Il Salone del Gusto è morto, viva Terra Madre: Il buonappetito

Il Salone del Gusto 2018 di Torino si è concluso, e forse è pronto per entrare nell’album dei ricordi, lasciando spazio a Terra Madre

Il Salone del Gusto è morto, viva Terra Madre: Il buonappetito

Così, D’un tratto, un lunedì di inizio autunno, capisci che il mondo è cambiato. Chiamatele impressioni di settembre, se volete.

Vi scrivo da Terra Madre-Salone del gusto arrivato al suo ultimo giorno forse dell’ultima edizione della manifestazione così come la conoscevamo. Ad ascoltare tutti, nei corridoi – gli espositori, certo, ma anche gli stessi uomini (e donne, naturalmente) di Slow Food – questa calda aria settembrina si sta trasformando in un vento. Di cambiamento.

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Sarò sintetico: Terra Madre è più in forma che mai. Il grande raduno dei contadini che portano a Torino i loro saperi e i loro sapori – anche in maniera molto autentica, spartana – è sempre una grande festa. Si conoscono persone straordinarie, si assaggiano cose inedite, si pranza con piatti mai visti, si balla, si chiacchiera, si discute in cento lingue diverse.

Il Salone del gusto – la parte più squisitamente fieristica, in cui gli espositori vendono i propri prodotti per fare business, anche per ripagarsi i corposi costi – è in affanno. In grande affanno.

Vuoi per le date – anticipate di un mese rispetto a quando il Salone si faceva al Lingotto, prima dell’edizione en plein air del 2016 -, vuoi per il clima torrido che chiama al mare, vuoi perché questa soluzione mes e mes – mezza in città e mezza al Lingotto – priva lo spazio fieristico dell’enoteca, vuoi per la comunicazione non proprio martellante. Saran tutti questi fattori, ma gli standisti lamentano incassi molto inferiori al passato.

In più, mi raccontano, dopo i tristi e noti incidenti di piazza San Carlo è più difficile fare manifestazioni e soprattutto ottenere una parola ferma dai mille enti con cui ci si relaziona: l’Asl ti dice di spostare una roba lì, i vigili là, gli amministratore dell’immobile su, i funzionari comunali ululì, quelli regionali ululà.

Infine – come dice lo stesso Petrini sull’edizione torinese di Repubblica odierna, intervistato da Marco Trabucco – proprio grazie al lavoro divulgativo di Slow Food tanti dei cibi che un tempo si trovavano solo qui oggi si possono acquistare in tanti luoghi del commercio tradizionale: la distribuzione è cambiata, c’è Eataly, i Mercati Centrale e Metropolitano, ci sono mille festival in tutti i paesini, persino la GDO è diventata gastronomica.

Ieri vedevo un banchetto che mostrava un cartello con scritto “potete trovare i nostri prodotti da: Coop, Esselunga… Amazon.” Ai tempi in cui i prodotti sono su Amazon, che senso ha fare una fiera?

Quelli di Slow Food sono bravi e intelligenti e han sempre guardato avanti: sono certo che hanno ben chiaro queste criticità. Ora penso che debbano fare due cose, una tattica, una strategica.

Quella tattica è fare pace con gli espositori che quest’anno hanno vissuto un’esperienza al di sotto delle aspettative. Lo meritano.

Quella strategica è progettare il futuro. E sono certo che lo stiano già facendo, non è gente da dormire sulla salsiccia di Bra (che pure è morbida).
Un futuro che io immagino – e auspico – una enorme, incredibile, meravigliosa Terra Madre. Il Salone del gusto è pronto per entrare nella storia e negli archivi.

La mutazione della crisalide in farfalla è avvenuta. Bisogna solo avere il coraggio di riconoscerlo.

Lunga vita a Terra Madre.