Eataly Roma: Guida per l’uso

Eataly Roma: Guida per l’uso

E alla fine l’astronave è sbarcata sulla Terra: l’Air Terminal Ostiense, ormai ex ecomostro residuato dei Mondiali ’90, grazie all’intraprendenza di Oscar Farinetti diventa una città nella città, pulsante di vita con i suoi 23 luoghi di ristoro divisi su quattro piani, i suoi 14.000 prodotti in vendita, le 40 aree didattiche e i 500 dipendenti.

E’ il più grande dei 19 Eataly del mondo, più di quello di New York City, e il sogno è di superarne il fatturato; per farlo serviranno 7.000 visitatori al giorno, è la stima più ottimistica, quella realistica è poco sopra i cinquemila. Numeri comunque enormi e impressionanti, come impressionante è perdersi in questa cattedrale che, anche da semivuota e parzialmente incellofanata per la pre-apertura riservata alla stampa, ti circonda di cose buone da tutte le direzioni.

Eataly Roma è dedicato alla bellezza: la bellezza dell’agroalimentare, dell’arte, della musica e dell’ironia. Ma andiamo a scoprirlo piano per piano, curiosando fra punti di ristoro e punti vendita.

PIANO TERRA
Qui ci sono in vendita latte e yogurt, pane e affini, dolciumi, acqua e bibite, spezie, oltre al mercatino dell’ortofrutta e al ristorantino delle verdure curato da Carmelo La Monica. E poi casalinghi, articoli per il benessere, libri e un’agenzia viaggi. Poteva forse mancare l’orto? Ovviamente no!

La paninoteca di ‘Ino, affidata ad Alessandro Frassica,  è uno dei fiori all’occhiello di Eataly Roma. Gourmet ma con giudizio, con la possibilità di scegliere un panino fra quelli proposti o comporre il proprio scegliendo da una rosa di ingredienti prevedibilmente fornitissima: visto quanto tirano i panini d’autore al giorno d’oggi, qui siamo sopra il livello di una mandria di buoi.

Il panino chiama, la piadina risponde: direttamente da Cervia i fratelli Maioli, piadinari da quattro generazioni, sono pronti a mostrare l’altra faccia del mangiare farcito, quella Made in Riviera Romagnola. Tutto all’insegna della tradizione più rigorosa, come evidenziato dall’estetica irresistibilmente retrò del chiosco.

Capitolo gelato. In una città dove le opzioni non mancano di certo, ne va registrata una in più: Lait, l’idea di Ugo Alciati, che utilizza solo latte da vacche di razza piemontese pascolate in quota assieme a materie prime sceltissime…

…tra cui il cioccolato di Venchi che ha il proprio chiosco esattamente a fianco! Spettacolari le loro creme spalmabili, prodotte in diretta e proposte nelle versioni gianduia e fondente. Emulsionante delle creme è l’olio extravergine di cultivar taggiasca di Roi, tanto per ribadire la tensione estrema verso l’ingrediente della massima qualità possibile.

E poi c’è la pasticceria curata, manco a dirlo, da Luca Montersino, collaboratore della prima ora di Eataly, che mette al bando completamente i prodotti di sintesi e propone creazioni a ridotto tenore di zucchero.

PRIMO PIANO

La pizzeria è il punto di ristoro con più coperti, 158. Farinetti ne va particolarmente fiero, e racconta con orgoglio il travolgente successo della pizza di Eataly in patria e soprattutto nel mondo. Interessante è l’interpretazione della pizza che ci viene offerta: il manifesto programmatico è di rigorosa aderenza alla tradizione napoletana. Tuttavia qui si usano il lievito madre e le farine biologiche macinate a pietra del Mulino Marino, impostazione che strizza più l’occhio alla pizza gourmet e alla ricerca dei pizzaioli capitolini. La temperatura massima dichiarata dei forni a legna è di 350°C, probabilmente un po’ poco per aspirare alla più alta qualità possibile.

La pizza che assaggio è poi più vicina a una pizza romana che a una napoletana, un po’ troppo sottile e un po’ troppo croccante. Il rodaggio di un forno nuovo, ricordiamolo, è sempre difficile, ma non sono del tutto convinto di quello che ho assaggiato. Vedremo a regime.

Il primo piano è anche dedicato alla pasta: le selezioni pongono l’accento su Gragnano, unica origine della pasta cucinata da Eataly. Afeltra, il Pastaio di Gragnano e Garofalo i pastifici d’elezione. Qui in vendita, oltre alla pasta, riso, conserve e condimenti. La pasta fresca fatta a mano, invece, è affidata a Egidio Michelis, direttamente da Mondovì, interprete dell’antica arte delle sfogline; i ravioli del plin assaggiati convincono abbastanza.

Questa sezione è anche il tempio dell’extravergine, con tanto di area didattica in cui troneggia un olivo; e parlando di olio, passiamo a quello che a mio parere è il più convincente dei punti di ristoro di Eataly: la friggitoria. Certo, a Farinetti piace vincere facile: ha ingaggiato Pasquale Torrente del Convento di Cetara.

Per alcuni il Convento, tempio dell’alice come è logico che sia, è la migliore trattoria d’Italia. Pasquale  Torrente rifiutò una stella Michelin anni fa per motivi di posizionamento, il suo è un locale dove si può gustare una cucina di estremo gusto, semplice ma perfettamente a fuoco, gustosissima e a prezzi contenuti. Un luogo del cuore da cui devono portarmi via a braccia.

E dentro Eataly rivive un pezzo di quello spirito, con fritti, al piatto o nel cuoppo (cartoccio), naturalmente di alici ma anche di pasta, pasta e ceci, verdure e mozzarella. Tutto quello che ho assaggiato era eccellente, ivi inclusi i crostini burro e alici, che, è bene precisarlo, non erano fritti!

Le eccellenti uova biologiche di Eataly per una volta non sono di Parisi: buongiorno, Claudio Olivero!

Il reparto salumi e formaggi gode della professionalità di due selezionatori d’eccezione. Ai salumi c’è Massimo Pezzani, tra i più celebrati produttori di Culatello di Zibello, mentre la proposta casearia è a cura di Fiorenzo Giolito, quarant’anni di attività di affinatore a Bra appesi alla sua cintura.

Capitolo a parte per la mozzarella. Qui Roberto Battaglia produrrà mozzarelle in diretta partendo dalla cagliata di bufala, in pezzature che arrivano fino alla treccia da 5 chili.

La presenza di Roberto Battaglia è rilevante non solo perché è uno dei più stimati casari di Caserta, ma anche perché non si è piegato alla camorra, denunciando chi lo taglieggiava con il coraggio di un uomo vero. Ora vorrei e dovrei dire che la sua mozzarella è strepitosa, ma da un verace interprete della tradizione casertana mi aspettavo un gusto un po’ più incisivo.

Per quanto riguarda la birra, la squadra di Farinetti schiera un tridente da sogno: Teo Musso (Baladin), Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo) e Sam Calagione (Dogfish Head, Milton, Delaware). Insieme produrranno tre birre esclusive, oltre a selezionarne cento brassate dai migliori birrifici d’Italia.

SECONDO PIANO
Ehi, abbiamo visitato solo metà dei piani di Eataly! Questo livello è il tempio della carne, del pesce, della cucina romana e del vino. Un grande merito del farinettismo è di avere sensibilizzato il pubblico più o meno indistinto sulla stagionalità del pesce, un argomento che l’uomo della strada probabilmente ignora(va).

Il rispetto delle stagioni, la sostenibilità e l’attenzione verso il pesce povero sono i dogmi di pescheria e ristorante annesso…

…di cui il responsabile è Nando Fiorentini, oltre vent’anni di esperienza come pescatore all’Argentario. Fiorentini batterà quotidianamente le tre aste di Anzio, Fiumicino e Gaeta, alla ricerca del pesce migliore, lavorato a vista.

Il reparto carne è capitanato da una vera istituzione: Sergio Capaldo, fondatore de La Granda, il primo presidio Slow Food. La carne bovina della sua azienda arriva quotidianamente a Roma, mentre le selezioni suine, ovine e di pollame privilegiano i prodotti della regione Lazio.

Strepitoso è poi il ristorante della carne: qui la cruda alla piemontese si fa apprezzare, la tagliata è un best seller, ma il capolavoro è Giotto, l’hamburger secondo Sergio Capaldo. Una sinfonia di sapori che trova anche interessanti abbinamenti enoici: a sorpresa, il Roero del Castello di Santa Vittoria si rivela vino di lodevole piacevolezza.

Già, il vino. 400 i produttori, 1.400 le referenze, 25.000 le bottiglie esposte. Il Piemonte fa la parte del leone, e le varie denominazioni sono spiegate da appositi cartelli.

Interessante anche il focus su un vino specifico, destinato a ruotare: si parte con l’Asti, effettivamente un fiore all’occhiello della produzione vinicola italiana.

Vini naturali, parte prima. Luca Gargano, boss di Velier, è ben felice di portare le sue selezioni all’interno di Eataly: qui ci sono alcuni tra i pochissimi prodotti non italiani in vendita nella nuova cattedrale del gusto. Da segnalare poi l’offerta, di forte impatto sociale, riguardante il vino sfuso, con possibilità di FYOB (Fill Your Own Bottle, riempi la tua bottiglia) e sconti per i pensionati.

Vini naturali, parte seconda. L’aperitivo è presidiato dai tredici produttori dell’associazione Vino Libero. Libero da concimi chimici, libero da diserbanti, libero dalla solforosa in eccesso (almeno il 40% in meno del massimo consentito dalla legge). E’ prevista la spillatura direttamente dalle botti. Di fronte allo spazio dedicato all’aperitivo, due misteriose steli antropomorfe (vagamente rassomiglianti ai Moai dell’Isola di Pasqua) rinvenute negli anni Settanta in una vigna di Langa.

Il Prof. Grimaldi, Rettore dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ne narra la storia in due pannelli scritti fitti fitti, che si è invitati a leggere con un bicchiere in mano.

E poi c’è il ristorante delle Osterie Romane, la cui gestione ruoterà mensilmente. Si parte con Anna Dente e il figlio Emilio (che, da grande esperto di storia romana e di cucina, terrà anche delle lezioni in materia) dell’Osteria di San Cesario, si proseguirà con i fratelli Cacciani dell’omonimo ristorante di Frascati per poi chiudere con il mitico Oste della Bon’Ora di Grottaferrata, ovviamente con la consorte Maria Luisa ai fornelli. Posso dire con cognizione di causa che i crostini al tordo matto e l’abbacchio alla cacciatora di Anna Dente erano tanta roba, e la matriciana di Maria Luisa non da meno.

Ultima ma non ultima, la caffetteria affidata a Vergnano, che ha creato il progetto Terre Alte assieme ai presidi Slow Food di Huehuetenango (Guatemala) e Honduras, acquistando il caffè dai campesinos a un prezzo quattro volte superiore a quello degli “squali”; la torrefazione avverrà in presa diretta.

TERZO PIANO
Siamo nell’empireo di Eataly, qui c’è un centro congressi modulare da 300 posti, la cui cucina è affidata a Massimo Sola, una stella Michelin con i Quattro Mori di Calcinate e l’importante esperienza all’Arquade di Villa del Quar dopo l’addio di Bruno Barbieri. Qui ci sono le aule di cucina, ampie, moderne, luminose.

Ma soprattutto c’è il Ristorante Italia, il più ambizioso dei sogni di Farinetti.

Motore immobile e spirito guida del ristorante è un’eccellenza italiana di cui non si parla abbastanza, Amedeo Modigliani, di cui sono esposte tre opere originali. Il Ristorante Italia prevede di celebrare l’unità nazionale nella sua biodiversità: in carta ci saranno sempre venti piatti, uno per ogni regione, destinati a ruotare, e sono ovviamente previsti percorsi di degustazione più o meno ampi.

Dirigere un progetto di questa portata è la prova del nove per il ventinovenne Gianluca Esposito, da Bologna, già executive chef dell’emanazione felsinea della creatura farinettiana. Non mi sbilancio, dico solo “in bocca al lupo” seguito da un prevedibile “ci vediamo presto”.

L’ultimo piano celebra poi l’ironia italiana con la mostra “Mangiarsi l’Italia”, dedicata alla metafora gastronomica nella satira politica dall’Unità ai giorni nostri. Il curatore è Andrea Tomasettig, le opere esposte celebrano un secolo e mezzo di declinazioni del “magna magna” e affini, passando per l’olio di ricino fascista e la pedofagia comunista, e naturalmente per le copertine del Male.

E poi c’è il tavolo dei dieci fortunati. E’ il tavolo da cucina più caro del mondo, costato 580.000 euro, ma tanto li ha pagati la Whirlpool.

Il tavolo ottagonale è parzialmente ricoperto da 3.700 mattonelle in ceramica, dipinte una ad una dal Maestro Giacomo Alessi, inserito dall’UNESCO nella lista del Patrimonio Immateriale dell’Umanità: qui non si scherza. Un’autentica opera d’arte, che infatti resterà qui dodici mesi per poi essere trasferita al MOMA di New York City. Dodici mesi in cui altrettanti chef cucineranno per una sera, per i dieci fortunati che danno il nome al tavolo.

Fortunati ma facoltosi, visto che avranno acquistato i biglietti tramite un’asta sul sito di Eataly, base 300 euro ma si spera di arrivare a dieci volte tanto; il ricavato sarà devoluto a iniziative benefiche specificate di volta in volta. A settembre si inizierà con Ferran Adrià, poi ci saranno Michel Bras, Alain Ducasse e chissà chi altro. Memo per me stesso: devo guadagnare di più, oppure iniziare a frequentare la figlia di un emiro.

Tutto questo, e altro ancora, è Eataly Roma: mi aspettavo molto, ho trovato di più. Non pensavo che sarei riuscito a vedere nella mia città un progetto di questa portata, con questa tensione alla qualità, animato da tale genuino entusiasmo e intraprendenza. E dovreste conoscere i figli di Farinetti, Francesco (A.D. di Eataly Roma) e Andrea (che segue Borgogno, la più prestigiosa e ricca di storia tra le aziende di famiglia): due giovani pieni di energia e voglia di fare, nei loro occhi il sacro fuoco di chi sa che da grandi poteri derivano grandi responsabilità, degni figli di un padre che ha trasformato per sempre il paesaggio gastronomico dell’Italia e del mondo.

Dimenticavo: la data di apertura ufficiale è il 21 giugno, ma io mi affaccerei tre giorni prima per verificare che non ci siano sorprese. L’apertura sarà sette giorni su sette (potrebbero esserci un paio di lunedì di riposo in fase di rodaggio), dalle 10 a mezzanotte, l’una in piena estate.

600 i posti auto, che diverranno 800 fra qualche mese; ma forte sarà la campagna di sensibilizzazione verso l’uso dei mezzi pubblici, in particolare la Metro B che ferma praticamente nell’Air Terminal. E la cui ultima corsa parte alle 21.30 23.30. Come dire: Sindaco, un piccolo sforzo per rendere ancora più user-friendly la creatura che ha rivalutato un’area e un quartiere, e dato lustro all’intera città!

[Crediti | Immagine: Agenzia Tangherlini per Panorama, rielaborazione: Dissapore]