Feva a Castelfranco Veneto: com’è lo stellato che tutti possiamo provare

A Castelfranco Veneto, in provincia di Treviso, c'è un ristorante stellato noto per la sua accessibilità. Una cucina creativa e ricca di biodiversità che abbiamo voluto provare, per rendervi conto di tutto in una recensione completa.

Feva a Castelfranco Veneto: com’è lo stellato che tutti possiamo provare

Le recensioni di Dissapore non si fermano, neanche ad agosto. Non sia mai che qualcuno di voi, nel bel mezzo del calore stordente, stabilisca dove andare a mangiare in base ai suggerimenti di TripAdvisor: esattamente ciò che vogliamo evitare con “Il ristorante della settimana”, la serie dedicata al fine-dining.

Il ristorante della settimana: la serie

Per questo episodio siamo stati da Feva, stella Michelin ottenuta nel 2015, lo spazio in cui si muove e crea Nicola Dinato. Dopo una sana gavetta nella cucine di Adrià, Roux, Ducasse (tra gli altri), è tornato nella sua città natale, Castelfranco Veneto, nella campagna trevigiana.

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Ambientato nella barchessa (la parte che era adibita all’allevamento e al ricovero del bestiame) di una villa veneta, a pochi passi dalle mura medievali che circondano la città, Feva è luogo riservato, lontano dalla mondanità gastronomica, che però si è visto catapultato sul palcoscenico delle classifiche, nei mesi scorsi quando il sito web Esquire l’ha inserito tra i 10 ristoranti stellati più economici al mondo: l’unico italiano.

Ora, dato che parlare di prezzi così, in apertura, è decisamente volgare, il consiglio è quello di sedervi a tavola e gustare ambiente e piatti.

DESIGN E AMBIENTE

Siamo accanto alle mura cittadine, risalenti al XII secolo. Feva, il nome ripreso dall’ antico cognome di famiglia dello chef, fa parte del complesso di una tipica villa veneta, costituita da villa padronale e parco secolare. La ristrutturazione è stata realizzata con intelligenza: se l’arredo è minimal, complessivamente l’essenziale non diventa mai freddo né spigoloso, complice l’uso del legno e delle travi a vista.

Due i livelli: in quello inferiore trovano spazio un grande tavolo di legno e l’ampia cucina a vista, visibile fin dalla strada. Al piano superiore si trova la sala principale, con finestre che danno sul giardino: nove i tavoli, per una trentina di coperti. A disposizione dei clienti c’è anche una taverna, destinata a gruppi più numerosi e famiglie.

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IL SERVIZIO

La squadra scelta da Nicola comprende Elodie Duboisson, general manager, nonché moglie dello chef, una brigata da quattro (talvolta cinque) persone in cucina e due figure spiccanti in sale: Leonardo Romanello, direttore, dai modi precisi ed eleganti, mai affettati, e Nicola Masala, sommelier e Food and beverage manager, cui va il merito di saper valorizzare i piatti con una scelta accurata di etichette. Il servizio è morbido e non inamidato, le attenzioni e la cura sono evidenti ma non esibite.

LA CUCINA E TUTTI I PIATTI PROVATI

Accessibilità: se c’è un concetto capace di sintetizzare la visione di Nicola Dinato è questo. Un’idea alla quale, peraltro, lo chef tiene parecchio. Ma non riduciamola all’aspetto economico: accessibilità, in questo caso, significa innanzitutto possibilità di conoscere in modo diretto, semplice, senza filtri. Poter vedere come si lavora, anche (ecco il motivo della cucina a vista) e assaggiare senza che sia necessaria una preparazione “filosofica”.

Dinato 1

Dinato 2

Volendo, si può stare ore ad ascoltare Nicola parlare di orti sinergici, permacultura, tutela della biodiversità e importanza dello scambio dei semi. Ma la sua ricerca personale non è mai sbandierata. La cucina di Nicola si muove leggera tra classicità, piatti del territorio reinterpretati e creatività, senza azzardi.

La nostra scelta è caduta sul menu Anima, una degustazione di 8 portate, quella che racconta al meglio il modo di guardare alle materie prime di Nicola.

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Gli amuse bouche non sono un semplice benvenuto, ma dimostrano in modo evidente l’attenzione che Nicola riserva alla ricerca della biodiversità, oltre alla sua abilità nel giocare con il binomio apparenza-realtà. L’aspetto inganna, volutamente, e sorprende il palato.

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Ecco allora “aria fritta” : una nuvola di tapioca, in cui la croccantezza si accompagna ad una salsa ponzu dall’agrodolce ben dosato. A fianco, una terrina di pomodori da semi antichi. Poi la pizza-focaccia con lievito madre, cotta al vapore e finita in forno, e una caprese.

La versione proposta è un concentrato di sapore e ricchezza varietale: se i bocconi di mozzarella non sono una novità, lo stupore è regalato dagli uzielli, i pomodori più piccoli al mondo, una sorta di microciliegini dalla buccia croccante e dalla dolcezza sorprendete.

Seppioline di barena, creme fraiche, crema di fagioli neri

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Le seppie diventano bocconi golosi sopra una crema vellutata. Se il rischio era quello di dimenticare la masticabilità, a favore di una morbidezza complessiva, qui la bravura sta tenere velluto e boccone in equilibrio. Alla crème fraiche il compito di donare freschezza e luminosità, tra il nero ed il viola.

Melanzana ripiena e foglie di vlito

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Rieccoci al gioco tra apparenza e realtà. Nel piatto compare un pomodoro, che però è una melanzana. Si tratta della varietà Rossa di Rotonda, dalle note leggermente più amare delle altre.

La dolcezza si trova nel ripieno, che esce goloso al taglio: crema di ricotta e fondue di pomodoro, un inno all’estate completato dal vlito (della famiglia dell’amaranto), che penalizza l’impiattamento ma elargisce personalità, complice anche la panatura con pane e parmigiano.

Tartelletta di rabarbaro, foie gras e bacche di sambuco

 

tartellettaDecisamente il piatto per cui vale il viaggio. Bella e fine come una monoporzione di pasticceria, ingannevole alla vista come un’ammaliatrice, deliziosa in bocca per merito di un accostamento dolce-salato in perfetto equilibrio. Il coltello prima incontra la croccantezza della frolla salata, poi la morbidezza del foie gras, dolce. Le bacche di sambuco sgrassano e preparano il palato al boccone successivo. Il pensiero di ordinarla più grande, come fosse di torta di compleanno, è immediato.

Brasato crudo

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I clienti sorprendono sempre, qualche volta lasciano il segno. Ecco il piatto dedicato al tizio che chiese “uno stracotto poco cotto”; invece di accompagnarlo alla porta, gli è stato dedicato un piatto.

L’abito è quello di un boccone dalla glassatura lucida, tanto che viene subito da pensare alla cioccolata: il taglio rivela invece una tartare di vacca Burlina e la glassa non è cioccolato ma nera liquirizia, dosata senza che l’amaro prevalga. Sul cioccolato, però, ci avevamo visto lungo: la crema di ceci che accompagna la tartare è ricoperta di polvere di cacao.  L’attenzione alle tradizioni si vede: la Burlina è una razza autoctona del vicentino, quasi in via di estinzione.

Uovo Barzotto

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Un fuori programma: uovo barzotto con lamelle di tartufo scorzone, a simulare le tagliatelle in brodo, spuma d’aglio e mandorle. Forse più adatto all’autunno, è un comfort food da mangiare a cucchiaiate. Ben dosato l’aglio, che non risulta invadente.

Pepata di cozze

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Nascoste all’interno di ravioli nerissimi, ecco le cozze di Dinato. Il contrasto cromatico è d’effetto, con il nero cupo che tira da una parte e i gialli squillanti e i rossi decisi dall’altra. Nettissimo e carico il sapore dei mitili, esaltato da quattro note cremose diverse: all’aglio, al limone, al pomodoro e all’essenza di cozze.

Risotto al rafano, succo di cannolicchi e aglio orsino

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Nella terra dei risotti delicati, dove radicchio, asparagi e bisi sono celebrati e considerati imprescindibili, solo un folle visionario potrebbe virare sul rafano. Un atto di “follia” ben riuscito: della radice qui è presente il carattere, ammansito però dai cannolicchi, delicati. L’aglio arriva profumato, forse leggermente troppo.

 Petto d’anatra con verdure e crema di prugne

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Un giardino di verdure (zucchine, cipolla di Tropea, peperone ripieno e shiso) si accostano vivaci al petto d’anatra. La cottura a regola d’arte della carne viene esaltata dalla salsa alle prugne e dal sugo ristretto. Un secondo non strillato, ma molto ben eseguito: i sapori sono netti, puliti, riconoscibili.

Pesche saturnine, frutto della passione, tomatillo

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Siamo al pre-dessert, che ha volto lussurioso dell’estate. Si dirà, “le pesche sono frutta”. Come a dire che vabbè, non siamo di fronte ad un vero dessert. Affondate il cucchiaio e componente un boccone in cui il sorbetto, i cubetti di pesche, la sfoglia croccante di caramello e le note vegetali del tomatillo stiano tutte insieme. E poi abbiate il coraggio di sostenere ancora la versione della frutta che non è un dessert. Il palato viene contemporaneamente sedotto e rinfrescato. Pronto per il “vero” dessert.

Sorbetto di ciliegie, gianduia, spuma di meringa e mandorle

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A dirla tutta eravamo prevenuti sull’accostamento ciliegia-gianduia. Dalla cucina devono averlo capito e ci hanno sorpreso. Quello che abbiamo assaggiato è infatti un dessert ben eseguito, non stucchevole, né troppo carico. Merito delle ciliegie, dal sapore netto e leggermente acidulo, e dei piccoli pezzi di mandorle che scrocchiano sotto i denti.

PREZZI

 

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La proposta permette di scegliere sia alla carta che seguendo due percorsi di degustazione. Il prezzo degli antipasti va dai 29 ai 33 euro, quello dei primi dai 24 ai 27 e quello dei secondi dai 30 ai 40. I due menù degustazione seguono due fili conduttori ideali: Anima, in cui ci si affida allo chef, e Tradizional-Mente, un percorso di 5 portate a 50 euro. La carta dei vini conta su 500 etichette e rivela scelte interessanti.

Conclusioni

Il trevigiano, per troppo tempo stretto nelle maglie di una tradizione fatta di risotti, eccellenze stagionali proposte in modo ripetitivo (pensate a: radicchio e asparagi) e secondi che non si allontanano mai troppo dalla triade carne – patate – verdura, negli ultimi anni sta abbandonando gli abiti classici e raccontando qualcosa di nuovo. Se altrove il rischio è quello di strafare, Feva è l’esempio opposto: una cucina in cui dinamicità e creatività sono presenti ma governate con misura, competenza e rispetto.

Ultimo, ma non meno importante, l’aspetto economico. L’ottimo rapporto tra la qualità e il prezzo contribuisce a rendere piacevole l’esperienza e ci ricorda che il buono ed il bello non devono rimanere appannaggio di pochi.