20 prove, una per ogni regione italiana, che il formaggio è sottovalutato

20 prove, una per ogni regione italiana, che il formaggio è sottovalutato

Il noto statista Charles de Gaulle si chiedeva come governare un Paese con più formaggi che giorni nel calendario, riferendosi ovviamente alla Francia. Ecco quindi svelato il mistero della proverbiale ingovernabilità italiana: è certamente colpa dei formaggi.

Con gli oltre 450 formaggi tradizionali censiti dalle Regioni, a cui si aggiungono quelli a denominazione riconosciuti dall’UE, che sono più di 40, l’Italia del formaggio ha chiuso il 2012 con il botto: 302.500 tonnellate di export, per un valore che ha sfiorato i due miliardi di euro. Dettaglio simpatico: proprio i cugini d’oltralpe assorbono 63.600 tonnellate di formaggi italiani.

Che il comparto caseario sia un nostro fiore all’occhiello non è dunque una novità, ben lo sanno in quel di Bra, il piccolo comune piemontese dove il prossimo settembre Slow Food organizzerà la nona edizione di Cheese.

Ma concentriamoci latte e derivati. Avendo qualcosa da farci perdonare vogliamo proporvi un elenco parzialissimo dei migliori formaggi italiani divisi per regione.

VALLE D’AOSTA

Fontina Valdostana

Fontina Valdostana DOP: prodotta in tutto il territorio della Valle d’Aosta, da latte intero crudo di bovine di razza valdostana (Valdostana pezzata rossa, pezzata nera e castana).

La coagulazione avviene tra i 34° e i 36°, attraverso l’aggiunta di caglio animale (vitello). La rottura del coagulo e la successiva spinatura avvengono a 46°-48°. Dopo le prime due fasi, la fontina viene estratta, avvolta in tele di tessuto e posta nelle fascette di formatura, infine sottoposta a pressatura.

Si procede quindi alla salamoia per immersione, della durata massima di 12 ore. Il marchio di denominazione viene apposto dopo almeno 80 giorni di maturazione, che si svolge nelle tradizionali grotte di stagionatura oppure in appositi magazzini.

La consistenza della pasta è in genere morbida ed elastica, ma varia comunque a seconda del periodo di stagionatura. L’occhiatura deve essere leggera e diffusa. Il colore della crosta varia da marrone chiaro a scuro, in base alla maturazione.

In bocca, ha il caratteristico sapore dolce e delicato, più intenso con il procedere del tempo.

PIEMONTE

Robiola di Roccaverano

Robiola di Roccaverano: formaggio a pasta fresca, da latte lavorato a crudo e addizionato con caglio di origine animale. Unica DOP italiana che può essere prodotta esclusivamente con latte caprino, o con latte caprino e vaccino, oppure con latte caprino e ovino. Deve comunque essere sempre presente almeno il 50% di latte di capra.

L’alimentazione base delle vacche, capre e pecore deve essere costituita da foraggi verdi o conservati, prodotti nell’areale, inoltre si vieta da disciplinare l’utilizzo di mangimi OGM.

La fase della coagulazione varia da 8 a 36 ore, a seconda delle condizioni climatiche e ambientali di produzione, poi si procede al trasferimento della cagliata in apposite forme forate per lo spurgo. La sosta negli stampi forati può durare fino a 48 ore, e prevedere rivoltamenti periodici per favorire la fuoriuscita del siero.

La salatura è a secco sulle facce piatte della forma, e può avvenire sia durante lo spurgo che in maturazione. A partire dal quarto giorno di “stagionatura”, è consentita la messa in commercio oppure l’eventuale affinamento.

Esiste poi un Presidio Slow Food che tutela la produzione di Roccaverano da latte di capra in purezza.

Buona la sua sapidità in bocca, i sentori primari della Robiola fresca sono lo yogurt, l’erba verde e la nocciola. Con la maturazione si sviluppano leggeri sentori ircini (cioè caprini).

TRENTINO ALTO ADIGE

Puzzone di Moena

Puzzone di Moena o Spretz Tzaorì (in lingua ladina): formaggio vaccino a pasta semicotta da latte crudo, prodotto nelle valli di Fiemme e di Fassa; i prati e i pascoli vanno da un’altezza minima di 1000 metri, fino ai 2000 metri delle malghe per l’alpeggio. Le razze previste da disciplinare sono la Bruna, la Frisona, la Pezzata rossa, la Grigio Alpina, la Rendena, la Pinzgau e loro incroci.

In seguito all’aggiunta del caglio di origine animale, la coagulazione avviene tra i 34° e i 36°. Dopo la rottura della cagliata, la semicottura della pasta è eseguita a 46°-48° per al massimo 30 minuti. Conclusa la sosta sotto siero, che non può essere superiore ai 20 minuti, il Puzzone viene estratto e sottoposto a pressatura, per favorire il drenaggio.

La salatura può essere a secco o in salamoia, la tipica crosta umida ricoperta da patina untuosa, e la comparsa del color giallo ocra o marrone chiaro/rossiccio si ottengono attraverso la pratica consolidata di cospargere settimanalmente le forme in stagionatura di acqua tiepida, eventualmente salata.

La maturazione minima è di 90 giorni, dopo 150 può essere definito “stagionato”. L’odore pungente è inconfondibile, al taglio si presenta con una pasta piena di colore bianco o paglierino, occhiatura sparsa.

FRIULI VENEZIA GIULIA

Montasio

Montasio: prodotto in tutto il Friuli e parte del Veneto, è un formaggio a pasta dura, cotto, prodotto esclusivamente con latte di vacca, di media e lunga stagionatura. Deve il suo nome all’altopiano del Montasio, dove ci sono tracce della produzione fin dal 1200.

Il latte utilizzato deve provenire dalla munta serale e da quella della mattina, fino a un massimo di 4 mungiture consecutive.

Le fasi di produzione sono quelle classiche: riscaldamento del latte a 32°-36°, aggiunta del caglio di origine bovina, coagulazione e rottura della cagliata. Cottura per 20/30 minuti della cagliata a 42°- 48°, estrazione, pressatura e marchiatura attraverso apposite fascette. La salatura può essere a secco oppure in salamoia leggera, infine la stagionatura: ha una durata minima di 60 giorni, a temperatura non inferiore a 8°.

Il Montasio assume un sapore, un aspetto, un colore e una consistenza diversa a seconda dei mesi di maturazione, infatti si distingue in “fresco, mezzano e stravecchio”.

Quando è fresco (da uno a due mesi) ha un sapore delicato, la pasta è bianca e occhiata in maniera diffusa, la crosta è bianca e morbida. A mano a mano che aumenta la stagionatura, il sapore diventa più aromatico, la crosta diventa più dura, il colore più giallo e la pasta diventa friabile e dura.

VENETO

Morlacco

Morlacco: tutelato anche da un Presidio Slow Food, questo formaggio a latte crudo vaccino ha origini che risalgono al periodo della Repubblica di Venezia.

Un tempo il latte veniva scremato completamente, adesso invece nelle malghe in cui viene prodotto è consuetudine scremare il latte della mungitura serale a cui viene aggiunto quello intero della mungitura del mattino.

La razza autoctona, attualmente a rischio di estinzione, era quella delle vacche burline. Pezzate e di piccole dimensioni, danno un latte ad alto contenuto in grasso, ma in scarsa quantità, per questo non hanno retto il colpo della super-produttiva frisona.

Le operazioni sono: riscaldamento a 38°-42°C, coagulazione con caglio liquido di vitello, rottura della cagliata (a noce). Breve sosta sotto siero, e trasferimento in ceste di vimini a spurgare. Le forme si salano più volte al giorno per 12 giorni rivoltandole accuratamente. La vendita è consentita a partire dal quindicesimo giorno di maturazione, e può essere consumato fino a tre mesi.

Il Morlacco è un formaggio tenero ma non molle, netto al taglio, con occhiature gocciolanti, dal sapore molto salato.

LOMBARDIA

bitto

Bitto: eccezionale formaggio d’alpeggio, prodotto nel territorio che comprende tutta la provincia di Sondrio e alcune zone dell’Alta Valle Brembana, a un’altitudine che va dai 1400 ai 2000 metri. Il nucleo storico della sua produzione si trova nelle valli formate dal torrente da cui prende il nome: Gerola e Albaredo, in provincia di Sondrio.

Il Consorzio dei produttori storici porta avanti con orgoglio l’antica pratica della monticazione: il pascolo, insieme alle vacche, delle capre Orobiche. Questo determina una delle più evidenti peculiarità aromatiche del Bitto: il latte caprino può essere aggiunto, nella percentuale massima del 20%.

La coagulazione è ottenuta con l’uso di caglio di vitello. La cottura della cagliata, che avviene a una temperatura compresa fra i 48 e i 52°C, si protrae per circa 30 minuti. Prima dell’estrazione avviene la rottura della cagliata (a chicco di riso). Una volta estratta, la pasta viene posta in fascere tradizionali che conferiscono il caratteristico scalzo concavo. La salatura avviene preferibilmente a secco.

La maturazione inizia nelle “casere d’alpe” e si completa nelle strutture di fondovalle sfruttando il naturale andamento climatico della zona di produzione. La stagionatura ha una durata minima di 70 giorni, dopo i quali il Bitto può essere messo in commercio.

Tuttavia, una nota distintiva di questo prodotto è quella di reggere molto bene all’invecchiamento (anche fino a 7 anni).

LIGURIA

Toma Brigasca

Toma e Sora della Brigasca: frutto della secolare tradizione pastorizia di tutta l’area di confine tra Liguria, Piemonte e Provenza. Qui si alleva ancora la pecora Brigasca, una razza rustica e adatta al pascolo d’alta montagna. Con il suo latte si producono due formaggi: la Sora e la Toma.

La Sora è prodotta esclusivamente con latte ovino, proveniente dalla mungitura serale, aggiunto a quello del mattino. Il latte è portato a 34° e addizionato di caglio liquido; dopo la coagulazione si rompe la cagliata con il rubatà, il classico spino in legno. La cagliata è lasciata depositare e poi raccolta con una tela grezza.

Con questa tela si forma una sorta di fagotto, sul quale è depositata una grossa pietra. Dopo circa 12 ore, la massa è tolta dalla tela e tagliata in parti simmetriche. Trascorsi 15 giorni di maturazione, i formaggi vengono lavati con acqua corrente, asciugati e posti a stagionare in luogo fresco per un minimo di 60 giorni, su assi di legno.

La tecnica di produzione della Toma si discosta da quella della Sora solo per l’eventuale aggiunta di latte di capra, l’utilizzo di fascere per la messa in forma e la stagionatura più breve.

EMILIA ROMAGNA

Squaquerone

Squacquerone di Romagna DOP: é un formaggio vaccino a pasta molle e maturazione rapida, prodotto nelle province di Ravenna, Forli-Cesena, Rimini, Bologna e parte della provincia di Ferrara.

Le razze lattifere previste da disciplinare sono la Frisona, la Romagnola e la Bruna Alpina.

Le fasi della lavorazione sono quelle tipiche di un formaggio fresco: il latte intero, previa pastorizzazione, viene portato a 35°-40°. L’acidificazione si ottiene mediante innesto di batteri lattici autoctoni, segue poi la coagulazione con caglio animale. La rottura del coagulo non può essere eccessiva, perché lo Squacquerone deve conservare una certa umidità (pena la gessatura del formaggio, cioè quando la pasta indurisce troppo).

La cagliata è trasferita in fascelle, per favorire la fuoriuscita del siero, e il formaggio viene lasciato a temperatura ambiente per circa tre ore. Durante questa fase, le forme devono essere rivoltate almeno una volta. La salatura può avvenire per immersione in salamoia oppure mediante salagione diretta, in questo caso l’operazione deve svolgersi prima della fase di coagulazione.

La pasta di questo formaggio risulta bianca, madre-perlacea, la consistenza cremosissima (da disciplinare: “deliquescente”), il sapore deve essere gradevolmente acidulo, non troppo salato.

In bocca spiccano il tipico aroma di latte e una delicata nota erbacea. Dopo un periodo di maturazione di quattro giorni, lo Squacquerone di Romagna DOP può essere commercializzato.

TOSCANA

Pecorino toscano

Pecorino Toscano: formaggio a pasta tenera o semi dura, prodotto esclusivamente con latte di pecora intero. Ne è consentita la produzione in tutta la regione Toscana, e in alcuni comuni dell’Umbria e del Lazio.

Il pecorino può essere a latte crudo o pastorizzato, nel secondo caso può essere inoculato con fermenti lattici autoctoni. La coagulazione avviene tra i 33° e i 38°, in seguito all’aggiunta di caglio di vitello.

La rottura della cagliata è delle dimensioni di una nocciola per il formaggio a pasta tenera, e di un chicco di granoturco per la pasta semidura – in questo caso si potrà procedere anche a un’eventuale ricottura della cagliata. Si procede quindi all’estrazione in fascelle per lo spurgo del siero.

La salatura è effettuata per immersione, con una permanenza in salamoia di almeno otto ore per il pecorino a pasta tenera e di almeno12-14 ore per il pecorino a pasta semidura. Infine, la maturazione: di almeno 20 giorni per il tipo a pasta tenera e non inferiore a 4 mesi per il tipo a pasta semidura.

Il colore varia a seconda del tipo di pasta: nel caso della tenera sarà bianco leggermente paglierino, molto più intenso per la pasta semidura; stesso discorso anche per la struttura, che in ogni caso è compatta e abbastanza tenace al taglio. Possibile anche la presenza di un’occhiatura minuta non regolarmente distribuita.

MARCHE

Casciotta di Urbino

Casciotta d’Urbino DOP: è un formaggio a pasta semicotta prodotto con latte di pecora intero (tra il 70 e l’80%) e con latte di vacca intero (restante 20-30%) proveniente dall’intero territorio della provincia di Pesaro e Urbino.

Il latte di pecora e di vacca viene coagulato a temperatura di 35° circa con caglio liquido e/o in polvere e la forma viene data da una pressione manuale dopo che il formaggio è posto in appositi stampi, che gli conferiscono la tipica forma a scalzo basso con facce arrotondate.

La salatura è effettuata alternando la salamoia alla salatura a secco. Il formaggio deve essere maturato tra i 20 e i 30 giorni.

Crosta sottile e color paglierino ad avvenuta maturazione, la pasta invece deve risultare molle e friabile (sempre di colore bianco, tendente al paglierino) con una lieve occhiatura. Il sapore è dolce e caratteristico delle particolari procedure di produzione. Marchio:

UMBRIA

Raviggiolo

Raviggiolo: formaggio freschissimo da latte intero vaccino, a pasta molle, cremoso, prodotto anche in Emilia Romagna.

Dopo la pastorizzazione a 72°C il latte passa nella polivalente. Quando arriva a una temperatura di circa 36°C si aggiungono i fermenti lattici autoctoni ed il caglio di orgine animale (vitello). Dopo la rottura della cagliata, si elimina il siero attraverso una leggera stufatura.

Arriva poi una leggera salatura e il prodotto si raccoglie in formine da 250 grammi circa, che gli conferiscono una caratteristica forma a canestrello. Il formaggio può essere subito messo in vendita e deve essere mantenuto alla temperatura di 4°C. Shelf life breve: massimo 10 giorni. Sapore dolce, aroma tipico del latte fresco.

In alcune zone a cavallo tra la Toscana e l’Umbria si produce anche un Raviggiolo da latte pecora o capra, che tradizionalmente veniva avvolto in foglie di felci, fico o castagno per lo spurgo del siero.

LAZIO

Caciofiore

Caciofiore della campagna romana: è realizzato immergendo nel latte crudo, intero, il caglio vegetale ottenuto dal fiore di carciofo o di cardo selvatico raccolti nel periodo estivo e poi essiccati.

La rottura della cagliata avviene in due fasi, a distanza di 15-20 minuti l’una dall’altra, al termine dell’operazione la pasta è trasferita in fascelle per lo spurgo. Il giorno dopo le forme devono essere salate a secco e trasferite nel locale di stagionatura, che può durare dai 30 agli 80 giorni.

Il formaggio ottenuto ha la forma di una mattonella di circa 10 centimetri di lato, con uno scalzo convesso. La crosta è grinzosa e giallognola; la pasta morbida e compatta con lievi occhiature e un cuore di formaggio dalla cremosità sorprendente. Il profumo è ricco con sentori di carciofo e verdure di campo, il sapore è intenso, non salato e lievemente amaro.

ABRUZZO

Caciocavallo silano

Caciocavallo Silano DOP Abruzzese: è un formaggio semiduro a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di vacca intero proveniente da allevamenti ubicati nei territori di Calabria, Campania, Molise, Abruzzo, Puglia e Basilicata.

Per essere chiamato “Caciocavallo” il latte da impiegare deve essere coagulato alla temperatura di 36-38°C usando caglio di vitello o di capretto. Dopo la rottura della cagliata alle dimensione di nocciola, inizia la fase di maturazione, completa quando è nelle condizioni di essere filata.

Le forme, plasmate nella classica forma del caciocavallo, vengono immerse prima in acqua di raffreddamento e poi in salamoia per almeno 6 ore. Poi vengono legate a coppia con appositi legacci e sospese con delle pertiche al fine di ottenere la stagionatura almeno di 30 giorni.

La crosta deve essere sottile, liscia e di marcato colore paglierino, mentre la pasta deve essere omogenea, compatta con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino. Il sapore è aromatico, piacevole e tendenzialmente dolce quando il formaggio è giovane. Più piccante a maturazione avanzata.

MOLISE

burrino

Manteca o Burrino: non è una produzione esclusivamente molisana, si trovano ottime manteche anche in Puglia e Calabria.

Il burro si produce con latte e siero vaccino, che viene lavorato in caldaie di rame o acciaio. Si procede al raffreddamento naturale della crema, che richiede almeno 24 ore, a cui segue la zangolatura. Il burro è poi lavorato manualmente per ottenere delle “palle”.

A prodotto freddo, le palle di burro vengono rapidamente “incamiciate”, cioè avvolte nella stessa pasta del caciocavallo (a volte della scamorza). Al prodotto viene conferita la classica forma a pera con la testina, tipica della scamorza.

Le forme hanno un peso che può variare dai 200 ai 300 grammi, crosta sottilissima, lucida, color giallo paglierino. Da provare come condimento per la pasta o con il pane caldo abbrustolito.

CAMPANIA

conciato romano

Conciato romano: formaggio da latte vaccino, ovino o caprino, coagulato mediante caglio di capretto. Dopo essere pressate con le mani, salate e asciugate, le formette sono “conciate”.

Si danno due tipi di conciatura: una prevede di lavare i formaggi con l’acqua di cottura delle pettole, una pasta fatta in casa, un’altra vuole che si ricoprano le forme con un intingolo di olio, aceto, piperna (tipo di pianta aromatica) e peperoncino macinato. Al termine, i formaggi vengono conservati in un’anfora di terracotta.

Le forme rimangono dentro le anfore per un periodo da 6 mesi a 2 anni, tuttavia sono davvero pochi i produttori che scelgono la via della stagionatura: i peculiari sentori del conciato si fanno via via più complessi con la maturazione, e difficilmente incontrano i gusti dei consumatori.

Al naso, il conciato presenta una forte riduzione, sensazioni alcoliche e di frutta matura; in bocca invece può arrivare anche a una piccantezza molto pronunciata, a seconda dell’affinamento.

PUGLIA

Canestrato pugliese

Canestrato pugliese DOP: noto anche come Canestrato Foggiano o Pecorino Dauno. E’ un formaggio a pasta dura cruda, ottenuto da latte intero di pecora di razza gentile di Puglia. L’area di produzione comprende l’intero territorio della provincia di Foggia e quello di 16 comuni appartenenti alla provincia di Bari.

Il nome di questo formaggio deriva dai canestri di giunco nei quali viene stagionato.

La conformazione particolare di questo formaggio è data specificamente da due fasi: la sineresi (o spurgo del siero) dentro i canestri di giunco, che conferisce alla crosta la tipica rugosità del Canestrato, e la salatura a secco con sale grosso.

La stagionatura deve essere di almeno 90 giorni, durante questa fase le forme vengono più volte rivoltate e spazzolate. Al termine, la crosta viene trattata con olio extravergine di oliva.

Il sapore del Canestrato giovane è più delicato e fresco, facendosi più piccante nel procedere della stagionatura (dai 10 mesi in poi, è usato anche come formaggio da grattugia). Il suo sapore deriva oltre che dal tipo di pascolo e dal latte, principalmente dal caglio di agnello essiccato e con molta cura conservato con bucce secche di aranci, limoni e foglie di ortica.

BASILICATA

Pecorino di Filiano

Pecorino di Filiano DOP: formaggio a pasta dura, da latte intero di pecore di razza Gentile di Puglia e di Lucania, Leccese, Comisana, Sarda e loro incroci.

Prodotto in provincia di Potenza, nell’area Nord-Occidentale della Basilicata, nella fascia appenninica che dal Monte Vulture arriva al Monte Li Foy fino ad arretrare alla Montagna Grande di Muro Lucano.

Il latte crudo, previa eventuale filtratura, viene riscaldato a 36°-40°. A questo punto è consentita l’aggiunta di caglio di capretto o vitello in pasta. In seguito alla formazione del coagulo, la cagliata viene rotta alle dimensioni del chicco di riso. E’ consentito un breve riposo sotto siero, a cui segue l’estrazione e la formatura nelle tipiche fascelle di giunco, che nella zona prendono il nome di fuscedd.

Dopo una breve pressatura manuale, la pasta può subire un secondo passaggio nella scotta a 90° per non più di 15 minuti. E prevista sia la salatura a secco che in salamoia. A partire dal ventesimo giorno di maturazione, le croste delle forme possono essere lavorate con olio d’oliva e aceto.

L’evoluzione del sapore è quella tipica dei pecorini: da delicati a inizio stagionatura, a piccanti e compatti via via che aumenta l’invecchiamento. Marchio:

CALABRIA

Caciocavallo di Ciminà

Caciocavallo di Ciminà: è prodotto da tempi immemorabili nel comune di Ciminà, nel comune di Antonimina e parte del territorio dei comuni di Platì, Ardore e Sant’Ilario dello Jonio, in provincia di Reggio Calabria.

In questo territorio, il caciocavallo si forma a due testine, è un formaggio piccolo, allungato, caso unico nel panorama caseario. Ma si lavora anche nella forma ovoidale classica.

Si coagula il latte crudo, di vacca e a volte anche parzialmente di capra, quasi sempre con caglio di capretto. In seguito alla rottura della cagliata, si formano coaguli grandi quanto una nocciola che si raccolgono e compattano, facendo fuoriuscire il siero. Questa massa viene lasciata fermentare anche più giorni, secondo l’andamento climatico, e poi tagliata a fette e filata nell’acqua bollente. Infine si passano le forme nella salamoia per un giorno circa e si appendono poi ad asciugare a cavalcioni della tradizionale pertica.

Il caciocavallo di Ciminà si consuma di solito fresco, destinandolo per lo più alla griglia. Mentre con qualche settimana di stagionatura in più acquista sentori lunghi di sfalcio, di fiori gialli, di nocciola.

SICILIA

vastedda

Vastedda della valle del Belice DOP: formaggio di pecora a pasta filata da consumarsi fresco. La zona di produzione è compresa nei comuni di Agrigento, Trapani e in piccola parte anche Palermo.

Il formaggio Vastedda è ottenuto con latte ovino intero, crudo di pecore di razza Valle del Belìce, allevate nell’areale appena indicato. Il latte viene filtrato con appositi setacci, poi riscaldato alla temperatura di 36°- 40° C, momento in cui viene aggiunto caglio in pasta di agnello.

La rottura della cagliata avviene alla dimensione del chicco di riso, lo spurgo del siero viene favorito dall’aggiunta di acqua calda durante la fase di rottura. Dopo un breve riposo, la cagliata viene trasferita in tradizionali fascelle di giungo: nessuna operazione di pressatura, né manuale né artificiale, è consentita.

La pasta viene lasciata nelle fascelle per la fermentazione naturale, il tempo di sosta varia a seconda della temperatura (massimo 24 ore d’estate, che arrivano a 48 nei mesi più freddi). Al raggiungimento del giusto livello di acidità, si procede alla reidratazione della pasta con la scotta e poi alla filatura manuale. La particolare filatura della Vastedda e il periodo trascorso in piatti fondi di ceramica, le conferiscono la forma caratteristica.

All’esame visivo il formaggio deve presentarsi di colore bianco omogeneo, non granuloso, con eventuali accenni di striature dovute alla filatura artigianale; l’occhiatura deve essere assente o molto scarsa, così come la trasudazione.

In bocca deve emergere immediatamente il sapore tipico del formaggio fresco di pecora con note lievemente acidule, ma mai piccanti.

SARDEGNA

Casizzolu

Casizolu: raro e pregiato formaggio vaccino a pasta filata di una terra, la Sardegna, rinomata per i suoi grandi pecorini. La zona è quella di Montiferru, provincia di Oristano. A rendere eccellente questa produzione tutelata da un presidio Slow Food, sono le razze lattifere autoctone: le sardo modicane e le bruno-sarde, vacche rustiche allevate tutto l’anno allo stato brado.

Il Casizolu veniva lavorato, nella tipica forma a pera panciuta, tradizionalmente dalle donne. Dopo aver aggiunto il caglio e preparato la rottura della cagliata bisogna aspettare il punto esatto di fermentazione lattica. A questo punto si può procedere con la filatura.

All’esame visivo la buccia deve essere liscia, lucente, senza rughe. A questo punto le forme sono adagiate su canovacci (oppure in ceste di crusca) perché non si rovini la forma; dopo due o tre giorni si appende al soffitto e infine si sistema in cantina.

La pasta del Casizolu tende alla sfoglia con la stagionatura, è giallo paglierina e leggermente occhiata. Al naso, quando la forma è ben stagionata, unisce sensazioni verdi di erba e di latticello a sentori di bosco e di foglia. In bocca tornano le note con una buona persistenza e un finale ammandorlato.

[Crediti | Link: Dissapore. Immagini: Flickr/Dohlongma, Flickr/Fiona Beckett, Flickr/Brian Vanaski, Flickr/Provincia di Treviso, Flickr/Vampiro nella vigna, Taccuini Storici, Flickr/Gosbeak_1, Flickr/hiroko kasagi, Facebook, Flickr/SbsRadio, Flickr/Tcalo, Flickr/Comune di Pignataro, Flickr/Valore Natura, Flickr/Basilicata Turistica, Flickr/Elisa, Etnografia]