La cucina dell’Umbria da provare in 23 piatti tipici

La cucina dell'Umbria da provare secondo noi, con 23 piatti tipici. Da lenticchie a roveja, arvortolo, galantina, crescionda, ciaramicola.

La cucina dell’Umbria da provare in 23 piatti tipici

Etruschi, ceramiche, monasteri, parchi nazionali: le parole chiave di oggi ci conducono in Umbria, piccolo ma preziosissimo cuore verde d’Italia. La sua importanza storica, religiosa e naturale non è seconda a nessun’altra regione, e lo stesso vale per il suo ricco e corposo menu di piatti tipici. Siete fortunati cari lettori, e viaggiatori, perché assaggiare questo ben di dio che ci apprestiamo a raccontarvi è piuttosto facile, d’altronde siamo esattamente al centro della penisola.

Quali sono le principali caratteristiche della cucina umbra? Proteine innanzitutto, da fonti diametralmente opposte. Da una parte l’assoluta preponderanza della carne nei secondi e come condimento della pasta; dall’altra una ricca biodiversità di legumi fra lenticchie, ceci neri, roveja, fagiolina, cicerchia e molti altri. Poi pasta fresca senza uova, farro e altri cereali antichi, formaggi e ricotta di pecora, dolci caserecci da inzuppare nel vino.

Affilate i coltelli dunque per i 23 piatti tipici umbri da provare,  dall’arvortolo a torta al testo, lenticchie, farrecchiata, cicotto, galantina, ciaramicola e molti altri.

Arvortolo

Street food del perugino, l’arvortolo è sinonimo di sagra. Questa pizzetta fritta dorata è proprio quello che ci vuole per celebrare il santo patrono di turno. L’impasto è semplicissimo: farina, olio e sale (o zucchero nella variante dolce) da tuffare nell’olio bollente e arvortolare, ovvero rigirare più volte per assicurare la cottura perfetta di entrambi i lati. Da gustare nature o con una bella fetta di porchetta, capocollo o pecorino.

Torta al testo

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Il testo di questa focaccia umbra non è altro che il suo piano di cottura tradizionale. Usato fin dai tempi di Roma antica, si tratta di un disco in ghisa spesso circa 3 cm su cui cuocere pane e panificati. In questo caso l’impasto è davvero minimal: acqua, farina, bicarbonato e sale. A seconda di dove la gustate, la torta al testo ha nomi diversi (crescia nell’eugubino o ciaccia nelle zone settentrionali) e a volte cambiano anche gli ingredienti (ad esempio a Civita di Castello vengono aggiunte le uova). Provatela imbottita di affettati, su tutti Prosciutto di Norcia IGP, funghi, formaggio e verdure saltate.

Mazzafegato

Il mazzafegato fa fede al suo nome. Per questo insaccato tipico di Città di Castello e Umbertide ci vuole, indovinate un po’, fegato! Quello di maiale innanzitutto che, mischiato a cotenna e altre parti di macellazione secondaria, conferisce il tipico colore scuro. E poi il vostro, che deve lavorare parecchio per digerirlo. A facilitare parzialmente il processo ci pensano gli aromi: semi di finocchio, scorza di limone e/o arancio. Il mazzafegato da assaggiare è indubbiamente quello a Presidio Slow Food dell’alta valle del Tevere, degno erede della norcineria casalinga umbra.

In Umbria e in tutto il centro Italia trovate mazzafegato, salsicce di cinghiale, barbozzo, ciauscolo & co dal norcino. Questa figura professionale, oggi assimilabile al pizzicagnolo con in più l’onnipresente testa di cinghiale a mo’ di animale guida fuori bottega, ha in realtà origini antichissime riconducibili proprio alla zona di Norcia. Dal Medioevo fino ai primi del Novecento infatti il norcino era un richiestissimo addetto alla macellazione e lavorazione delle carni. Depositario di un’arte del coltello ineguagliabile, a volte i suoi servigi si estendevano anche ad altri tipi di animali. Esatto, il nostro diventava chirurgo improvvisato per ernie, cataratte e asportazioni varie, castrazioni comprese. Ringraziateci insomma se da oggi non guarderete più con gli stessi occhi salsicce e salamini appesi!

Cicotto

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Nella grande famiglia delle porchette italiane vale la pena includere il cicotto, preparazione più unica che rara che potete trovare soltanto a Grutti. In questa frazione di Gualdo Cattaneo, provincia di Perugia, il cicotto si tramanda da generazioni risalendo fino al Cinquecento. Oggi è un Presidio Slow Food con soli tre produttori, pardon artigiani del maiale.

La peculiarità del cicotto sta sia negli ingredienti che nella preparazione. A differenza delle altre porchette umbre che utilizzano soltanto lo stinco, qui sono presenti tutte le parti del maiale (orecchie, trippe, naso, piedi, stinco, lingua) lavate e cotte in forno per almeno 12 ore. Il tocco geniale poi sta nel porre il cicotto esattamente sotto la porchetta, in modo da raccogliere il proverbiale grasso che cola. Nient’altro, solo pazienza e qualità, al massimo un panino per addentare al meglio questo succulento ben di dio.

Brosega

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Gli americani insegnano che la giornata inizia meglio con una generosa porzione di uova strapazzate. Da molto più tempo probabilmente lo sanno anche i contadini di Paciano, incantevole borgo a pochi chilometri dal lago Trasimeno. Per colazione c’è la brosega, piatto a metà strada fra la shakshuka israeliana e le uova in purgatorio napoletane. Prepararla è molto semplice: in un tegame stufate le cipolle, aggiungete i pomodori freschi e infine le uova, in camicia o strapazzate. Vietato usare il piatto! La brosega più buona è quella pescata direttamente dalla pentola con cucchiaio e pane casereccio.

Minestra di lenticchie

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Portano fortuna sì, ma anche proteine, batteri buoni per la flora intestinale e azoto nel terreno. Parliamo delle lenticchie naturalmente, e di tutti gli altri legumi diffusi sul territorio umbro. Ben cinque sono Presìdi Slow Food: fava cottòra dell’Amerino, fagiolina del Trasimeno, roveja di Civita Cascia (vedere prossimo paragrafo), fagiolo secondo del Piano di Orvieto, fagiolo di Laverino. E poi c’è la lenticchia di Castelluccio di Norcia Igp che si fa notare ancora prima di nascere per la splendida fioritura.

In Umbria questo legume piccolo e marroncino si declina in una miriade di ricette. La più semplice e immediata è proprio la minestra o zuppa di lenticchie , in cui l’ingrediente principale fa quasi tutto da solo. A esaltarne il sapore basta un leggero soffritto e qualche foglia di alloro o rosmarino. Altre accoppiate vincenti sono con salsiccia, con patate, in umido al pomodoro, insaporite al prosciutto o guanciale.

Farrecchiata di roveja

Rimaniamo in tema legumi km zero con la roveja, legume simile al pisello di colore verde-marrone e dall’elevatissimo contenuto proteico. Si può mangiare fresca oppure essiccata: in Umbria è obbligatorio provarla in versione farrecchiata, ovvero ridotta in farina e cotta come una polenta. La ricetta è semplicissima: mentre nella pentola mescolate acqua e farina, in padella scaldate olio, aglio, acciughe e salvia. A cottura ultimata unite gli ingredienti e, se gradite, ultimate il piatto con una spolverata di pecorino.

Umbricelli

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Più made in Umbria di così non si può. Gli umbricelli sono il formato di pasta lungo e spesso dal peso specifico di un bigolo o picio bello consistente. L’apparenza tuttavia inganna. Gli umbricelli infatti sono tipicamente preparati a regime meno calorico di quanto si pensi: la pasta non prevede uova e l’accompagnamento tipico è semplicemente al pomodoro. Niente ragù, niente cinghiale, nemmeno una solitaria salsiccia: solo degli spaghetti al pomodoro particolarmente cicciotti.

Ciriole

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Stesso discorso per le ciriole, pasta fresca tipica di Terni. Anche in questo caso il nome è parlante: ciriole deriva dal latino cereus ovvero bianco, a indicare l’assenza di uova nell’impasto. A colorare le ciriole ci pensa il sugo semplice (-mente irresistibile) a base di pomodorini, aglio, prezzemolo e peperoncino.

Strangozzi

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Quel che non strozza ingrassa, ma probabilmente gli strangozzi fanno eccezione. Queste spesse fettuccine tipiche di Spoleto e della zona di Foligno sono, di nuovo, senza uova. Il condimento tipico degli strangozzi alla spoletina poi è a base di pomodoro e prezzemolo. Il formato è a sezione rettangolare con una sfoglia mista di grano tenero e duro spessa almeno 2 mm. Per assaggiarli preparatevi a comprare una vocale: a seconda della zona e del dialetto potreste trovarne di strIngozzi, strEngozzi, strOngozzi. Attenti a non strozzarvi per pronunciarli!

Galantina

galantina di pollo

Di gusto rinascimentale, la galantina è protagonista del Natale umbro. Questa terrina di gallina ripiena è insieme maestosa, intimidatoria e didascalica. Potremmo considerarla una sorta di relitto della cucina “sintetica”, nel senso che mette tutto (proprio tutto) insieme. È anche un piatto stile scatola cinese, visto che ogni elemento è abilmente incastrato uno dentro l’altro. Si parte dalla gallina, disossata ed eviscerata. Lo strato più esterno viene riempito di carne (pollo, manzo, lingua salmistrata, macinato di maiale), uova, mortadella (ma anche prosciutto e lardo), pistacchi, panna, tartufo. La chimera alimentare così composta viene assicurata con solide funi (spaghi), cotta nel brodo e, una volta raffreddata, servita a fettine con gelatina di pollo.

Palomba alla ghiotta

Gli amanti della selvaggina da piuma non possono lasciarsi scappare la palomba alla ghiotta, essenzialmente piccione ripieno al forno. Siamo nella zona di Todi e specialmente Cecanibbi, dove non solo c’è una sagra dedicata ma addirittura un Club nazionale per la caccia al pennuto più detestato. Una volta catturato, il piccione viene spennato, sfiammato e lavato. Vengono separate testa, collo, ali e zampe che, macinate e condite con capperi, olive, fegatini, pane e prosciutto, andranno a costituire la ghiotta. Questo miscuglio tritato viene strategicamente messo nella leccarda, sotto lo spiedo in cui è infilzato il corpo della palomba ben spennellato di olio e rosmarino, in modo da raccoglierne il grasso. Il tutto viene infine ricomposto, intingolo compreso. Più ghiotta di così…

Bandiera

peperonata

Un trittico verde bianco rosso proprio come la bandiera di cui porta il nome. Questo contorno tipico umbro non è altro che la versione locale della peperonata. Composta in questo caso da peperoni verdi, cipolle e pomodoro, a volte una patata a dare più consistenza. Intermezzo poco calorico ma non meno “pesante” (in termini ehm digestivi) del resto del menu a base di carne e selvaggina.

Impastoiata

polenta e funghi nel piatto

C’è una sorta di tattilità, unita a un senso di pienezza e calore, nella parola “impastoiata”. Questo piatto unico a base di polenta e fagioli borlotti richiama il gesto scandito e continuo del mestolo che si fa strada nel pentolone dove ribollono acqua e farine. Al plurale sì, perché oltre al mais c’è anche il farro, cereale davvero nativo della regione. L’impastoiata sarà pure nella categoria dei cosiddetti “piatti poveri” ma è certamente equilibrato dal punto di vista nutrizionale (capito, polenta concia?). Arricchitela ulteriormente con funghi trifolati, sugo al pomodoro e la generosa spolverata di formaggio.

Friccò all’eugubina

coniglio arrosto

Attenti a non confonderlo con frico friulano, fricandò piemontese o fricandeau francese. Per tutti (frittella, spezzatino, carne rosolata) vale la radice linguistica dal latino frigo, ovvero friggere e abbrustolire. Ciò vale, con le dovute differenze, anche per il friccò all’eugubina, spezzatino di pollo o coniglio al pomodoro. Gli elementi ci sono tutti: cottura in casseruola, sughetto in umido, verdure di contorno. Obbligatorio fare la scarpetta con la crescia di Gubbio, versione locale della torta al testo.

Parmigiana di gobbi

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Il cardo è quell’ortaggio selvatico che si ripesca dal ricettario giusto un paio di volte all’anno e poi puntualmente si ripone nel dimenticatoio culinario. Male, molto male. Perché questo parente del carciofo con sapore dolce e delicato e proprietà depurative ha tantissimi usi in cucina. Vedi la parmigiana di gobbi, il piatto tipico perugino delle festività natalizie a base di cardi fritti e gratinati con salsa di pomodoro, macinato misto e tanto formaggio grattugiato. La versione invernale della parmigiana di melanzane (no davvero, compratele soltanto di stagione) vi sorprenderà.

Torcolo di San Costanzo

ciambellone profumo limone

Incredibile come una ciambella all’acqua e farina dalle origini umilissime possa avere tanti aneddoti. Lo zampino è di San Costanzo, patrono di Perugia celebrato il 29 gennaio. Per la sua festa viene preparato il torcolo di San costanzo, dolce rustico derivato dai rimasugli dell’impasto per il pane. Poi per fortuna vengono aggiunti strutto, zucchero, cedro candito, uvetta, pinoli e anice.

Quali chicche folkloristiche si nascondono dietro al torcolo? Innanzitutto l’usanza di regalarlo alle ragazze single (le “zitelle” di un tempo) che si rivolgevano proprio all’icona di San Costanzo per trovare marito. Se dopo aver fissato l’immagine non vi scorgevano alcun cenno di rimando, anche stavolta non si sarebbero sposate. Ecco allora il premio di consolazione, sotto forma di ciambella. Poi c’è tutta una dietrologia sul buco del torcolo: che simboleggi il collo decapitato di Costanzo, che serva solo ad appenderlo durante la festa, che sia il collo stesso con intorno la collana preziosa del santo? Non tutte le ciambelle nascono col buco, ma questa di sicuro nasce con una storia appassionante.

Ciaramicola

ciaramicola

L’altro dolce perugino con il buco stavolta è pasquale. La ciaramicola è il ciambellone rosso ricoperto di glassa bianca, guarda caso i colori dello stemma cittadino. Anche in questo caso il buco ha un significato interessante e interessato. La ciaramicola infatti viene impastata in modo da formare una croce centrale a cinque rami corrispondenti alle principali porte della città. Se non ce la fate accontentavi del semplice buco e concentratevi sugli ingredienti giusti intorno: farina, zucchero, uova, scorza di limone, latte, burro e alchermes.

Ciammella di Itieli

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L’Umbria, proprio come il vicino Lazio, è cintura nera di ciambelle e ciambelline. Se ne trovano di tutti i tipi, tuttavia la ciammella di Itieli è una rarità che vale il viaggio. Innanzitutto perché si trova nella magica Narni, che nulla ha a che invidiare alla Narnia dei romanzi fantastici. Poi perché questa morbida ciambella all’olio e vino aromatizzata all’anice viene preparata in circostanze assai suggestive. L’occasione è la festa di San Nicola il terzo sabato di maggio. La celebrazione prende il via all’imbrunire con la processione delle intusse (torce tradizionali in legno) e il ritiro delle ciammelle dalle tre famiglie nominate di anno in anno per impastarle rigorosamente a mano. Un prendete e mangiatene tutti davvero da non perdere.

Crescionda

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Il Carnevale a Spoleto non è tale senza la crescionda. una lussuriosa torta al cacao e amaretti che probabilmente fa leccare i baffi più agli adulti che ai bambini. Posto che ogni famiglia prepara la sua versione, quella ufficiale è “a tre strati”. Il primo è composto da amaretti e farina, il secondo cremoso a base di uova e latte, il terzo al cacao amaro. Completano il quadro degli ingredienti mistrà (liquore di anice), rum, scorza di limone, vaniglia e cannella.

Brustengolo

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Rustico e campagnolo, il brustengo arriva direttamente da Narni. Si tratta di una specie di pane dolce di mais arricchito da sottili fette di mele e frutta secca a volontà. Il buono del brustengolo non è solo il sapore, ma anche la tabella nutrizionale. Per tradizione è infatti senza glutine e senza zuccheri aggiunti visto che un tempo farina di grano tenero e zucchero bianco se li sognavano. Cercate quello autentico per avverare il sogno di mangiare a volontà senza intaccare la dieta!

Rocciata

La rocciata umbra è il dolce tipico di Assisi e della zona di Foligno. Il nome non ha niente a che vedere con le pietre, né a una presunta “durezza” della consistenza: roccia in dialetto umbro significa “tonda” e si riferisce alla sua forma tipicamente arrotolata. L’involucro di pasta assomiglia a quello del classico strudel di mele ma attenzione a non confonderli. Mentre la versione austriaca prevede un impasto morbido e burroso, la rocciata è avvolta da una sfoglia sottile e croccante a base di farina, acqua e olio d’oliva che racchiude un ripieno di noci, mele e frutta secca. Un’ulteriore differenza sta poi nel colore rosso della superficie dovuto alla spennellatura con alchermes.

Il bello della rocciata è che può anche essere salata. A Terni diventa fojata, dalle “foglie” che tipicamente ne costituiscono il ripieno, ovvero spinaci, bieta, cicoria ed erbe di campo. A Nocera Umbra si chiama biscio, serpentone salato a base di verdure cotte in padella e tradizionalmente consumato come spuntino dai pellegrini che percorrevano la Via Francigena. In dialetto sdigiunino, gustoso precursore degli odierni snack spezza-fame.

Pinoccate

pinoli

Ogni tanto una (piccola) botta di zuccheri ci vuole. In Umbria al posto delle caramelle ci sono le pinoccate, dolcetti di pinoli a forma di rombo tipici del periodo natalizio. Le pinoccate possono essere nere o bianche a seconda dell’aggiunta o meno di cacao: in ogni caso prepararle (e ahimé divorarle) è fin troppo semplice. Bastano acqua, zucchero, pinoli e la scorza di limone grattugiato. E un involucro originale per regalarle e renderle ancora più irresistibili.