Parlando all’analista del tuo radicato odio per la pasticceria giapponese

Non a tutti piace la pasticceria giapponese, non a tutti piacciono i suoi dolci tipici, come dorayaki, mochi e daifuku. Forse è una faccenda legata agli ingredienti

Parlando all’analista del tuo radicato odio per la pasticceria giapponese

“Sa a chi non piace la pasticceria giapponese? Ai giapponesi, che notoriamente sono un popolo dotato di buonsenso.

Vai nei centri commerciali di gran lusso a Tokyo e cosa trovi? I macaron di Pierre Hermé, i cioccolatini di Pierre Marcolini, le éclair di Sadaharu Aoki. Non si faccia ingannare dal nome Dottoressa, sono proprio delle éclair francesi, non è che solo perché mette il sesamo nero nella crema allora sono giapponesi.”

“…e la pasticceria di Dominique Ansel, quello che si è inventato i cronut, tipo un croissant però fritto come una ciambella, e a New York le code facevano il giro dell’isolato.”

“No che non sto scherzando, Dottoressa, so che abbiamo già parlato del fatto che l’ironia è una forma di difesa e sto cercando di limitarla durante le nostre sedute.”

“…Ha notato che i pasticcieri si chiamano quasi tutti Pierre? Come i grandi romanzieri americani che si chiamano tutti Jonathan, come dice Franzen nel suo ultimo libro.”

dorayaki

“…Insomma ero a Parigi e mi dicono: prova questa nuova pasticceria che fa i dorayaki gourmet. E io invece volevo andare da Genin a mangiare la millefoglie, Dottoressa, ma ho detto: ok andiamo. Il dorayaki, glielo spiego perché intuisco che non è pratica, è una sorta di doppia frittella, un incrocio incestuoso tra pancake e pan di Spagna…”

“…Perché ho parlato di incesto? Mi è venuto così, è per dire che le due cose hanno una parentela, e che il risultato è un obbrobrio.”

“Sì, solo per questo. Guardi che Freud non aveva sempre ragione, eh? Anche per lei sarebbe ora di uccidere il padre alle volte. Ahah.”

“Scusi, avevo detto niente ironia.”

“A volte non riesco a fare a meno di domandarmi se questi soldi di terapia siano spesi bene. Ma poi mi dico: certo meglio di quando acquisto la pasticceria giapponese, no?”

“Dicevamo: nel dorayaki in genere c’è l’anko, una sorta di marmellata ricavata dai fagioli rossi, gli azuki, un ingrediente il cui potenziale applicato al dessert è sostanzialmente nullo. E c’è in TUTTI i dolci giapponesi, capisce Dottoressa? IN TUTTI.”

“In quello che ho ordinato in questa pasticceria di lusso c’erano anche delle ciliegie cotte e una foglia di alloro. Il pasticciere ha avuto l’ardire di dirmi che era un gioco tra il dolce e il salato. In realtà l’aspetto era più quello del sugo di cinghiale alla toscana, con quella fogliolina di alloro.”

mochi

“Ma fossero solo i dorayaki, Dottoressa. Vogliamo parlare dei mochi? Quelle palle di riso glutinoso che sembrano una cosa che deve ancora essere cotta, ma invece te li devi mangiare così. Non sanno di niente e si appiccicano tutti al palato. Una cosa che grida vendetta.”

“E sa quando vogliono proprio esagerare, festa grande, cosa ci mettono dentro?”

“NO DOTTORESSA. NON IL GELATO. IL GELATO C’È IN QUELLI CHE MANGIA ALL’ALL-YOU-CAN-EAT DOVE INTUISCO LEI VADA A SPENDERE I SOLDI CHE GUADAGNO CON TANTA FATICA.”

daifuku

“…Mi scusi, non volevo perdere la calma. Comunque il gelato non è tradizionale. Quelli originali quando sono ripieni si chiamano daifuku, e dentro c’è la pasta di fagioli rossi.”

“Pure lì.”

“HANNO TECNICHE DI CUCINA ELEMENTARI, TRE INGREDIENTI IN CROCE CHE NON SONO NEMMENO BUONI IN PARTENZA CAPITO?

EPPURE L’ALTRO GIORNO A UNA CENA CON DEI GIORNALISTONI HO OSATO DIRE CHE LA PASTICCERIA GIAPPONESE NON È NIENTE DI CHE E UNO MI HA DETTO: SE NON CAPISCI IL LIMITE È TUO, NON DELLA PASTICCERIA GIAPPONESE, ALLORA ANCHE IL SUSHI IN FONDO SA DI PESCE CRUDO NO?”

“…”

“…Sì Dottoressa, ho familiarità con il concetto di spostamento della rabbia. Dirigere i pensieri e i sentimenti di rabbia verso qualcosa che è percepito come un obiettivo meno pericoloso, invece di andare alla vera fonte del malessere.”

“…”

“Dobbiamo proprio parlare di mia madre?”