La rivoluzione del caffè artigianale spiegata bene

Cos'è uno specialty coffee, e quali sono i metodi di estrazione del caffè diversi dall'espresso che stanno diventando una tendenza in Italia grazie a un pugno di baristi appassionati. Siamo andati da Ditta Artigianale a Firenze per spiegarvi la rivoluzione dei caffè speciali

La rivoluzione del caffè artigianale spiegata bene

In Italia il caffè è “espresso” per definizione, gli altri metodi di estrazione sono quasi sconosciuti.

Provate a chiedere cos’è un caffè specialty, pochi risponderanno che è un caffè unico, di qualità superiore perché coltivato in condizioni particolari, raccolto, selezionato e tostato con l’intento di mettere in tazza un liquido fuori della norma.

Peggio ancora se la domanda riguarda i metodi di estrazione: cosa mai saranno caffè filtro, cold brew, syphon o aeropress?

Ma un pugno di valorosi baristi, apripista del mondo specialty coffee, gente che sa tutto di maturazione, raccolta, tostatura e conservazione dei chicchi di caffè, ha raccolto la sfida.

Oggi nei loro bar, o meglio, nelle loro caffetterie artigianali (ecco la classifica delle migliori secondo Dissapore) combinano la tradizione dell’espresso italiano con un approccio 2.0 ai metodi di infusione e tostatura del caffè.

Per noi farvi conoscere questi nuovi riti di degustazione della bevanda sta diventando un’ossessione. Non bastavano classifiche e alfabeti (in pratica un dizionario dello specialty coffee), neanche i consigli per gli acquisti indirizzati al provetto barista casalingo.

Così siamo andati a Firenze, da Francesco Sanapo, numero uno della nostra classifica e profeta del caffè specialty all’italiana, per trascorrere una giornata nella sua famosa caffetteria, Ditta Artigianale, improvvisandoci torrefattori, degustatori e filtratori di caffè monorigine (che proviene da una sola piantagione, non una miscela) da 90 euro al chilo, senza nascondere una certa ansia da prestazione.

La raccontiamo come piace a noi, ma vi avvertiamo: alla fine di questa lettura guarderete sottecchi il vostro tetrapack di caffè e la vostra affezionata moka. Persino la routine del risveglio avrà perso ogni certezza.

Pronti? Iniziamo con la degustazione, ma che dico, l’analisi sensoriale, che in gergo si chiama..

CUPPING IN LABORATORIO

Francesco ci porta nel suo laboratorio (una saletta adiacente la piccola torrefazione di Ditta Artigianale, ospitata da Caffè Corsini) dove si tostano i caffè monorigine, ma soprattutto si sperimentano le nuove potenziali miscele.

Il tavolo dedicato al cupping è un piano girevole con lavandini a fianco. Quelli servono per sputare, come si fa col vino.

Il cupping è l’esame di corpo, gusto e retrogusto del caffè che serve a stabilirne la qualità con tanto di cucchiaio apposito, analisi sensoriale e sputacchiera (se dieci calici di vino ubriacano altrettanti caffè ci trasformerebbero in Joe Bastianich di fronte a un brutto hamburger: per il nervoso lanceremmo tazzine, al posto dei piatti).

ditta artigianale cupping

Prima fase: Dry Fragrance

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Per prima cosa annusiamo il campione di caffè così com’è, in purezza. Solleviamo la tazza e la scuotiamo leggermente, per sentire a pieno la fragranza secca.

Seconda fase: Wet Aroma

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Si versa l’acqua a 93° e si annusa l’aroma del caffè ora che è stato bagnato. L’operazione ha senso se si riescono a memorizzare i profumi percepiti a secco, per capire come cambiano nel secondo passaggio, se vengano esaltati o perdono di intensità.

Per esempio: il caffè monorigine Kenya del nostro test sa di frutti rossi e (questo me l’ha fatto notare Sanapo, dopotutto sono al primo cupping) ha una nota spiccata di pomodoro, che però va scemando nella fase Wet Aroma.

Terza fase: Fleur

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Nei minuti a venire si formerà una specie di crosta da sbaragliare con l’apposito cucchiaino (l’operazione si chiama “rottura della crosta”).

Nello stesso momento, portare di nuovo le narici sopra la tazza ci permette di percepire gli aromi volatili che si sono separati dal liquido attraverso le vie retronasali: è la fase dedicata al retrogusto, appunto, quella che serve soprattutto per stabilire la porzione di amaro del nostro caffè.

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Quarta fase: il gusto

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Gettata via la crosta è il momento dell’assaggio. Il caffè si aspira con forza dal cucchiaino (effetto risucchio imbarazzante) affinché venga distribuito velocemente in tutto il palato. I gusti che da percepire sono tre: dolce, amaro e acido.

Quando al salato, nel cupping è un difetto.

Poi si sputa.

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Quinta e ultima fase: il tatto

Si comprime la bevanda tra lingua e cavo orale per decifrare la corposità del caffè. E credetemi, ci vuole uno bravo per capire qual è.

Per capire invece se il caffè è tostato al punto giusto serve un po’ di esperienza in una disciplina chiamata analisi organolettica.

Più facile è comprendere se c’è equilibrio nel rapporto tra acqua e caffè macinato (in pratica, se il caffè è troppo lungo o se va ristretto) e riconoscere i difetti.

Tra i più comuni: “terra”, “legno” e “muffa”, in genere dovuti a un errato stoccaggio del caffè, a un’essicazione sbagliata oppure al fatto che i chicchi hanno fermentato, dopo essere stati lavati.

tostatura caffè

Ci trasferiamo in bottega, la chiccosa Ditta Artigianale che sta Oltrarno (come dicono a Firenze), in via Sprone 5/r, dove costringiamo la giovane barista Jessica Sartiani a spiegarci come funzionano Syphon e Aeropress, i metodi di estrazione del caffè che più si prestano all’uso casalingo (ad eccezione del V60 a parte, ma ne parleremo a parte), e che fanno esaltano le papille gustative di chi li prova.

Qualche appassionato potrebbe chiedere notizie del Cold Brew, metteteci una croce sopra: è un’infusione a freddo del caffè che richiede 12 ore (alcuni arrivano a 24). Il risultato è molto concentrato ma si fa decisamente prima a chiederlo in caffetteria.

cold brewcold brewcold brew

SYPHON

Elegante, qualcuno potrebbe trovarlo bizzarro, ma solo all’apparenza. Il syphon è un dispositivo che stupisce e restituisce un caffè filtro privo di fondo che (con le dovute accortezze) esalta tutti gli aromi della materia prima.

Le leggi della fisica che ne regolano il funzionamento? Troppo complicato, lasciamo stare. Illustriamo invece un’infusione magistralmente riuscita, assicurandovi che è più facile a farsi che a dirsi.

Per prima cosa versiamo l’acqua calda dal bollitore al sifone inferiore (nota bene: la temperatura ideale è tra i 92°e i 96°C., se si superano i 100 gradi molte sostanze aromatiche vanno a farsi benedire, acidità in primis).

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Ora agganciamo il sifone superiore, quello in cui è stato inserito il filtro (filtro di metallo e non di tessuto. Eh, qui da Ditta Artigianale sono professionisti).

Il fornello a induzione è acceso e dobbiamo sempre tenere a mente la gradazione ideale per l’infusione.

Versiamo il caffè: per la precisione 12.5 grammi per 200 ml di acqua.

Abbiamo optato per un caffè monorigine etiope, lievemente dolce.

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Creiamo una leggera turbolenza per saturare il caffè e dopo un minuto dall’inizio dell’estrazione rimuoviamo il syphon dalla fonte di calore.

L’acqua inizia a scendere. Ci dicono che è per effetto della decompressione, ma assolutamente affascinati dalla scena (e troppo indaffarati a immortalarla) non indaghiamo oltre. In fondo è questione di pochi secondi.

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Due minuti e mezzo e il caffè e pronto.

Considerata la coda che si forma in genere davanti alle macchinette (e il pessimo prodotto che restituiscono a cambio di 50 centesimi, per un prezzo al chilo su cui è meglio tacere), un caffè fatto con il syphon non sembra una cattiva idea.

Attenzione però: con questo coso sulla scrivania l’etichetta di stravaganti della compagnia non ve la toglie nessuno.

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Rimosso il sifone superiore, non resta che versare nella tazza. E a scelta, tirarsela un po’.

AEROPRESS

A vederla così vi sembrerà complesso, ma l’areopress potete portarlo al lavoro e perfino in viaggio, non è uno scherzo.

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Per iniziare sciacquiamo il filtro (operazione indispensabile quando questo è di carta: il retrogusto di cellulosa non è granché) e pesiamo 15,5 grammi di caffè appena macinato (abbiamo usato lo stesso monorigine etiope di prima per fare un raffronto tra i due metodi d’estrazione) e lo versiamo nell’aeropress.

Tenete presente che per una dose simile servono 250 ml di acqua.

DSC_0261Quando si parla di Aeropress c’è di mezzo la pre-infusione: una porzione di liquido (in questo caso corrispondente a un decimo) rimane a contatto con il caffè per circa 20 secondi.

Poi si aggiunge il rimanente. Il maestro consiglia: mentre versate smuovete un po’ il cilindro.

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L’infusione dura meno di una sigaretta: 1 minuto e dieci secondi. Troppi per starsene con le mani in mano: nel frattempo potete assicurarvi che tutta la polvere di caffè si bagni allo stesso modo.

I baristi di Ditta Artigianale hanno usato un bamboo stick, ma pssst… un cucchiaio andrà benissimo.

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E’ il momento di avvitare il filtro, in fondo questo marchingegno deve il suo nome alla pressatura.

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Si spinge direttamente sulla tazza per un tempo compreso tra i 20 e i 30 secondi.

E il gioco, scusate, il caffè è fatto.

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Ora, dopo tutto il pippone uno potrebbe chiedersi lecitamente cosa cambi tra un caffè fatto con il Syphon e uno con l’Aeropress.

La limpidezza, innanzitutto: quello col sifone è risultato più torbido, a parità di varietà.

Poi l’acidità, che come abbiamo appreso durante la degustazione contribuisce al pregio del caffè.

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Se volete tirarvela da intenditori dite pure: “Questo caffè ha buona acidità” con lo stesso tono che usate davanti a un calice di Amarone.

Stessa serie di: “Questo vino ha un gran bel tannino”.