Incontri molto ravvicinati: gli chef stellati e Massimo Bray, ministro della Cultura

Incontri molto ravvicinati: gli chef stellati e Massimo Bray, ministro della Cultura

Cari lettori, immaginate l’occasione: finalmente potete esporre i problemi della vostra categoria alle più alte istituzioni del Paese. Mantenendo la calma.

Agli chef è successo per la prima volta ieri, a Eataly Roma, durante un incontro (storico?) con il Ministro per i Beni, le attività culturali e il turismo, Massimo Bray.

L’incontro, organizzato e presentato dal giornalista Paolo Marchi e dall’imprenditore padrone di casa, Oscar Farinetti, era un’esigenza dei nostri cuochi dopo il putiferio mediatico seguito alle incaute affermazioni del sottosegretario ai beni culturali Ilaria Borletti Buitoni in un’intervista a Panorama.

Se non l’avete presente, ecco la frase incriminata: “In Italia s’è smesso da tempo di mangiar bene, purtroppo. Siamo corsi dietro alle mode, ai francesi, allontanandoci dalla nostra idea di cucina”.

Come potete immaginare, la reazione di cuochi e giornalisti è stata violenta e durante l’incontro di ieri sono state dette cose interessanti che proverò a riassumere.

Pino Cuttaia (la Madia, Licata) ha inaugurato la discussione parlando di importanza della formazione, tema molto caro a tutti i cuochi presenti. “Ho deciso di fare il cuoco trent’anni fa, molto prima che gli chef andassero in televisione – ha detto – e mi sono convinto che un cuoco sia un bravo artigiano in grado di raccontare il suo territorio, con passione.

Il rischio è perdere il mestiere autentico, quello che si impara solo nelle grandi cucine, e chiedo alle istituzioni di favorire la formazione in ogni modo possibile”.

Anche Giancarlo Perbellini pasticcere e ristoratore, ha puntato il dito contro l’incapacità di formarsi in Italia, accusando la sovraesposizione mediatica di aver favorito una moda fasulla che rischia di rovinare il mestiere.

“E’ incredibile come ragazzi che escono dagli istituti alberghieri non vogliano lavorare nella ristorazione classica come osterie o trattorie, ma guardino solo agli stellati”

Claudio Saldler (Sadler, Milano), ha aggiunto un punto importante: in Italia non si possono assumere stagisti se non protetti da enti istituzionali riconosciuti.

A moltissimi ragazzi la possibilità di formarsi in un grande ristorante è dunque preclusa, mentre ai ristoranti viene negata una risorsa che garantisce maggiore qualità.

Davide Scabin (Combal. Zero, Rivoli) ha invece sottolineato l’importanza di esportare correttamente l’immagine dell’Italia gastronomica, e il suo intervento è riassumibile in tre proposte.

1) Distinguere tra prodotti italiani “da esportazione” e quelli che vanno tutelati e protetti anche a costo di alzare i prezzi, perché gioielli del Made in Italy.

2) Creare un organo regionale che raccolga e regoli le nostre ricette tradizionali affiché siano esportabili.

3) Imporre due ore di lezione al mese a tutti gli chef stellati negli istituti alberghieri.

Raffaele Alajmo (Le Calandre, Sarmeola di Rubano) ha accusato la politica italiana di gestire male le risorse del turismo e di non saper comunicare. Se il turismo aumentasse a dismisura, come auspicato da Oscar Farinetti nella sua introduzione, non solo faticheremmo ad accogliere gli stranieri, ma non saremmo neanche così contenti.

L’italiano spesso è infastidito dal turismo che al contrario rappresenta una risorsa economica fondamentale.  Quindi comunicazione, formazione e sensibilizzazione i punti chiave su cui insistere, secondo Alajmo.

Come lui, anche Heinz Beck (La Pergola, Roma) ha evidenziato l’incapacità di esportare e comunicare il made in Italy.

In più, le giovani leve sono arroganti: “I ragazzi escono dagli istituti a 18 anni convinti che il mestiere del cuoco consista nel prendere gli applausi dei clienti in sala.  Invece è conoscenza delle materie prime, della tecnica,  è fatica, è sporcarsi le mani, e studiare a fondo le risorse di un paese”.

Colpa anche per il cuoco tedesco, di una formazione non adeguata.

Cristina Bowerman (Glass Hostaria, Roma) ci ha poi messo il carico.

Non solo gli istituti alberghieri in Italia sono del tutto inadeugati, ma manca completamente una formazione gastronomica a livello universitario perché, sembra evidente, cibo non equivale a cultura nel nostro paese.

Moreno Cedroni (Madonnina del Pescatore, Senigallia), ha chiesto al Ministro più attenzione per la categoria dei cuochi italiani. “Il lavoro dei nostri chef sta iniziando a essere riconosciuto all’estero e lo stereotipo pizza e spaghetti sta finalmente cambiando.

Tocca alle istituzioni schierarsi pubblicamente e apertamente al fianco dei grandi cuochi”.

 A proposito di cuochi noti all’estero, l’intervento di Massimo Bottura (Osteria Francescana, Modena) è iniziato con un ringraziamento a Bray:

“È la prima volta da quando faccio il cuoco che un Ministro ascolta i nostri problemi senza scappare subito dopo il suo discorso”.

Le sue proposte: coordinare turismo, agricoltura, cultura e formazione. Creare reti tra tutte le eccellenze del paese, dai grandi ristoranti alle migliori osterie, dai prodotti e produttori eccellenti alla musica, l’arte e i musei, in quanto parte dello stesso territorio.

E uscire al più presto dalla melma burocratica.

Infine Gennaro Esposito (la Torre del Saracino, Vico Equense), il più ottimista del gruppo, ha sostenuto che la rete dei cuochi c’è, la risotorazione italiana attraversa un buon momento, ciò che manca davvero è l’intervento delle istituzioni.

Per questo ha consegnato tra le mani del Ministro un documento scritto con Massimo Bergami,  famoso gourmet e direttore di Alma Graduate School, che riassume tutte le cose dette, nella speranza di dare seguito alla lunga chiacchierata.

E cosa ha detto il Ministro?

Cosa volete che abbia detto. Tutto e niente, come fanno di solito i politici, ma con grande gentilezza, eleganza, poco politichese, e una buona dose di passione per l’argomento.  E’ stato lì, ha preso appunti, ha osservato e ha promesso che ascolterà.

Da bravo ministro / nerd ha anche immortalato l’evento nel suo Storify. Prendete esempio, chef.

La cosa più importante che ha detto ieri ai nostri cuochi è: fatevi ascoltare. “Create questo benedetto sistema tra chef, ristoratori, gourmet e giornalisti e fate ascoltare la vostra voce, al di là degli individualismi e con la forza di un gruppo coeso”.

Io la fatica di riportarvi un po’ tutti i temi affrontati nelle due ore e mezza di tavola rotonda l’ho fatta, ora tocca a voi.

È stato tralasciato qualche aspetto importante? Siete d’accordo o in disaccordo con qualcuno in particolare? Cosa avreste detto sull’argomento al Ministro Bray?

Vi ascoltiamo.