Quel titolo è l’unico imperdonabile errore di Unti e Bisunti

Quel titolo è l’unico imperdonabile errore di Unti e Bisunti

Per quelli che “Twitter è insopportabile e autoreferenziale”: no, è utile. Domenica mi ha ricordato che stava per iniziare Unti e Bisunti. Che a dispetto di un titolo volgare e sbagliato – probabilmente pensato da Alessandro Sallusti – funziona e genera entusiasmo collettivo.

Comprensibile e condivisibile, al netto di qualche limite su cui dico la mia.

LE COSE CHE MI SONO PIACIUTE.

1. Soggetto. Lungi da essere solo trionfante per evocazione gustativa, lo street-food è il campo per una ricognizione geografica del nostro paese troppo spesso ignorata o lasciata in mano alla retorica solenne e sonnolenta.

2. Esordio napoletano. Se non si è mai stati a Napoli, e non si è mangiato per le strade della città con il più alto differenziale tra quello che potrebbe essere e quello che purtroppo è, la bellezza di questi luoghi potrebbe sfuggire. E poi a Pignasecca c’è nata tutta la mia famiglia e non potevo non sentirmi a casa.

Unti e bisunti, il programma

Unti e bisunti, il programma

Unti e bisunti, il programma

Unti e bisunti, il programma

3. Chef Rubio. Ha le phisique du role perfetto per andare in giro per mercati rumorosi e facce autentiche autoctone. Si muove ottimamente, mangia di tutto (pure la zampa di maiale cruda), cucina la zuppa forte e ha una biografia stimolante – un rugbista che a 22 anni si trasferisce a Wellington, per giocare nel Ponete, finisce per interessarsi alla cucina di strada e passare alla ristorazione. E la pizza fritta con provola e friarielli la definisce “speachless”. Insomma, un grande!

4. Sfida. Poteva essere l’anello debole del format, la concessione allo spettacolo televisivo che manda tutto a puttane. Invece l’ironia di Rubio e le scelte azzeccate fatte la rendono piacevole. Anche se all’atto pratico è solo l’escamotage che muove il programma, perché a chi ama il cibo non gliene frega nulla di chi la vince.

LE COSE CHE NON MI SONO PIACIUTE.

1. Titolo. Niente da fare: manda in vacca tutto il valore gastronomico e antropologico della trasmissione. Ti fa pensare a un altro Man vs Food mentre qui ci si muove in territori obiettivamente più alti. La stessa insistenza sulla pesantezza calorica dei cibi raccontati è eccessiva e sbilancia il format (perché quei rutti sulla grafica!?).

2. Montaggio nevrotico. Pareva di stare in un vecchio film di Tony Scott, anzi, vista la quantità invadente di camera a mano (che fa tanto cinema verità) in The Bourne Ultimatum. L’idea tecnica/estetica dello show c’è ma è buttata alla rinfusa secondo il dettame del “siamo moderni, siamo cool” senza avere le idee tanto chiare.

Belli i dettagli sfuggenti e in campo stretto sui cibi, specie a Catania (anche qui l’ispirazione pare essere la sigla di Dexter) e sul nostro che addenta con voracità, ma la frenesia esasperata troppo spesso non combacia con l’oggetto d’indagine.

Unti e bisunti, chef Rubio

Unti e bisunti, chef Rubio

Unti e bisunti, chef Rubio

Unti e bisunti, chef Rubio

3. Forzature. L’escursione “pericolosa” a Poggioreale per comprare il cuore di maiale (con tanto di tensione e inquadrature sinistre da horror) è chiaramente pretestuosa e fuori luogo. Un po’ come l’apertura bruta della scatola con il coltello.

4. Televisionalizzazione (?) eccessiva del protagonista. L’ho già detto, Rubio funziona. Ha la faccia, le movenze e i tatuaggi giusti per una trasmissione sullo street-food. Occhio a non eccedere però e a non farne una macchietta. Mentre si tocca il baffo, aspettando che tiri fuori il “io muoro” della situazione potrebbe infastidire. In quel di Catania una sua certa sicumera dava a noia.

[Crediti | Link: DMax, tutte le foto sono di TvBlog]