L’ossessione di fotografare quello che stiamo per mangiare

L’ossessione di fotografare quello che stiamo per mangiare

Twitter, Facebook, Pinterest, Instagram: sempre più persone usano i social network per pubblicare immagini di quello che stanno per mangiare, tra golosità, documentazione e narcisismo. A volte sono piatti casalinghi, a volte sono quelli serviti al ristorante. L’appetito vien guardando, e una bella fotografia funziona tanto quanto un buon aroma.

Nei locali di nome, capita spesso di vedere clienti che fotografano forsennatamente i piatti dei commensali. In alcuni ristoranti i clienti sono pregati di astenersi dal fotografare. Chi fa tanta fatica per presentare piatti buoni e belli, che parlino ancor prima di essere assaggiati, teme reportage dilettantistici, che facciano una cattiva impressione a chi vedrà le immagini, magari postate su un blog di critica gastronomica.

Foodmood.in è un sito che passa in rassegna tutti i tweet del mondo (tramite algoritmi? Algoritmo sta diventando la parola magica all’origine di tutto), e seleziona quelli dedicati al cibo. Costruisce nazione per nazione una classifica quotidiana degli alimenti più pubblicati. Il sistema non è del tutto attendibile, giacché le parole chiave passate in rassegna sono inglesi; tuttavia certi termini sono internazionali (pasta, pizza, sushi) e le percentuali di gradimento finiscono per rivelarsi realistiche.

Il 23 luglio, per esempio, gli olandesi hanno postato immagini che riguardavano, nell’ordine, pancakes, pizza, uova; in Afganistan, insalata, uova e sinigang (una zuppa orientale); in USA, insalata, pollo e uova (pizza al quinto posto); in Siria cioccolata, dolci, e kfc (cioè Kentucky fried chicken). Da noi, pasta, pizza e pollo. Foodmood fornisce anche il reddito pro capite e la percentuale di obesi dei paesi analizzati.

Stiamo insomma vivendo un boom della rappresentazione di cibi che rimanda all’epoca d’oro delle nature morte, tra Seicento e Settecento. Allora, sull’onda della moda lanciata dai pittori fiamminghi, le raffigurazioni di alimenti divennero una fondamentale dimostrazione di abilità dei pittori, in una gara a raffigurare nel modo più vivido possibile spicchi di agrumi, bagliori delle scaglie di pesce, piume e pelliccia di selvaggina appesa a frollare, mollica di pani spezzati.

Un libriccino di Luca Mariani, Agata Parisella e Giovanna Trapani, La pittura in cucina (Sellerio, 2003), illustra rimandi e simbologie di alcuni di quei dipinti, tra cui la celebre Canestra di frutta di Caravaggio, orgoglio della Pinacoteca Ambrosiana.

Nel Novecento, il posto dei maestri del pennello è stato preso dalla pop art, con la serialità delle zuppe Campbell’s raffigurate da Warhol e gli hambuger con patatine di Oldemburg. Ora tocca alla fotografia, spesso più tic nervoso che forma d’arte.

[Crediti | Dalla rubrica “Cibo e Oltre” di Camilla Baresani su Sette, inserto del Corriere della Sera. Link: Foodmodd.in, Ibs. Immagine: @citygrit/Instagram]