Italiani: è guerra tra pizza tradizionale e pizza gourmet. Poi fate voi

Italiani: è guerra tra pizza tradizionale e pizza gourmet. Poi fate voi

Il tabellone del nostro Campionato Italiano della Pizza lo mostra chiaramente: la pizza gourmet o “ultra pizza” è un fenomeno caldo. Appena legittimato –ta-da! miglior colpo di scena del giorno– da un articolo del Guardian che per restare a Napoli parla esplicitamente di “guerra della pizza” tra eretici innovatori e talebani della tradizione. E per fortuna al quotidiano britannico sfugge l’esistenza di locali extra-Napoli come I Tigli, Sirani e La Fucina, che per ingredienti, modalità di degustazione e prezzi sono lontani dall’idea di cibo popolare. Altrimenti sai come la metterebbe giù dura.

A Napoli, la tradizione impera, Michele e la sua proposta (margherita o marinara, stop) accompagnata da code chilometriche sono il punto di partenza. Le pizze sono classiche o tradizionali, le più particolari sono quella con salsiccia e friarelli e la pizza fritta, di solito ripiena di ricotta, provola e cicoli.

Chi sono i paladini del classicismo, gli strenui difensori della Margherita come la conosciamo?

E’ presto detto, l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani (APN), che ha ottenuto nel 2010 il riconoscimento della Pizza Napoletana come Specialità Tradizionale Garantita (Stg). Leggendo il disciplinare (che prevede le varianti marinara, Margherita e Margherita extra, quest’ultima con Mozzarella di Bufala DOP) si scoprono un po’ di cose interessanti, ad esempio che non è previsto l’utilizzo del lievito madre e la lievitazione è complessivamente di 6-8 ore. A Napoli il lievito madre è pressoché inutilizzato e le lievitazioni sopra le 24 ore eccezione e non regola. Nessuno si sognerebbe di aggiungere olio extravergine di oliva all’impasto e vengono utilizzate farine leggere, mai integrali, raramente di tipo 0 e/o macinate a pietra.

Più elastica l’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN), tant’è vero che il Guardian piazza tra gli eretici uno dei suoi maestri riconosciuti, Enzo Coccia, che ha aperto la pizzaria (sic) La Notizia nel 2010. La pizza di primavera di Coccia è condita con asparagi, mozzarella di bufala, pecorino, fagioli e lardo, e sul menu appaiono o sono apparsi baccalà, speck, fichi e, in stagione, il tartufo bianco d’Alba per una pizza che può costare 25 euro o anche più.

Coccia dichiara il suo amore per la sperimentazione, e aggiunge che con la crisi sempre più chef si avvicinano a cibi un tempo popolari: “La gente vuole spendere meno per mangiare bene, conosco alcuni chef con due stelle Michelin che si stanno affrettando a installare forni a legna, mentre io stesso vengo considerato uno chef, non più solo un pizzaiolo”.

Ma non parlate di sperimentazione agli ortodossi. Vi risponderanno che la pizza gourmet non esiste, la pizza nasce come cibo povero e se complicata perde la sua identità.

La squadra dei difensori della tradizione annovera tra le sue fila autentici fuoriclasse. Antonio Starita: “Sono contro queste pizzerie gourmet, una pizzeria deve essere rapida ed economica, sfornare 400 pizze a sera. Ho visto USARE LA PANNA, non può esserci di peggio”. Salvatore Di Matteo: “La pizza gourmet è come un raffreddore, nel senso che passerà”. Non vogliono che si chiami pizza, “focaccia condita”, “disco lievitato con sopra della roba”, “cibo a spicchi”, tutto insomma, ma non pizza.

Non sarà napoletana ma per me è sempre pizza. Come il gelato con l’azoto liquido è gelato, il raviolo aperto è un raviolo e la carne cotta a bassa temperatura è comunque carne.

Che poi a Napoli vadano in puzza per poco… se vedessero cosa c’è più a nord! A Bagnolo Mella in provincia di Brescia, Sirani propone pizze con gambero rosso di Sicilia marinato e misticanza (36€), Pata Negra Joselito Gran Reserva (33€) o Astice alla catalana con calamari fritti e cipolle di Tropea (34€).

Risponde il più famoso dei pizzaioli gourmet, Simone Padoan de I Tigli, con la pizza con scaloppa di foie gras in pan brioche, lardo, mozzarella di bufala, zest di pompelmo rosa, erbette selvatiche e nocciole tostate (32€), oppure piovra, melanzane, pomodoro, pesto di fave e Asiago (29€) e ancora Merluzzo in oleocottura, purea di piselli, fragole, maionese al basilico e briciole di carbone (28€).

E per ultima Roma, la capitale indiscussa del surrealismo applicato alla pasta lievitata. Qui la bandiera della pizza pretenziosa la porta La Fucina, farine Mulino Marino e mozzarella Barlotti. Un po’ meno cara delle precedenti (andiamo in genere tra i 15 e i 20 euro), definisce classiche pizze con uova di trota iridea, provolone delicato artigianale, crema di patate e mozzarella di bufala (20€) o mostarda di pere e mele “bio” con ricotta di pecora, mozzarella di bufala e Speck di Sauris (18€).

Ma anche Stefano Callegari, l’uomo dietro alla trinità Sforno-00100-Tonda, non sta certo a guardare. La pizza cacio e pepe è un geniale capolavoro di tecnica e ricerca, un caposaldo romano assieme alla Greenwich (Blue Stilton e riduzione di Porto). Sono pizze estremamente gustose, anche se non esattamente leggere, il che ne facilita il consumo a spicchi per tutto il tavolo, anche se, a onor del vero, il rito del battesimo di Sforno prevedrebbe il consumo di una cacio e pepe intera, io, al tempo, lo feci. E come dimenticare la pizza di Natale? Ogni spicchio un giorno, dalla Vigilia (pasta tonno e olive), a Natale (“pizza tortellino”), Santo Stefano (Picchiapò), l’ultimo (panettone e torrone) e il primo (zampone e lenticchie). Una provocazione, specie per le commistioni dolce-salato; ho recentemente finito di digerire quella di Natale 2009.

Non vi preoccupate, Gabriele Bonci sta per essere citato anche in questo post. Perché parlando di psichedelia, è doveroso ricordare la sua LSD: Liquirizia, Salsiccia e Datteri. Solo un esempio tra le sue straordinarie e fantasiose creazioni.

Bisognerebbe poi ragionare, oltre che di ingredienti, di impasto. Lievitazione con pasta madre, farine macinate a pietra, integrali o di cereali come farro ed enkir, aggiunta di olio extravergine all’impasto sono i risultati di una ricerca che nasce e si sviluppa fuori dalla Campania. Una ricerca che continua per la sua strada, senza rinnegare i maestri ma semplicemente aggiungendo possibilità agli esploratori del gusto. Del resto, senza la vera pizza napoletana questo nuovo mondo non esisterebbe neppure. Altro che guerra della pizza.

[Crediti | Link: Guardian, immagine: New York Times]