Il caffè della Crepa è piuttosto noto, in pratica non se ne può più di sentir dire quanto è buono e bello

Tre bambini deficienti in macchina (uno con la patente) inventano il giro turistico del cremonese che serve a superare la noia del paesaggio lento e monopiatto. Ci sono queste porcilaie (che poi non ne ho vista nemmeno una), i turisti vengono caricati direttamente in aeroporto e con un bus fanno un giro in zona. L’ultima porcilaia mette in palio il viaggio stesso e se stendi un maiale al mattatoio con l’opportuna pistola sparachiodi fai il viaggio gratis. E’ una sciocchezza da bambini dementi e trogloditi ma almeno quando mangi il salame (in regalo anche quello) sai chi c’è (c’era) dentro.

La tradizione è anche questo, con rispetto infinito per il sempre amato JS Foer, autore animalista di “Se niente importa”.

Lasci i propositi bellicosi e arrivi in piazza a Isola Dovarese. Qualche macchinone tirato per la festa, qualche signora che pensa di essere a Las Vegas, grande slargo, edifici un po’ cadenti ma ancora dritti. Molto Italia. Look total jeans (tutto: Carrera) per il macho da aperitivo, evento della settimana.

Il caffè della Crepa è piuttosto noto, in pratica non se ne può più di sentir dire quanto è buono e bello e fantastico e superlativo e meraviglioso e sensazionale e unico e inimitabile e simpatico e bello.

Partiamo da questo strano vino (biotico) che sa di Bibbia, Aramaico, cantina Sacrafamilia. E’ un riesling chardonnay dell’Oltrepò Pavese, che di norma farebbe “bleah”. Macerato e biotico (?) invece fa molto meno “bleah”, anzi farebbe “wow”. Lo metto lì, dalle parti dei macerati friulani (anche se nel ripiano più basso) e mi assumo le responsabilità del caso, lo prendi all’antipasto e lo tieni fino al dessert. Che è l’unica nota dubbiosa del pranzo.

La ristrutturazione della Sacher Torte ghiacciata è golosona si, ma… troppo cioccolato. Troppo anche per una Sacher. E il ghiaccio forse meriterebbe maggior ardimento.

Con il baccalà invece ho un conto personale: finisce che lo prendo sempre e non mi soddisfa quasi mai. Convinto della sua innocenza qui lo prendo come antipasto, in insalatina leggera con il filo d’olio che ti aspetti. Buono, senza indecisione.

Così come senza indecisione è il savaren di riso con ragù classico e lingua salmistrata. Dove io cerco la punta eccessiva di cottura breve altri trovano ovvia quella di cottura lunga. Mah ! E tutti ci dimentichiamo di come la lingua salmistrata stia al suo posto senza infastidire niente e nessuno, cosa che, considerato il suo carattere, finisce con il sorprendere. Ottimo risotto, inatteso, “nuovo”, quasi facile eppure complesso e full-body.

Decido per una lenta decantazione fino al dessert, vedo scivolare via, poco utile come sempre ma oggi più che mai, lo Chateau Musar Bianco. Afferro invece all’ultimo minuto lo storione del Po, “semplice” filetto di pesce con le verdure di stagione.

Te’ verde di chiusura, saltando il giro alla (dicono) meravigliosa cantina per l’amore incondizionato verso la panchina nella piazza all’ombra del bersò.

[Crediti | Immagine: Premiate Trattorie Italiane]