O mangi il pesto a Genova o non puoi veramente dire di averlo mangiato

O mangi il pesto a Genova o non puoi veramente dire di averlo mangiato

L’ho rifatto, ebbene si. Mica l’hangover, eh. Il pesto. Complice il caldo, il deserto romano e un regalo ricevuto da Roberto Panizza (che organizza il Campionato mondiale del pesto di Genova).

Bella pe’te, direbbero a Roma, l’hai già fatto. E invece no, perché la sfida era quella di fare il pesto genovese a Roma come se fossimo a Genova, e non il pesto genovese fatto a Roma punto.

La differenza sta in un punto, ma di quelli fondamentali.

Ho ricevuto nell’ordine:
— dell’arzillo basilico di Prà che mi salutava con la mano,
— olio extravergine d’oliva DOP,
— pacchettino di Parmigiano Reggiano
— pacchettino di pecorino Fiore Sardo,
— e per finire aglio di Vessalico (esiste ed è pure molto buono).

(Sale grosso e pinoli li ho messi io).

Non mi emozionavo così da quando i miei mi ha messo in mano le chiavi del motorino. Penso di aver passato mezz’ora solo a sniffare Pecorino e toccare foglioline. Ancora mi rammarico di non aver avviato una piantagione di basilico.

Insomma, ci ho riprovato, l’ho rifatto: pestato, frullato, salato. E lo ammetto, hanno ragione loro: è diverso (tra l’altro freddo è buonissimo. “Scaldandosi, gli olii aromatici del basilico si volatilizzano rapidamente”, cit.).

Okay, non ho il mortaio, il basilico ha viaggiato e ho fatto le proporzioni a occhio – anche se dietro consiglio dell’esperto Panizza.

pesto

pesto

Ma va detto chiaro e tondo: il sapore è diverso, più bilanciato, aromatico, soave. Il colore quello giusto, il profumo pungente.

Insomma, per una volta che è stato possibile avere tutti gli ingredienti previsti dalla ricetta originale, un pezzo di Liguria si è trasferito a casa mia (ho anche tentato l’abbronzatura sul balcone per convincermi che le Cinque Terre non erano lontane ma il megafono dell’arrotino sottocasa ha distrutto ogni illusione).

A conferma di tutto, una convinzione: ci sono ricette che non possono essere esportate, modificate, arrangiate. Il pesto genovese, per dire.

Perché il basilico di Prà non cresce sotto casa e la spedizione non è tra le mie priorità. Così certi ragù napoletani, o i cannoli siciliani, i pizzoccheri della Valtellina, le marmellate di alcune zone di montagna o i culurgiones sardi.

Va bene la curiosità e l’emulazione, il riprovare a casa e il vanto del cimentarsi: certe volte, lo ammetto, sono proprio contenta che non si possa rifare tutto a casa propria.

Altrimenti, che bisogno avrei di pianificare il prossimo weekend a Genova?