Non aprite quella bocca: 20 stranezze da mangiare una volta nella vita, se ne avete il coraggio

Non aprite quella bocca: 20 stranezze da mangiare una volta nella vita, se ne avete il coraggio

Mangiare etnico fa figo. Tipo poter dire che hai assaggiato l’uovo centenario (come ho fatto io) tralasciando che non eri proprio in cima alla Muraglia Cinese, bensì comodamente seduta in un ristorante alla periferia di Torino. Se sei stato in Thailandia e non hai mangiato una cavalletta fritta, beh le facce dei tuoi amici diranno questo: ”Potevi rimanertene a Gabicce col Calippo alla Cola”.

Comunque, non tutto il cibo etnico è abbordabile, se parliamo di un involtino primavera ce la si può anche fare, ma serpenti, larve, vermi… Però non mancano mai nei racconti spocchiosetti dei fan del creepy food internazionale. Eccone una carrellata seria.

vino di serpente1. Vino di serpente, sud est asiatico.
Dalle mie parti per prendere in giro le bimbe particolarmente bizzose, si chiede loro se sono state svezzate a latte di vipera…ecco, (mutatis mutandis) nel sudest asiatico questo modo di dire avrebbe senso, ma all’esatto contrario: in Cina e in Vietnam si ritiene che il vino di serpente, ottenuto dall’infusione in alcol del corpo intero del rettile, o dei suoi fluidi corporei, sia un ottimo ricostituente.

Uovo centenario2. Uovo centenario, Cina.
Pidàn, o uovo centenario. Questo l’ho mangiato poco tempo fa, a Torino, ed era ottimo. Mica ha cent’anni per davvero: al massimo 100 giorni (tre mesi circa). E’ il tempo richiesto dal metodo tradizionale cinese, che prevede la conservazione di uova d’anatra (più raramente di gallina) in un’impacco di acqua, sale, cenere, calce viva e carbone. Alla fine del processo di fermentazione, l’albume assume la tipica colorazione marrone intenso, a volte tendente al violaceo, mentre il tuorlo risulta verde scuro con cerchi concentrici neri.

fugu3. Fugu, Giappone.
Non sottovalutate il pesce palla. Nell’immaginario italiano, complice la linguistica ruffiana, mai si potrebbe immaginare che un animale dal nome tanto carino possa in realtà essere così pericoloso (da morto, tra l’altro). Sto parlando del fugu, uno dei più famosi piatti della tradizione gastronomica giapponese. Il fugu può infatti risultare letale se alcune parti tossiche del corpo non vengono adeguatamente rimosse. In Giappone occorrono un coltello apposito e soprattutto una licenza governativa per maneggiare questa pietanza. Ciononostante dal 2000 a oggi si contano 20 casi di morte in seguito al consumo di fugu.

ragni fritti4. Ragni fritti, Cambogia.
“Fritta l’è bona anche una ciabatta”, come dicono a Firenze . In questo caso, le tarantole fritte che nel ristorante Romdeng di Phnom Penh vengono servite con una salsa di lime e pepe nero, sembrano esserlo parecchio (buone): secondo il Cambodia’s Top Tables di Clive Graham-Ranger e Luu Meng, se ne vendono oltre 200 porzioni a settimana.

Witchetty grub5. Witchetty grub, Australia.
Fare merenda con una larva del legno, bianca, molliccia e piuttosto grossa? A noi può non sembrare particolarmente invitante, ma per gli aborigeni australiani la stagione delle witchetty grub (il nome delle larve in questione) viene salutata con grandi festeggiamenti. In genere vengono consumate vive e crude, e sono una fonte molto ricca di proteine.

Shiokara6. Shiokara, Giappone.
Uno shottino di calamari fermentati nelle loro proprie viscere, e ti passa la paura. L’odore di questo tradizionale piatto giapponese, che prende il nome di shiokara, è talmente forte che molto spesso viene “buttato giù” il più in fretta possibile e poi fatto seguire a ruota da un bicchierino di whiskey. Santè!

cavallette7. Cavallette, dappertutto (più o meno).
Sono lontani i tempi in cui Jessica Simpson sgranocchiava cavallette in un mercato thailandese con evidente disgusto. Anzi: in genere fritte oppure servite con lime e aglio, le cavallette sono ormai una pietanza piuttosto popolare, tanto che la Wahaca, catena di ristoranti messicani, le ha ufficialmente inserite nel menù del proprio locale di Londra.

Sannakji8. Sannakji, Corea.
“Catch me if you can”, è il caso di dirlo. Il sannakji, dalla cucina tradizionale coreana, è un tipico esempio di minima manipolazione della materia prima: il polpo viene pulito, tagliato a piccoli pezzi e servito che ancora saltella . Alcuni accennano al rischio, vago, di soffocamento. Maddai?

Cuore di pulcinella9. Cuore di pulcinella, Islanda.
Correva l’anno 2008, quando Gordon Ramsay venne ripreso da The F Word mentre si scorpacciava il cuore di una povera pulcinella di mare. Quarantadue spettatori denunciarono il fatto all’Ofcom, ma non ci furono grandi conseguenze per il divo di Hell’s Kitchen: il puffin heart è una prelibatezza della gastronomia islandese.

Escamole10. Escamoles, Messico.
E’ la arcinota “tequila col verme”. Alla tequila tutta la gloria (giustamente), e nessuno si ricorda mai del verme: escamoles, così si chiamano, le candide larve raccolte dalle piante dell’agave blu, da cui si distilla appunto la tequila. I messicani le chiamano affettuosamente “insetti caviale”.

Beondegi11. Beondegi , Corea.
La beondegi è una zuppa coreana a base di bachi da seta. In genere si serve come snack.

Tong zi dan12. Tong zi dan, Cina.
Le culture millenarie traboccano di riti stagionali della fertilità, più o meno curiosi. Per esempio a Dongyang, in Cina, ogni anno si dà il benvenuto alla primavera con la preparazione delle tong zi dan, o “uova del ragazzo vergine”: uova bollite nella pipì di giovini fanciulli in età prepuberale. A ciascuno il suo.

Hákarl13. Hákarl, Islanda.
Nelle aree molto fredde (e l’Islanda indubitabilmente lo è) l’essicamento era un metodo di conservazione piuttosto diffuso, specie per conservare animali di grossa taglia. E’ il caso dello squalo, che viene seppellito per qualche mese e lasciato fermentare nei suoi stessi fluidi corporei, poi estratto, tagliato a pezzi e appeso a seccare. Questa preparazione prende il nome di hakarl.

mini topo14. Vino di (mini)topo, Cina/Corea.
Vino di piccolo, piccolissimo topo. Grazie al cielo non abbiamo reperito foto di questa tradizionale bevanda cino-coreana, che prevede l’infusione in alcol di microscopici cuccioli di topo.

Creste di gallo15. Creste di gallo, Europa.
Le creste di gallo, cioè l’ingrediente di riferimento per due dei piatti simbolo della cucina di recupero italiana: il cibreo e la finanziera, rispettivamente in Toscana e in Piemonte. Le creste occupano un posto di tutto rispetto anche nella gastronomia francese, in genere come ingrediente fondamentale di memorabili zuppe.

Surströmming16. Surströmming, Svezia.
Le aringhe. Il più salate e fermentate possibile, agli svedesi piacciono tanto. Eppure anche loro, quando aprono una confezione di surströmming, hanno l’accortezza di farlo fuori dalla porta di casa, tanto è forte l’odore di questo pesce.

Ostriche Rocky mountain17. Ostriche Rocky mountain, Stati Uniti.
Il nome è esotico, raffinato… ma siamo lungo al Road 66 e se non hai stetson e speroni non te li vendono proprio: stiamo parlando ovviamente dei testicoli di toro fritti, cibo feticcio dell’America dei cowboys e dei rodeo.

Caffè Black Ivory18. Caffè Black Ivory, Thailandia.
Il motivo per cui una miscela di caffè può arrivare a costare 1.100 dollari al chilo deve essere davvero speciale. In effetti nel caso del Black Ivory lo si può ben dire: i suoi chicchi vengono raccolti manualmente dalle feci degli elefanti thailandesi cui vengono fatti mangiare e predigerire. Memento per noi, quando ci lamentiamo che pistacchi di Bronte o capperi di Pantelleria costano un occhio…

Balut19. Balut, Filippine.
Il balut, di origine filippina ma diffuso in tutto il sud est asiatico, è un uovo di anatra o di gallina fecondato e bollito nel suo guscio poco prima della sua schiusa, quando l’embrione al suo interno è quasi completamente formato. Nasce come alimento afrodisiaco, infatti non è insolito trovarlo come street food nei quartieri di piacere cambogiani, vietnamiti o filippini.

Caccia al Tepa, islanda20. Tepa (“Stinkheads”, ovvero teste puzzolenti), Alaska.
Quando si dice il destino nel nome… le tepa dell’alaska sono teste di pesce sepolte intere e lasciate fermentare fino al giusto grado di ‘puzzolenza’. E’ un piatto tipico degli Yupik, popolo indigeno dell’Alask occidentale.

[Crediti | Link e immagini: Telegraph]