Il Buonappetito: Il fattore umano a Identità Golose, stelle, non star

Termina Identità Golose 2018: a Milano si è visto l’intero star-system della cucina stellata italiana

Il Buonappetito: Il fattore umano a Identità Golose, stelle, non star

Così è finito l’ultimo dei tre giorni della quattordicesima edizione di Identità Golose, il maggior congresso (e compresso) gastronomico italiano.

Quello della premiante ditta Ceroni-Marchi è l’evento gourmet per eccellenza, il momento in cui tutti gli addetti ai lavori si ritrovano.

Il lunedì, poi, è un giorno speciale: molti ristoranti sono chiusi e i cuochi di tutt’Italia convergono a Milano, chi per tenere la propria lezione, chi per ascoltarla.

[Identità Golose: istruzioni per l’uso]

Solo per far qualche nome, oggi sono saliti sul palco Cracco, Bottura, Camanini, Romito, Crippa, Niederkofler, Assenza, Bosco, Pepe e poi, dall’estero, Alléno, Clare Smyth, Virgilio Martinez…

Al di là della qualità (ottima) degli interventi, la cosa che manda in visibilio i foodie è che per tre giorni, con un biglietto esoso ma non impossibile puoi incontrare, chiacchierare, interrogare, eventualmente adulare (non è obbligatorio) l’intero Michelin-star-system.

E’ una cosa che capita solo nel mondo della cucina. Beh, sì, forse l’atmosfera è simile ai congressi di fisica o di chimica —i luminari spesso sono tipi ignoti alle masse ed è facile abbordarli—, ma certo non nel mondo dello spettacolo, della musica, del cinema.

Per quanto tutti ripetano che ormai gli chef sono star, è molto meno vero rispetto a tanti altri ambiti. Fare un selfie con Bottura è alla portata di (quasi) tutti. Chiacchierare qualche minuto con il garbatissimo Romito è facile, scherzare con Cedroni semplicissimo.

Provate ad avvicinare Vasco Rossi o Higuain: prima di arrivargli a cento metri avrete già cinque puntatori laser che vi ronzano sulla fronte. Provate ad accedere a una festa alla Mostra di Venezia: degli enormi energici energumeni vi spingeranno nel canale prima che riusciate anche solo a intravedere un tacco della Bellucci.

Il fatto è che, nonostante tutto, per gli chef —a differenza degli attori, dei rocker— i clienti sono rimasti degli individui e non sono dei puntini in una marea vociante allo stadio (o addirittura uno spettatore smaterializzato davanti a Netflix).

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Un cuoco, per la natura del proprio lavoro, serve i clienti uno a uno. Così come in un congresso parla con le persone una alla volta (anche se per pochi istanti).

Non so se quando la premiante ditta Ceroni-Marchi ha deciso di dedicare l’edizione 2018 al “fattore umano” ha pensato anche a questo, ma è uno degli aspetti del cibo che lo rende speciale rispetto a tante altre forme espressive: la cucina non parla mai alle masse, parla sempre agli individui.

Uno alla volta.