Se vi diciamo che l’energia elettrica per i supermercati viene dagli scarti alimentari, ci prendete per pazzi?

Se vi diciamo che l’energia elettrica per i supermercati viene dagli scarti alimentari, ci prendete per pazzi?

Tutti si sentono in diritto di ripetere, a loro stessi e al mondo, che esiste il problema di ridurre lo spreco. Uno si stressa anche a forza di sentirselo dire. Ma hanno ragione, intendiamoci, 89 milioni di tonnellate di cibo gettate ogni anno dai cittadini della UE non sono un’invenzione loro, nemmeno i cibi scaduti buttati, che sottraggono 515 euro al bilancio annuale delle famiglie italiane.

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Va raccontata assolutamente l’idea avuta da Sainsbury’s, una delle principali catene di supermercati del Regno Unito, per trovare una soluzione al problema. 

Dunque, portare una tonnellata di rifiuti alimentari in discarica non costa poco, Sainsbury spende infatti 150 £ (190 euro). Perché allora non smaltirli in modo diverso, e se possibile guadagnando? Non pensate a un’impennata delle solite offerte 3×2, macché, quelle sono soluzioni banali.

Invece, ispirandosi al corpo umano e a ciò che fa ogni giorno, è possibile trasformare il cibo deteriorato in energia. E’ quanto succederà nel primo supermercato Off-Grid, cioè il punto vendita Sainsbury di Cannok, nel West Midlands, pronto a staccarsi dalla rete elettrica nazionale per passare all’autoproduzione energetica.

Tra l’altro a km (praticamente) zero, perché la sede di Biffa, società di riciclaggio che collabora con Sainsbury, specializzata in trasformazione degli alimenti da buttare in biogas e poi in energia elettrica, è poco distante dal negozio di Cannock. Così, una volta ottenuta l’energia elettrica, basterà trasmetterla al punto vendita usando un cavo elettrico lungo 1,5 km.

E mentre studia se il nuovo modello di sostenibilità è applicabile a tutti i negozi della catena, Sainsbury decide che qualora l’energia ottenuta dai rifiuti non fosse sufficiente, aggiungerà 165,000 pannelli solari sui tetti dei supermercati.

Meno rivoluzionaria ma ugualmente geniale l’idea di un’altra popolare catena di supermercati, stavolta francese, Ipermarché. L’aspetto ha un’influenza decisiva sui nostri acquisti, ma la frutta e la verdura che non soddisfa i nostri canoni estetici dove va a finire? Viene buttata.

I supermercati rifiutano le carote deformi, le arance bitorzolute, le mele accoppiate, le banana sbilenche, semplicemente. O almeno, così è stato sinora. Per convincere i clienti che i vegetali meno gradevoli esteticamente sono gustosi quanto gli altri, Intermarchè non solo li accetta, li segnala con appositi cartelli al cliente e li sconta (-30%), ma distribuisce una linea dal design invitante di succhi e frullati.

Chi li prova si accorge che il sapore è buono, e spronato dallo slogan della campagna Ugly & Tasty (“vero, è brutto, ma ha lo stesso sapore e costa meno”) ritorna al banco dei vegetali sfortunati e li acquista. I primi risultati sono stati sorprendenti.

[Crediti |Link: Corriere, FastCoexist, Oh Gizmo, Intermarché]