parla di cibo in guerra. Iraq, Afghanistan, Albania … della sua importanza e delle esagerazioni (ma guarda un po’) americane al riguardo, che si portano 60 gusti di crema gelato in mensa ma poi fanno chiudere il Pizza Hut del compound. E della invece perfetta calibrazione del sapere italiano al proposito (tortellini albanesi). Che tutti poi vanno a mangiare alla mensa italiana, gelati o meno. Il puzzle dei giornalisti e’ basato su un reportage di Ashley Gilbertson, fotografo che ha messo in pellicola le razioni di guerra dei diversi eserciti. Cosi’ ai crucchi il leberwurst non manca, agli ‘mmericani in pratica non manca niente, agli italiani la confezione piu’ elegante …

Il secondo riguarda Anthony Bourdain, che dieci anni fa (quando allora come ora non mi interessavo granche’ di cibo ma almeno ero giovane) deve avere scritto un libro incazzoso in cui, quale unico tenutario del futuro culinario del mondo libero, mandava tutti gli altri (incapaci chef) a quel paese.

Dice Anthony adesso: “Se sono diventato piu’ buono ? No, ho solo capito che tutti ci vendiamo” … che volendo potrebbe essere un buon pay-off per Dissapore tra 10 (tre) anni. E aggiunge un bel: “I dont give a shit”. Che potrebbe essere un buon pay-off per Dissapore adesso (faccetta).

E quindi giu’ a presentare un libro nuovo (“Medium Raw“) in cui manda affare in c… ancora tanti, ma con parole comprensive. Nessuna pieta’ nemmeno per i “falsi messia” tipo Slow Food (quello americano, non Petrini).

Il terzo pezzo e’ quello che mi piace di piu’ perche’ chiacchiera intorno a uno chef danese/macedone (ma non potevo nascere in Danimarca ?!) che pare capace di far di cibo, tale Rene’ Redzepi, colpevole anche di aver riscoperto ingredienti come lo spinocervo e lo scirpo marittimo.

Alcune perlette da rifletterci … sulla mise en place: “le posate sono semplici, le pareti sgombre”, su come vive: “lo incontro in un bar e ci incamminiamo insieme …”, ma uno chef bistellato cammina come noi umani? E “i primi due anni che ero qui mi scottavo con il forno”, eeeeh ???”. E ancora su un 3 stelle in cui ha lavorato: “non c’era alcun lavoro di squadra, erano tutti contro tutti”.

La chicca finale e’ sui clienti: “Per una serata sono come amici, ti diverti con loro e poi gli presenti il conto: e’ strano”.

Leggeteveli, sono carini … sui 3 argomenti mi piacerebbe si condividessero qui opinioni e pareri:

  • Falsi messia.
  • Guerra e valore del cibo, o meglio valore del cibo nelle situazioni difficili della nostra vita (spero che pochi siano stati in guerra).
  • Gli chef sono persone normali che il “sistema” spinge verso la santita’ o viceversa?

[Crediti | Link: dWeb, Amazon, Dissapore, immagine: dWeb]