Hiromi cake, prima pasticceria giapponese a Roma: cosa c’è e quanto costa

Hiromi cake, prima pasticceria giapponese a Roma: cosa c’è e quanto costa

Hiromi Cake, prima pasticceria giapponese di Roma, ha aperto da pochi giorni nel quartiere Prati.

Può darsi che la nostra non sia la voce più attendibile nel descrivere le meraviglie dello stile nipponico, visto l’ironico post scritto tempo fa dall’editor Sara Porro.

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In quel caso, i dorayaki, forse i dolci giapponesi più conosciuti all’estero, venivano descritti così: “una sorta di doppia frittella, un incrocio incestuoso tra pancake e pan di Spagna…”.

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Va detto però che i dolci confezionati nella pasticceria romana di ambientazione izakaya (“negozio di sakè dove ci si siede”) dalla pastry chef Hiromi e dalle tre collaboratrici che formano un laboratorio tutto al femminile, sono belli e invitanti, a volte irresistibili.

“Precisione, leggerezza e bellezza cristallizzate in piccole opere nate per accompagnare la tradizionale cerimonia del tè”, ha scritto James Magazine.

Le regole di Hiromi sono quelle dei wagashi (dolci) più noti nel suo Paese: dolci a base di farina di riso, fagioli rossi azuki, patate dolci, preparati utilizzando sesamo, soia, amido di kuzu o agar-agar per addensare e, soprattutto, con un uso contenuto dello zucchero.

Presenti ovviamente i dorayaki, eleganti pancake farciti di anko, una sorta di marmellata ricavata dai fagioli rossi, gli azuki, e i mochi, pepite di riso bollito che, se guarnite, prendono il nome di daifuku: farcitura più frequente una pasta di fagioli rossi.

Nel piccolo banco trasparente della pasticceria fanno bella mostra anche i Fuji san, remake del Montblanc francese con tortino ripieno di azuki, fagioli bianchi e matcha, e i Kurò, una specie di mousse al cioccolato fondente.

Oltre alle monoporzioni, che costano da 2,80 a 4,80 € a pezzo, Hiromi Cake è specializzato nella preparazione di torte e nella cerimonia light del té, qualunque cosa significhi. È possibile bere caffè bio 100% Arabica o cappuccini matcha nella versione in bicchiere da asporto.

[Crediti | James Magazine]