Farsi gli oggetti di design è chic. Ma te li regalano dopo che ti sei fatto (di) un menu McDonald’s

Farsi gli oggetti di design è chic. Ma te li regalano dopo che ti sei fatto (di) un menu McDonald’s

L’altro giorno ho cenato da McDonald. Era un tristerrimo martedì di fine anno lavorativo, a Milano l’asfalto sudato si scioglieva come burro sotto le suole e c’è chi ha osato un atto di coraggio – e d’impertinenza verso i propri lettori abituati a ben altro livello – andando a disfarsi il fegato al Mac.

Tutto per ottenere, in scambio del suddetto fegato, la fantastica coppetta da gelato griffata Seletti, che già da un po’ di tempo su più piattaforme veniva sbandierata come l’omaggio degli omaggi, l’item dell’estate foodie 2012. E che aveva sdoganato riabilitazioni tipo “ma pensa te…”, “eh, il McDonald, t’è vist?”, “Allora non è così cattivo come sembra”.

E devo dire innanzitutto che no, non è così cattivo come sembra. Udite udite. L’HAMBURGER DEL MCDONALD NON È IL DIAVOLO, signori. O, almeno, non è particolarmente più diabolico di tante altre “spugnette” farcite di altrettante “solette” che mi è capitato di mangiare nella città più cosmopolita e gastronomicamente evangelizzata d’Italia.

L’hamburger era più o meno come me lo aspettavo dai tempi del battage di Zaia di un paio d’anni fa. No, non sapeva di chianina appena scottata su pietra incandescente. No, non era carne di una morbidezza sopraffina e di un sapore inintelligibile da gargarozzo umano. Ma era mangiabile. Mangiabilissimo.
Il guaio è che, per guadagnarmi l’agognato ammennicolo – per la serie cosa non fanno i milanesi fighetti per mettersi in dispensa un oggetto di design – ho dovuto mettere da parte l’ego da radical chic (cui più volte avete tributato su queste pagine il vostro sperticato apprezzamento) e farmi un intero MENÙ.

Perché, se è vero che un panino non si rifiuta a nessuno, nel senso che vada come vada è sempre un panino, un menù del Mac può davvero compromettervi le coronarie. Fa già paura l’idea: “Ti faccio il menù?” sembra una minaccia più che una proposta, perché sai bene che quello che per loro è un modo di guadagnarci di più, per te sarà conveniente, per certi versi persino libidinoso, ma mai confortante per i tuoi organi e dannatamente poco gourmet per i tuoi gusti. Sì! schiaffeggiatemi.

Le patatine al sapore di olio motore saranno un cliché ma, questa volta sì, le malelingue avevano ragione. Sono malsanamente diafane, persino mollicce, e odorano del classico odore del Mac, che fa presagire la presenza di un negozio ben oltre i 100 metri di distanza indicati dai cartelli, e in qualunque luogo del mondo.
La coca non è una coca, è un paio di lattine come dose minima. E la seconda e ultima domanda del ragazzo col cappellino è: “Medio o grande?” “Cosa?” “Il menù”. La petit robe, qui, non è proprio contemplata.

Dulcis, si fa per dire, in fundo. La rivelazione della serata si chiama McFlurry, ed è “un vortice di gelato” (sic). Non solo, è anche una specie di ignominioso contrappasso per chi, come la sottoscritta, è entrato qui solo per mettere le mani su una coppetta da gelato firmata, e per conquistarla si ritrova a ravanare una zuppetta verde nel cartoncino conico dotato di un dubbio tappo-non tappo (a che serve?), sforzandosi di credere che di gelato si tratti, a prescindere dal vortice.

McFlurry (io l’ho preso, sgrunt, al pistacchio) è un incrocio fra i frozen yogurt che sono andati di moda in Italia (anche in provincia!) per un triennio buono dopo l’entrata in vigore della moneta unica, e Slimer di Ghostbusters. La cosa più disgustosa però è che nella coppetta le due entità restavano, irrevocabilmente, separate: pasta di Slimer da una parte, forse lavorato con bicarbonato o non so (la consistenza è granulosa), fiordilatte liquefatto dall’altra. “Vortice”, probabilmente, è nome di fantasia.

Alla fine, comunque, ecco la coppetta. Rosa, liscia, pura nel suo packaging che ne preserva l’innocenza. Che delusione, però, una volta sgusciata fuori dall’imballaggio: sarà pure un alto esempio di design, ma di chic in questa specie di tazzina senza impugnatura color confetto, con un microscopico logo sul bordo e un cucchiaino ton sur ton in dotazione, c’è davvero poco.

Per dare un senso alla sua presenza sulla mensola di cucina dovrei avere il set completo. Per avere il set completo dovrei farmi di altri 5 menù. Per farmi di altri 5 menù dovrei ingollare altre 5 vortici allo Slimer, sono combattuta.

[Crediti | Link: At Casa, Dissapore. Immagini: Prisca Sacchetti]