Il vangelo della bistecca perfetta. Seconda parte: la full immersion

Il vangelo della bistecca perfetta. Seconda parte: la full immersion

I più attenti tra i lettori di Dissapore ricorderanno che ieri ho insinuato un dubbio. In fatto di carne, sono gli americani a mangiare schifezze, o noi italiani, quelli dei bollini e degli Artusi?

Per scoprirlo, e soprattutto per rispondere alla domanda: “Come si prepara la bistecca perfetta?”, ho iniziato un percorso arrivato oggi alla seconda fase.

Dopo l’iniziazione, ecco oggi la full immersion. Riuscirò a salvarvi dalle finte bistecche dei supermercati?

LA MATERIA PRIMA

Come si fa capire quando una carne è di prima qualità? Partendo dagli allevamenti e dai metodi che utilizzano. Ne ho girati alcuni chiedendo come si alleva un bovino.

La risposta è stata sempre la stessa. C’è differenza tra un bovino libero di scorrazzare e nutrirsi secondo natura e un altro legato a un palo con un metro di catena o poco più.

Un animale che pascola in regime di “stato brado “ o “semi brado” sviluppa masse muscolari maggiori e meglio strutturate rispetto a quelli che vivono in regime di mero “ingrasso”.

Facendo un paradosso, sarebbe come paragonare un uomo sedentario che trangugia 4000 calorie al giorno e un body builder in fase di massa. Quale tra i due avrà la struttura muscolare migliore?

Credo che il prosciutto crudo migliore sia lo Jamon Iberico, meglio conosciuto con il nome di Pata Negra. Sì, ma perché? Perché il Cerdo Iberico da cui proviene il prosciutto vive allo stato brado nella Dehesa, libero di mangiare ghiande e nient’altro.

D’accordo, il Pata Negra si lavora con metodi diversi da quelli utilizzati per i nostri prosciutti, ma che differenza!, quando è tagliato sottile si scioglie letteralmente in bocca.

Sono convinto che gli acidi grassi monoinsaturi contenuti in grande quantità nelle ghiande, rendano soffice e soprattutto solubile il grasso dei maiali. Che magari fa male, ma non sarà per quel paio di mezzi chili fatti fuori in un anno che andrò all’inferno o all’ospedale.

Il grasso.

L’imprintig del gusto di una specifica razza risiede principalmente nel suo grasso. La quantità che si infiltra nei muscoli è segnalata con tre termini: venatura, marezzatura e prezzemolatura.

Non sono sinonimi, evidenziano tre concentrazioni di grasso diverse. La venatura indica la semplice “vena” di grasso che attraversa le fibre. La marezzatura sottintende una vena più consistente e ondulata (come l’increspatura delle onde da cui prende il nome) mentre la prezzemolatura segnala chiazze di grasso nello stile della mortadella.

Quindi una bistecca con la giusta quantità di grasso, inquadrabile nella prezzemolatura, è arricchita nel sapore e nella consistenza. La predisposizione della razza è decisiva, ma la tecnica di allevamento favorisce lo sviluppo di grasso intramuscolare.

Il manzo di Kobe e in generale la razza Wagyu, sviluppa una produzione di grasso intramuscolare che, unita a diete e sistemi di allevamento particolari, dà vita alla razza bovina più pregiata. Sconvolgente.

Può capitare di comprare un entrecote di Wagyu al modico prezzo di 250€ al kg. (all’ingrosso).

Secondo uno studio dell’Università di Gainsville, in Florida, il regime ipercalorico cui vengono sottoposti i bovini negli 80 giorni che precedono l’abbattimento, favorisce lo sviluppo di grasso infiltrato e migliora le qualità muscolari dei capi, specie nelle femmine.

Frollatura o maturazione.

Una buona frollatura può aiutare un agglomerato di fibre animali apparentemente insignificante a trasformarsi in un’esperienza gastronomica al cardiopalma. In soldoni, un periodo di riposo dei bovini in luoghi con certe caratteristiche permette alla loro carne di guadagnare in gusto e digeribilità. Per gli americani la frollatura è un’ossessione, portarla agli estremi significa trovare grande tenerezza e concentrazione di sapore.

Dry-aging.

Il Dry-aging è un periodo di frollatura a temperatura controllata realizzato per mezzo di lampade UV a ventilazione forzata e controllata. Il risultato è una lenta e superficiale disidratazione dei tagli destinati a adiventare bistecche.

Ormai il dry-aging è un business importante. I clienti sono soprattutto ristoratori che sottopongono i loro tagli a invecchiamento precoce per periodi che vanno dai 15 ai 30 giorni.

Ogni pezzo etichettato con il nome del cliente viene conservato nel santuario del bos taurus per il tempo concordato.

Alla maturazione a secco si deve il sapore tipico del manzo. In questa fase, grazie all’azione degli enzimi, diventa tenero perfino il collagene della carne, che esposta a ventilazione forzata cede fino al 30% di liquidi.

Perdita che si traduce in una concentrazione del sapore che il glutammato naturale presente nella carne il manzo esalta, stimolando la percezione de quinto gusto, l’Umami.

Un altro effetto collaterale della maturazione a freddo è la quantità di scarti. La superficie esposta all’ossigeno si disidrata, il colore vira verso il nero, possono formarsi muffe simili a quelle visibili durante l’affinamento dei formaggi.

Pertanto, prima di staccare le bistecche è necessario un accurato lavoro di trimming per rimuovere le croste che avrebbero sapore, aspetto e odore decisamente sgradevoli.

Tagliando la bistecca, sorprendono il colore, che va dal rosa al rosso rubino cangiante fino al violaceo; la grana, estremamente compatta; l’odore di charcuterie, con il eggero sentore di ammoniaca tipico della superficie dei salami o della “sugna” del prosciutto crudo.

La carne è così compatta che potrebbe tranquillamente essere affettata per un carpaccio.

Va da sé, che una procedura così complessa e lunga, fa aumentare i costi in modo considerevole. Cosa che non spaventa gli appassionati, accetterei di pagare 50€ e passa (la cifra media richiesta da un ristorante) per una bistecca del genere.

Wet aging.

Molto diffuso, anche in Italia, un metodo di frollatura alternativo, il wet aging. Consiste nella conservazione della carne in luoghi refrigerati ad arte dentro sacchetti del sottovuoto. I mutamenti che intervengono sono sempre dovuti agli enzoni, ma anche a due ceppi di batteri: L. sakei and L. curvatus.

L’obiettivo è intensificare il sapore della carne, ma è chiaro che non si raggiungono i livelli del metodo precedente. Questo non è un processo fermentativo, sebbene il PH si abbassi comunque, ma di degradazione delle catene proteiche.

La chiusura ermetica scongiura la perdita di liquidi rendendo il wet-aging più conveniente del dry-aging, dal momento che gli scarti sono minori.

Un tipo di frollatura che, diversamente da quella a secco, consente di vendere i tagli poco dopo l’abbattimento.

La frollatura sottovuoto contamina il grasso colorandolo di rosa. Il colore della carne si scurisce tendendo al marrone, soprattutto in superficie. Un processo però reversibile, la carne torna del colore originale dopo l’esposizione all’ossigeno.

La quantità di liquidi è maggiore rispetto al metodo “a secco”, l’odore intenso, anche se il palato è disturbato da sentori vagamente metallici.

In definitiva, che sia maturata a secco o sottovuoto, qualsiasi taglio di bovino americano “prima scelta” è come si vede nella figura sopra: venatura, marezzatura e prezzemolatura evidenti, carni sode e compatte. In Italia, molti lascerebbero questi tagli nel banco, perché troppo grassi.

Voi invece cosa fareste?

– Continua

[Il vangelo della bistecca perfetta. Prima parte: l’iniziazione]