Non ristoranti | 7 format che stanno facendo soldi o potrebbero

C’è chi non riesce a capacitarsi del successo dei non-ristoranti, mangiatoie evolute in alternative ai risto frequentati abitualmente. Se n’è già parlato, ma oggi abbiamo selezionato 7 format che stanno attualmente facendo soldi o potrebbero (ci sono aperture recentissime). Le trovate formule sensate? Ne conoscete altre meritevoli di attenzione?

1) M**BUN, Corso Susa ,22/E – Rivoli (TO).

Mac Bun in dialetto piemontese significa solo buono, nasce da qui l’idea di fast food avuta da Francesco Bianco e Graziano Scaglia. MacBun si è trasformato in M**Bun dopo una lettera dal legale rappresentante di McDonald’s: troppo simile al loro marchio per il gigante del mangiare veloce. Asterischi o no il locale va a gonfie vele, e raddoppierà entro pochi mesi. Alla base un’idea semplice: carne scelta, crude, ottimi hamburger, tartare, è nelle ricette un po’ di sana retorica piemontese. Aggiungi pane, ortaggi, tome, robiole, yogurt e dolci prodotti da fornitori della zona accompagnati da vini piemotesi e birra artigianale. Il locale da 130 posti a sedere, progettato in un paio di mesi, aperto a settembre del 2009 investendo 150 mila euro, oggi impiega 17 persone grazie al vistoso successo dei menù da 9 e 11 euro. E M**Bun si allarga. A Rivoli aggiungerà altri 150 metri ai 240 iniziali, mentre a Torino, in Corso Siccardi angolo via Cernaia, sta per aprire un nuovo locale di proprietà.

2) POLENTONE, Borgo Santa Caterina, 66 – Bergamo. E’ il primo take away di polenta in Italia, un’idea di Marco Pirovano, 29enne istruttore di arti marziali, che venerdì scorso ha inaugurato a Bergamo il PolentOne, una polenteria da asporto dove fino a tarda sera, dal martedì alla domenica, si mangia polenta in molte varianti: con il ragù di cinghiale, alla boscaiola, alla contadina, con i formaggi, alla griglia, abbrustolita, a spiedino con i salumi. E per gli amanti del dolce, inevitabile, c’è quella con la Nutella. Anche se nei primi giorni i bergamaschi hanno affollato il locale, è presto per dire se la polenteria riuscirà a conquistarli, ma la formula local + pop (prendo una gloria della cucina locale, meglio se alla portata di tutti, e te la smercio ammiccando alla modernità) resta la vera tendenza dell’ultimo periodo.

3) TRICOLORE MONTI, via Urbana, 126 – Roma. All’idea di un posto dove fare colazione con il croissant al burro francese di Franco Palermo (maestro di Gabriele Bonci e ghostpanettiere della Roma che conta) l’audience romana ha risposto oltre ogni più rosea previsione. Forse perché Tricolore Monti, frutto dell’idea di tre giovani ragazze, è al contempo panetteria glamour bianco-latte, pausa pranzo con panini da sturbo (si spendono anche 15 euro, ma chi ci capisce dice che siano meritati), take-away per gli uffici della zona, e la sera scuola di cucina, o meglio: piattaforma didattica dove, all’interno di un ferro di cavallo con 14 postazioni per gli alunni, chef del calibro di Gabriele Bonci di Pizzarium, Cristina Bowerman di Glass Hostaria, Giulio Terrinoni dell’Acquolina parlano, insegnano, cucinano. Esempio: un’ora con la supervisione dello chef per preparare il tal piatto, che poi si consuma sul posto, costa 25 euro. In attesa di sapere come andrà, dopo il Bunga Bunga, Tricolore Monti è sicuramente l’argomento più dibattuto da ogni foodblog delle terre emerse.

4) POLPETTERIA, via Solimena, 76 – Napoli. Al Vomero, il quartiere collinare di Napoli che ha visto chiudere due McDonald’s per mancanza di clienti, è spuntata da pochi mesi un’anomala scritta arancio su campo viola: LA POLPETTERIA. Nel locale di Francesco Infracca e Giuseppe Cherchi la scelta è addirittura imbarazzante: polpette di carne (vitellone marchigiano e maiale nero casertano), verdure (scarola, capperi e olive di Gaeta, friarielli e provola di Agerola), pesce (il pesce azzurro del Golfo), gourmet (bufalo in riduzione di aglianico e cioccolato) da mangiare nel piatto o in mezzo a un panino, e polpette nella versione “cuoppo fritto” da asporto, in formato Small (10), Medium (20) e Big (30). Infine polpette dolci: riso, vaniglia e uva sultanina, crema gialla fritta con amarene, cioccolato al limoncello con granella di mandorle. Una polpetta un euro, 20 palline 3,5, il locale ha apero da poco ma è già una destinazione di culto.

5) INO, via dei Georgofili, 3r-7r – Firenze. Paninoteca non rende l’idea, è banale, perfino vagamente offensivo. Ristorante è proprio sbagliato, manca la cucina. Delicatessen fa snob mentre Alessandro Frassica, che ha aperto il locale a fine 2006, snob non lo è per niente. Anche per il New York Times Ino è un bottega del piacere, nel senso che si possono acquistare tagli di carne piemontesi, pistacchi di Bronte e sali siciliani, culatello di Zibello, fino alla contagiose specialità del cioccolatiere fiorentino Andrea Bianchini. Ma allo stesso tempo, è la pausa ideale dopo un’overdose d’arte, nascosto com’è in un minuscolo vicolo tra gli Uffizi e Ponte Vecchio. Perché da Ino-Firenze, seduti sugli sgabelli che fronteggiano il bancone, si mangiano panini (un’ ottima schiacciata fiorentina cotta nel forno a legna) con ogni ben di Dio, dai classici toscani tipo pecorino e finocchiona alla trippa, al tonno di manzo o al  musetto, tutte carni piemontesi griffate “La Granda”. In alternativa piattini composti a piacere e accompagnati da un bicchiere di vino scelto dalla solida lista regionale. I prezzi partono da 8 euro vino compreso. Le occasionali serate “Panino d’autore”, vedono chef blasonati come Marco Stabile o Filippo La Mantia misurarsi con l’umile panino.

6) BIANCOLATTE, via Turati, 30 – Milano. E’ il latte l’ingrediente chiave di questo negozio in via Turati, nato dalla fantasia di Ludovica e Valentina di Sarro, che è insieme latteria, caffè, bar e gelateria a pochi minuti dalla stazione di Milano Centrale. Gli interni bianchi e cremosi, oggi si direbbe radical-chic, ricordano le consolanti e borghesissime case di campagna fotografate sulle copertine di AD, mentre il menù propone latte fresco (1,50€ al l), minisacher (16€), torte di marmellata (25-35€ al kg), gelati abbastanza trascurabili, o nell’affollata pausa-pranzo le milanesine Biancolatte (10€), trofie con crema di basilico e burratina (12€), tacchino alle olive (9,50€), tartare di salmone agli aromi (16€). Aperto 7 giorni su 7 dalle 7,30 alle 24,00, Biancolatte la domenica è, chevvelodicoafare, un ritrovo popolare per il brunch. C’è anche l’angolo dove si comprano oggetti di design in linea con l’immagine del locale.

7) La Stanza del Gusto, via Costantinopoli 100 – Napoli. Lo chef autodidatta Mario Avallone, intramontabile guru della scena napoletana, è riuscito a costruire intorno alla Stanza Del Gusto, nelle sue innumerevoli incarnazioni (almeno 3), un cospicuo seguito di fedeli selezionato tra i wine-aficionado e i gastrofanatici della città. Con le stralunate opere d’arte, il soffitto a cassettoni, il caotico ma coinvolgete affollamento di adepti, il locale è unico almeno quanto il suo mentore. La chilometrica lista dei vini contempla annate locali introvabili nel resto d’Italia proposte anche al bicchiere. Come in un Pintxos bar di San Sebastian, il menù è costruito intorno a una serie di piattini, piccole porzioni ben presentate, ispirate alla tradizione locale e reinterpretate dallo chef. Spettacolari il sartù di riso in bianco, e soprattuto “O Roje“, un tempo maccheroni al sugo, oggi splendidi bucatini trafilati a mano serviti in un pozzetto di sugo rossissimo, senz’olio. Prezzi concorrenziali, niente coperto, servizio solerte, tasso di gurismo percepito elevato al cubo, in una parola: maliardo.

[Crediti | Link: Dissapore, M**Bun, L’Eco di Bergamo, PolentOne, Tricolore Monti, Puntarella Rossa, La Polpetteria, New York Times, Ino, Biancolatte, La Stanza del Gusto, Una giovine di belle speranze. Immagini: M**Bun, L’Eco di Bergamo, SenzaPanna, Leonardo Damo/Flickr, Nessun Dove, Caffè Elysium, Vogue]