Su filindeu: la vera storia della pasta più rara del mondo

La vera storia della pasta più rara del mondo, su filindeu, che richiede la padronanza di uma tecnica di lavorazione complessa, troppo difficile da apprendere anche per Jamie Oliver, e che viene servita come conforto per i pellegrini devoti a San Francesco

Su filindeu: la vera storia della pasta più rara del mondo

“ Su filindeu”, i capelli di Dio, non sono solo un piatto di pasta, per quanto la più rara al mondo.

Su filindeu, tagliatelle sottili in brodo caldo di pecora con una spolverata di pecorino, sono la ricompensa per ritemprare l’animo dei pellegrini —devoti a San Francesco— che ogni anno si inerpicano fino a Lula, paesino sulle alture di Nuoro, in Sardegna, camminando nel buio della notte per oltre 30 chilomentri.

Su filindeu: la pasta più rara del mondo.

Su filindeu sono il piatto caldo che lenisce i travagli dell’anima.

Forse per questo Paola Abraini —una delle poche persone al mondo in grado di preparare i sottilissimi filamenti di pasta— quest’anno non ha voluto essere tra coloro che distribuivano il piatto caldo ai pellegrini.

Paola, come dicono in paese, si è stancata, infastidita del clamore improvviso nato attorno a questa rocetta, trasformata da ristoro per pellegrini a nuovo caso di “Instagram food”, il cibo alla moda che i food blogger ostentano sul social network delle immagini.

Il pellegrinaggio parte da Nuoro snodandosi tra salite e oleandri per arrivare fino al Santuario di San Francesco, che ogni primavara richiama a Lula centinaia di devoti dalla Sardegna.

Alla fine del cammino, i pellegrini —tra questi nel 2017 anche il cronista della rivista americana Saveur— vengono ricompensati con un lavaggio dei piedi dagli abitanti del villaggio, e un piatto di su filindeu, fili di pasta la cui esistenza ai giorni nostri ruota intorno a questo pellegrinaggio.

su filindeu

Dopo la messa di mezzanotte inizia da Nuoro il cammino verso il santuario in cui i pellegrini arrivano alle prime luci dell’alba, passando tra campagne e strade sterrate di montagna.

Sottili, come linee tracciate da una penna dalla punta finissima, i filindeu escono con facilità dalla mani di Paola Abraini, grazie a una tecnica perfezionata in decenni d’esercizio.

Per rinfrancare i pellegrini, Paola prepara ogni anno centinaia di chili di filindeu, impastando farina e acqua fino a quando “se li sente nelle ossa”, ricavando i sottilissimi fili che nemmeno Jamie Oliver, a Lula nel 2016 per una serie tv sulla cucina italiana, è riuscito a ottenere.

Il fatto che il cammino sia diventato un rito paganizzato e amato dai turisti non è per forza negativo, anzi, ha aiutato a preservare una tradizione religiosa dall’oblio, dall’abbandono.

Con l’aiuto dell’Arca del Gusto di Slow Food, che ha inserito i su filindeu tra i 4000 piatti o ingredienti a rischio di estinzione, perché, come scrive il giornalista Simran Sethi, “ciò che non mangiamo sparisce”, e ormai tre quarti del cibo mondiale proviene da appena 12 piante e 5 specie animali.

Un rischio elevato per i filindeu che potrebbero scomparire inghiottiti dall’indifferenza e dalla complessità della preparazione che richiede anni di pratica per essere padroneggiata.

Intanto, con i pellegrini arrivati in cima al santuario, il rito volge al termine: gli abitanti del paese iniziano a distribuire Vov fatto in casa –il liquore a base di uova.

Infine, dopo otto ore di cammino fino al Santuario di San Francesco, la ricompensa: in una piccola cucina adiacente alla chiesa i pellegrini ricevono il loro piatto. L’ultima volta Paola Abraini non c’era, volutamente assente per non trasformare un rito sacro nello show sulla sua persona.

O forse perchè era a insegnare ai più giovani come si mantiene la tradizione dei Capelli di Dio, ricompensa terrena dei pellegrini.