10 motivi per cui spendere 150 euro da Uliassi è un preciso dovere morale del popolo tutto

Chi sono i clienti dei grandi ristoranti italiani? Persone facoltose spesso attratte dall’esclusivo a prescindere, professionisti benestanti, recensori incalliti che si parlano addosso. Gente comune? Poca. Per “gente comune” intendo l’operaio, il meccanico, l’impiegato delle Poste e il commesso della Coop. Eh, lo so che state pensando ai soldi. Errore, non è una questione di soldi ma di priorità. Spendiamo in cellulari tecnologici, accessori per auto, cosmetici, massaggi, televisori di ultima generazione e pantaloni firmati ma il pensiero di un esborso a 3 cifre per il ristorante ci atterrisce. Si tratta pur sempre di mangiare, no? E che ci sarà di speciale?

(Lezione di economia spiccia: 4 euro al giorno per 30 giorni fanno 120 euro = un pranzo di livello al mese. Qui finisce il ragionamento economico, chiaramente fuorviante).

E ora, 10 validi motivi per cui il popolo tutto, al di là del portafoglio, dovrebbe spendere 150 euro da Mauro e Catia Uliassi almeno una volta nella vita.

1 – Il massimo della cura e il minimo dell’affettazione. I grandi ristoranti, o sono responsabili o non sono. Niente serate storte, il fattorino che fatica a racimolare gli euri non tornerà una seconda volta. Beh, posti eccellenti ne ho visti ma perfetti come Uliassi mai. 3 ore di esecuzione magistrale con un ritmo entusiasmante: consegna sincrona e disinvolta dei piatti, li spazzoli e spariscono prima che siano d’impiccio. Il tempo di un sorriso e arrivano le nuove posate. Detto da me che spesso mangio con le mani, il massimo.

2 – Il Sandwich croccante di triglia con pesche e pomodori verdi. Tutti conosciamo triglie pesche e pomodori. Eppure Uliassi vende un sapore eccezionale, una riflessione sul gusto che ti si stampa in mente. Provare gioia, divertirsi, stupire scoprendo che 1 + 1 + 1 a volte fa 10, ed è lo chef, questo chef, a fare la differenza. Incredulo, torni al pc e scopri che per la guida ai ristoranti dell’Espresso è nientemeno che il piatto dell’anno. Non so se mi spiego.

3 – Mangiare senza gonfiarsi. Il luogo comune per cui nei grandi ristoranti mangi cacatine che ti fanno uscire con la fame è duro a morire. Non qui. Il menu “Tutto Crudo” a 125 euro è una sfida. Si vive anche senza pasta e frittura, la voglia di cucinato ti sfiora passeggera. 9 piatti, il predessert e Il Tiramisù saziano senza gonfiare. (Se proprio vuoi gonfiarti prova col pane alle noci, il secondo da destra nella foto, è peccaminoso già nell’aspetto).

4 – La carta dei vini. Ampia, ricca di tanto bel Verdicchio ma soprattutto accessibile. Non devi fare un mutuo per bere bene mentre mangi. Brut metodo classico riserva Ubaldo Rosi 2004 Colonnara a 35 euro, Dettori Bianco 2006 a 40 euro. Basta consultare altre carte dei vini per capire. Se il vino interessa poco o nulla può bastare un calice. Alla faccia di chi ha in carta 20 annate di Château d’Yquem e ricarichi medi del 400%: bell’investimento, complimenti.

5 – Il sommelier. Non c’è, non nel senso proprio di “individuo vestito diversamente che naviga la sala con fierezza dispensando saggezza enoica”. Ci sono servizio preciso e attenzione nel suggerire il vino (anche nel versarlo). Il problema è che di certi sommelier facciamo tutti benissimo a meno.

6 – La Spremuta fredda di granchio con molluschi e crostacei. Quando un amico parla bene di un piatto, l’aspettativa è alta come il rischio di flop. Parole che sono pietre: “da bambino il mare lo hai bevuto e a volte lo hai anche mangiato. Il sapore delle telline non si dimentica, le ore passate a scavare con le unghie la sabbia nemmeno“. La “Spremuta” è un piatto che non sa di pesce, sa di mare. Qualsiasi cosa queste parole significhino è così. Che poi l’editor Antonio Tomacelli abbia impiegato “11, forse 12 cuccchiaiate” per terminarlo è un mistero che non indagherò.

7 – Il capitolo ambiente. Dove piazzare un ristorante di pesce top? Sul lungomare, con il mare davanti e possibilmente con gente che si bagna nel mare. 20/20 di valutazione per uno chalet in cui bianco, blu e legno caratterizzano una eccellente ristrutturazione. Poi per carità, si può anche sbavare per un ristorante interrato e senza finestre, il mondo è bello perché vario.

8 – La Tagliatella di seppia e pesto di alga nori. Di fatto è una seppia, la arrotoli come una tagliatella e senti scrocchiare la quinoa (erba coltivata nelle Ande per le foglie farinose e per i semi, consumati cotti o tostati). Genio e sapore.

9 – La famiglia. Mauro, concentrato e cordiale passa tra i tavoli come si conviene nei locali gurmé. Infaticabile e simpatico, nel tempo semi-libero legge qualche blog di troppo, ma lo sappiamo, nessuno è perfetto. Catia è una padrona di casa abbronzata, accomodante e puntuale (sono parole di facciata, le cose che si dicono di lei sono più erotiche). Fratello e sorella, due stelle Michelin, torna tutto.

10 – Last but not least, la vita di società. È una bella rottura subire racconti di vacanze epocali, cene pantagrueliche nel ristorante griffato, piatti che “non immagini neanche il sapore”, e Champagne versato a fiumi. Da oggi, nella vita di relazione col tuo superiore o con l’ultimo degli sboroni non sei più lo stesso. Con chiunque, per chiunque, sempre, comunque e ovunque citerai Alberto Sordi (Il marchese del Grillo). “Io sono stato da Uliassi e voi non siete un ca**o“.